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Liguria. Lotta di potere tra i due PD

Le polemiche successive alle primarie in Liguria non accennano a smorzarsi. Le dimissioni di Cofferati dal Partito Democratico mandano in fibrillazione la politica non solo ligure. Mentre pezzi di “sinistra” cercano di convincere Cofferati a ricostruire il centrosinistra che fu, in consiglio comunale gli stessi, con alcune eccezioni, fanno carta straccia del programma con cui erano stati eletti e si apprestano a gettare via milioni di euro per la gronda autostradale.

Ogni progetto di cambiamento sociale che rimane all’interno dei rapporti con il partito regime del PD si scontra inevitabilmente con un grumo di interessi consolidato che rimane egemone. I risultati delle primarie ci consentono quindi di esplicitare meglio la natura di classe di questi interessi che sono in contrasto anche all’interno dello stesso PD. L’annullamento del voto in 13 seggi è solo la punta di un iceberg. In realtà l’analisi (a posteriori…) di Cofferati coglie nel segno: le primarie regionali sono state una lotta interna ai poteri liguri in cui hanno avuto un ruolo imprenditori, mafiosi e pezzi di quell’associazionismo che una volta rappresentava l’asse portante della sinistra (ARCI, Cooperative, pezzi di sindacato, etc…).

Lo schieramento compatto di pezzi del centrodestra ligure a sostegno di Raffaella Paita è la dimostrazione concreta dell’esistenza di quell’asse Burlando-Scajola che da anni regge le fila della politica ligure. Questo è un mondo fatto di palazzinari, banchieri corrotti, false cooperative e mafia. Questo sistema di potere è molto forte soprattutto nel ponente di Savona e nella provincia di Imperia ma trova riscontro anche nei centri cittadini più importanti. Gli apparentamenti di questi settori sociali con la candidatura Paita sono stati siglati alla luce del sole. Gli stessi risultati delle primarie lo confermano con evidenza: in provincia di La Spezia il numero dei votanti è di pochissimo inferiore rispetto al numero dei votanti in provincia di Genova nonostante la disparità elevatissima di residenti.

Di contro, Cofferati ha avuto dalla sua parte l’associazionismo di sinistra che da anni resiste grazie a concessioni e appalti concessi dalla parte di sinistra del potere. Questi gruppi gestiscono spazi, concessioni in cui portano avanti politiche progressiste e culturali. La loro autonomia si ferma però di fronte alla politica che li mantiene: la sconfitta di Cofferati getta nel panico questo mondo che vede nella Paita un nemico esattamente negli stessi termini della Cgil nei confronti di Renzi. Il rischio è l’avvio di una politica in cui gli enti intermedi della sinistra storica verranno totalmente stritolati dalla vittoria della concorrenza di destra.

Dobbiamo dire con chiarezza che le due prospettive sono diverse. Un conto è il mantenimento di un carattere progressista, solidale e antifascista, un altro è il trionfo dei poteri mafiosi, imprenditoriali e parafascisti. Sono due prospettive per un certo verso antitetiche che però nel corso degli ultimi venti anni hanno convissuto all’interno del potere regionale trovando nelle due anime del PD una coesione. Questa coesione ora è saltata mettendo a nudo l’insopportabilità di questa gestione. La Liguria è infatti una regione in cui i tassi di disoccupazione e di sfruttamento dei lavoratori sono enormi, in cui la cementificazione e le grandi opere sottraggono risorse alla sanità, ai servizi pubblici e alle politiche sulle casa. E’ una regione che ha subito un processo di deindustrializzazione che ha fatto perdere posti di lavoro solo in parte recuperati con una economia dei servizi in cui vige lo strapotere dei contratti precari.

Il compromesso di potere che coinvolgeva anche un pezzo di sinistra è definitivamente saltato non tanto per l’insopportabilità di figure come la Paita o come Burlando ma per la reale impossibilità di continuare a gestire esternalizzazioni, privatizzazioni senza creare malcontento tra gli strati popolari. Per anni la sinistra è stata coinvolta per tramite della parte amica del PD in una politica in cui si privatizzava ma il potere veniva appaltato a cooperative o a strutture che garantivano comunque un rispetto almeno formale di alcuni criteri solidaristici. In questo modo il blocco sociale della sinistra poteva mantenere una rete solidale accettando però di fatto che la gestione rimanesse nelle mani di un partito che via via assumeva sempre di più i connotati di regime.

Nei quartieri operai sfasciati dalla crisi, dal caro affitti, dalla disoccupazione l’idea di mantenere una rete di sostegno e di cultura solidale e antifascista non regge più. Il rischio di ritrovarsi in una situazione in cui ciò che si autodefinisce sinistra è il potere che rappresenta solo se stesso e si disinteressa dei concreti bisogni si è avverato. La risposta è quella del trionfo dell’antipolitica, dello sviluppo della destra estrema (Lega Nord soprattutto). In questi giorni la sinistra che in un precedente intervento definivamo in preda al panico sta cercando una via di uscita. Notiamo però che questa via non si discosta dalla riproposizione di una vecchia ricetta in cui la “sinistra” PD cerca di recuperare terreno. E’ l’eterno ritorno del sempre uguale. Cofferati, civatiani, SEL, ciò che resta del PRC più una parte di associazionismo che ben lungi dal prendere atto del fallimento strategico di questi anni tentano una improbabile riscossa che non porterà in dote niente per i lavoratori e le fasce meno abbienti.

Dall’altra parte c’è chi (con maggiore coerenza, ad esempio l’Altra Liguria) vorrebbe rompere definitivamente col sistema di potere PD ma non ne ha la forza perché costituito su un’idea prettamente elettoralistica senza un blocco sociale di riferimento. Noi siamo convinti che da questa palude (frutto di decenni di compromessi e abbandono dei luoghi di lavoro) non si esce con formule improvvisate. Tutti i soggetti che affrontano con coerenza la battaglia contro il sistema di potere PD sono ancora però immersi in una cultura politica in cui l’unico ambito di intervento sono le elezioni. L’astensionismo diffuso colpisce soprattutto nelle fasce più deboli e nei lavoratori privi di rappresentanza. Occorre ricostruire un rapporto con questi ceti sociali che rappresentano l’unico blocco sociale possibile per una sinistra degna di questo nome. E’ un lavoro lungo che prevede di lasciare perdere per un po’ le elezioni e di concentrare le proprie esigue forze in progetti di più ampio respiro.

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