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Grecia contro Unione Europea? Un dibattito torinese

La vittoria di Syriza in Grecia ha generato un crepa nella gabbia d’acciaio che è l’Unione Europea. Per molti, a sinistra, rappresenta un’opportunità per invertire la rotta di quella che viene definita la più avanzata forma di integrazione economica. La speranza è quella di fare a meno dell’austerity e, per chi si sente più radicale, di porre termine alle politiche neoliberiste, dando avvio a una politica economica di forte ispirazione keneysiana.

Date le aspettative, in molti sono saliti sul carro del vincitore, sia in Europa che in Italia, sia a sinistra che a destra. Visto il quadro di esultanza più o meno moderata, che trapela anche da certi giornali come il Sole 24 ore, viene da chiedersi quali siano le aspettative di tutti questi inaspettati fans di Syriza e di Alex Tsipras. Ma soprattutto, occorre chiedersi quali siano le possibilità concrete e quali direzioni può prendere l’Unione Europea dopo questo evento e se avverrà anche una vittoria di Podemos in Spagna o del Sinn Fein in Irlanda.

A Torino, come compagni della Rete dei comunisti e della campagna nazionale Noi Restiamo, ne abbiamo discusso l’11 febbraio, il giorno del vertice all’Eurogruppo a Bruxelles e in concomitanza con diversi momenti di solidarietà realizzati in varie piazze d’Italia nei confronti del popolo greco e contro la Troika. All’incontro organizzato nella libreria “I Comunardi” erano presenti, come relatori, Marco Santopadre per «Contropiano» e Jacopo Rosatelli per «il manifesto». 

Il dibattito torinese 

Il confronto tra Santopadre e Rosatelli si è svolto proprio su queste problematiche, a partire da una diversità netta di opinione sulla riformabilità dell’Unione Europea.
Entrambi gli intervenuti hanno convenuto sulla nocività delle politiche attuali dell’Unione Europea per le classi lavoratrici.
Per Jacopo Rosatelli, tuttavia, al di là delle storture, l’Unione Europea è un’opportunità da preservare per diversi motivi.
Il primo riguarda ciò che il giornalista chiama l’“idealità” europea, ovvero l’insieme di quei principi di solidarietà e federalismo che stavano alla base del manifesto di Ventotene, frutto anche del lavoro di un intellettuale come Altiero Spinelli, che si era pur sempre formato su principi socialisti e comunisti. Questo principi, secondo Rosatelli, sarebbero ancora presenti nel progetto europeo e costituirebbero un possibile argine al sopravanzare delle destre nazionaliste e xenofobe che non si sono mai conciliate con i principi della rivoluzione francese del 1789.
Il secondo motivo riguarda l’importanza della Carta dei diritti fondamentali che, per esempio, ha imposto all’Italia di porre fine al precariato degli insegnanti nella scuola pubblica.
Per Rosatelli sarebbe sbagliato puntare a una rottura dell’Unione Europea per non spezzare l’unità delle classi lavoratrici europee, e inoltre anche la classe operaia tedesca sta pagando il prezzo del neoliberismo e delle politiche di austerity.
Ma questo non ci deve far dimenticare quanto di antidemocratico c’è in questa Unione Europea, con i suoi poteri forti, con i suoi organismi elettivi privi di potere, con il peso di organi collegiali (come il Consiglio europeo) che spesso lavorano in maniera nient’affatto trasparente, e con una moneta “fatta male”.
In questo senso Rosatelli sente di condividere la descrizione che di questo quadro europeo ha dato Stefano Rodotà, per il quale a una costituzione dei diritti si opporrebbe una costituzione economica, per adesso dominante.
Per invertire il rapporto tra queste due costituzioni, occorrerebbe dunque cogliere l’opportunità rappresentata da Syriza in Grecia e, possibilmente, da Podemos in Spagna, senza scandalizzarsi se un sindacato come la CGIL, pur gravato da un apparato dirigente che “non ha saputo” cogliere l’opportunità del 12 dicembre, scende in piazza accanto al governo greco. 

Per Marco Santopadre, un elemento capitale da non trascurare quando si parla di Unione Europea, e che in questi giorni ci viene restituito prepotentemente dalle notizie di guerra in Europa, è il costituirsi della UE come polo imperialista che porta avanti la sua guerra sociale all’interno e si avvia a rafforzare il suo ruolo bellicista e neocolonialista all’esterno.
Di fronte a una architettura antidemocratica e autoritaria, e di un processo di concentrazione del potere e dei capitali che avvantaggia le frazioni di borghesia continentale a dominanza tedesca, e di gerarchizzazione che sposta e verticalizza i centri decisionali a Berlino e Bruxelles, la risposta dei popoli che hanno maggiormente subito le politiche di spoliazione e di ricatto – l’austerity – non possono che rispondere con la rottura dell’Unione Europea e la creazione di un’altra aggregazione multinazionale basata sulla solidarietà, la complementarità e un’altra moneta. Ad un meccanismo antidemocratico, basato sul ‘pilota automatico’ imposto ai paesi da tenere sotto controllo e sui diktat della troika che costituisce il principale strumento di governance dell’Unione Europea, i paesi dell’area mediterranea non possono che opporsi perseguendo, uniti, un altro progetto alternativo. Per ora una parte importante del popolo greco ha scelto comunque di premiare una forza politica di sinistra che ha denunciato l’austerity nelle piazze e nelle istituzioni e che fin qui ha rifiutato ogni collaborazione con quelle forze dell’internazionale socialista che ad Atene e nel resto d’Europa hanno partecipato al massacro sociale, allo svilimento della democrazia e al furto di sovranità popolare. Un segnale importante, per Marco Santopadre, la vittoria di Syriza e la formazione del governo Tsipras, che ora andrà valutata alla luce della capacità/volontà di scontrarsi non solo con gli effetti dell’austerity, ma anche dei meccanismi politici, economici e istituzionali internazionali che l’hanno imposta e gestita. Non dovrà mancare – ha affermato il redattore di Contropiano – il nostro sostegno non tanto al governo greco ma a quelle forze popolari e politiche elleniche che inciteranno e condizioneranno con la lotta e l’organizzazione sociale l’operato dell’esecutivo Tsipras, incitandolo a mantenere le sue promesse e a trarre le conseguenze da un’eventuale chiusura da parte del governo europeo e della Banca Centrale. 

Alcune considerazioni 

L’iniziativa, nel cui titolo avevamo posto un punto interrogativo, poneva l’accento sullo scontro tra Grecia e Unione Europea. La forma di domanda del titolo non era solo un espediente retorico, ma intendeva porsi come modus operandi non solo per la discussione, ma anche per la continuazione del confronto fuori dalle quattro mura della libreria Comunardi che ha ospitato l’iniziativa.

Può sembrare banale dirlo, ma dalle domande dipendono le risposte. A questo punto occorre chiedersi: lo scontro tra il paese ellenico e la Troika è uno scontro con l’Unione Europea? Oppure: lo scontro con la Troika porterà la Grecia a doversi scontrare con l’istituzione Unione Europea?

E, ancora, vuole la Grecia scontrarsi contro l’Unione Europea?

Per rispondere a queste domande dovremmo chiederci cosa è la Troika, quali interessi serve, quale politica economica porta avanti e contro chi. Inoltre, dovremmo chiederci se queste politiche economiche siano necessariamente inevitabili o siano solo un’opzione, se siano collegate alla crisi o no. E infine dovremmo chiederci quale sia la natura di questa crisi. È essa di natura solo finanziaria? È ciclica o strutturale? O, infine, sistemica? 

Partendo dall’ultima domanda, come converrebbe fare, se si vuole ricercare la radice di tutti i fenomeni economici, politici e militari susseguenti, possiamo prendere in considerazione quanto l’attuale ministro dell’economia Yanis Varoufakis ha detto in quella confessione che ora sta facendo il giro del web e che risale al 2012 (Confessions Of An Erratic Marxist In The Midst Of A Repugnant European Crisis, e che si può leggere anche su «Contropiano» grazie alla traduzione di Giuseppe Volpe per Znet Lab). Secondo Varoufakis, l’attuale crisi europea non è solo “ciclica”  ma addirittura «una minaccia alla civiltà così come la conosciamo». Da questa analisi, il suo autore fa scaturire una conseguenza controversa, ossia la necessità di salvare l’Unione Europea, pena la catastrofe totale. 

Verrebbe da chiedersi se quei paesi dell’America Latina che sono usciti dal gioco del neoliberismo e dalla morsa dell’imperialismo statunitense e stanno cercando forme di integrazione economiche alternative (come l’ALBA) stiano oggi vivendo una tale catastrofe.

Ma, al di là della conclusione, ci pare che la caratterizzazione della crisi come “sistemica” (volendo mettere in bocca un’espressione che Varoufakis non ha pronunciato, ma a che noi sembra molto vicina al senso delle sue parole) sia ben lontana dalla consapevolezza di quanti hanno gioito della vittoria di Syriza. 

Infatti, lo scontro a cui stiamo assistendo in queste ore è tra il paese ellenico e la Troika, ossia i rappresentanti della Commissione Europea, la BCE e il FMI. Cioè siamo di fronte a uno scontro tra un organismo internazionale (ovviamente privo di alcuna legittimità democratica o istituzionale, seppur formale) e un paese in piena emergenza umanitaria. Questo organismo è rappresentante degli interessi dei creditori della Grecia, che hanno approfittato della complicità delle élites greche per  saccheggiare il paese.

Insomma, se non fosse una situazione tragica, sembrerebbe una bega tra un creditore e un debitore. Ma ovviamente non è così, e il ministro greco ne ha piena coscienza.

Certo è che invece a leggerla così è proprio la controparte e, ahinoi, molti a sinistra. Già, ma se la controparte non è la UE ma la Troika, come viene fuori dalle parole di Tsipras (per ragioni tattiche o per fondata convinzione?), allora la domanda posta nel titolo della nostra iniziativa ha forse un senso. 

Quello che in definitiva non viene fuori dalle analisi di molti commentatori politici di sinistra è proprio il riconoscimento della UE, la cui natura sembra essere neutra, inerte, come uno strumento qualunque, che risponde alle esigenze di chi lo usa. Per cui alla fine, basterebbe sostituire le persone o i gruppi che lo detengono perché possa cambiare anche la natura dello strumento. Eppure Varoufakis lo dice senza possibilità di fraintendimenti cos’è questa Unione Europea: «un’Unione Europa antidemocratica, irreversibilmente neoliberista, fortemente irrazionale, transnazionale che non ha quasi alcuna capacità di evolvere in una comunità genuinamente umanistica in cui le nazioni dell’Europa possano respirare, vivere e svilupparsi. […] io condivido la visione di questa Unione Europea come cartello fondamentalmente antidemocratico e irrazionale che ha posto i popoli dell’Europa su un sentiero di misantropia, conflitti e recessione permanente». 

Molto spesso, altri bersagli individuati sono l’austerity e il neoliberismo. Se il primo è oggetto di critiche anche oltre oceano – pensiamo a quanto spesso affermato negli USA o in certi giornali nostrani favorevoli a un ridimensionamento della “creditocrazia” (l’espressione è tratta dal Sole 24 ore) – il secondo invece rimane un po’ confuso come oggetto di critica, perché, sempre stando i discorsi che si leggono, questo non sarebbe altro che una scelta evitabile, non l’unica certo all’interno dell’assetto dell’UE. Come dire che si possa dare una UE senza neoliberismo e senza austerity. Ancora una volta, l’assetto politico e strategico dell’UE apparirebbe come un corpo infettato da elementi esterni, senza i quali sarebbe un organismo geneticamente sano. 

Ma se non è la Troika, non è l’austerity, e non è il neoliberismo, allora la UE cos’è? 

La domanda non sorge solo da una inveterata, e comunque sana, cultura del sospetto, ma dal fatto che proprio dalla comprensione di quei bersagli di cui abbiamo parlato dipenderà la nostra condotta politica. 

Ad esempio, se il neoliberismo è solo una malattia “non necessaria”, un “colpo di sfiga” che ha colpito i paesi del Mediterraneo e, in varia misura, le classi lavoratrici europee, allora sarà possibile riprendere una sana politica keynesiana di spesa pubblica che potrà far ripartire la domanda, dunque la produzione e infine i profitti. A pensar così, si rimane stupiti che menti eccelse con diverse lauree e masters in economia non ci abbiano pensato prima.

Il kenynesismo che sta dietro le risposte di parte della “sinistra” a quale crisi vuol rispondere? Anzi, quale crede sia la natura di questa crisi? Dovrebbe apparire evidente che una mancata risposta sulla natura della crisi compromette le nostre scelte sugli strumenti che utilizziamo per contrastarla, anche se da una corretta analisi non deriva necessariamente una risposta altrettanto corretta, ma l’inverso ci condurrebbe necessariamente a sbagliare. 

Questa stessa domanda andrebbe posta anche ai nostri avversari, che comunque non costituiscono un blocco compatto. Tra chi vive di rendita finanziaria e chi “produce” non sempre c’è consonanza di interessi. La “creditocrazia” è certo un ostacolo per quelle borghesie “ancora” nazionali che vivono di esportazioni e che trarrebbero una boccata d’ossigeno da un deprezzamento dell’euro. Sono proprio questi settori della borghesia che non considerano così irragionevoli le richieste di Tsipras di un taglio o agevolazione nel pagamento del debito. In questo senso, Tsipras, nel contrastare la Troika, farebbe loro un favore. Insomma, la crisi di profittabilità dipenderebbe dall’esistenza di troppi parassiti. Ma se i parassiti avessero visto giusto? Se davvero non fossimo di fronte né a una crisi congiunturale, passata la quale si può ripartire (come sperano sempre i nostri politici), né di fronte a una crisi strutturale (come quella del ‘29), da cui si uscirebbe con un nuovo modello di accumulazione? In altre parole: e se la toppa della finanziarizzazione, del neoliberismo e della globalizzazione (leggi competizione globale cui corrisponde il costituirsi di poli economici integrati come la UE) fosse l’ultima tappa prima della “distruzione”? Allora non c’è una via d’uscita  possibile per la UE all’interno di questo contesto di competizione globale. Ed è proprio per questo che Varoufakis, paradossalmente, sostiene che occorre salvare il sistema Unione Europea.

Almeno che non si cominci a pensare a una nuova forma di integrazione economica sovranazionale, basata su altri principi, che stracci i Trattati europei e ponga fine alle sue istituzioni e parta da quei paesi che oggi in Europa stanno pagando il prezzo della costruzione del polo imperialista europeo come risposta alla competizione globale.

La si chiami ALBA euromediterranea o diversamente, oggi essa appare quanto mai razionalmente e umanamente necessaria.  

Rete dei Comunisti – Torino

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