Ieri è stato un Primo maggio di lotta nel significato più autentico del termine, una giornata che ha messo insieme quelle forze sociali che rifiutano i paradigmi imposti dalla giunta Pisapia, dal sistema PD, dagli interessi delle multinazionali e dalla finanza nazionale e internazionale.
Expo è l’occasione storica della convergenza d’interessi tra una serie di attori che fanno della mercificazione, della speculazione e dello sfruttamento, la ragion d’essere dei loro profitti. In questo contesto si è profuso ogni sforzo mediatico per presentare tale evento in una chiave profondamente ideologica e mistificatrice. Expo si autorappresenta, infatti, come occasione irripetibile di rilancio economico del paese, come immensa opportunità di espansione occupazionale, come strumento di giustizia sociale e di redistribuzione delle risorse a livello planetario, come orizzonte di crescita senza limiti, fondata, di fatto, sull’onnicomprensività, onnipervasività e onnipotenza del mercato, ovvero sulla visione totalitaria di una società completamente mercificata e asservita alle logiche del profitto.
Di contro, No Expo significa:
• smascheramento di questo “super-senso” costruito ad hoc
• contrapposizione critica alla “ neolingua” creata dai media asserviti alle logiche del profitto
• rifiuto dello sfruttamento imposto ai 18.500 giovani “volontari”, reclutati per lavorare gratuitamente al servizio degli affari e del profitto delle multinazionali
• rifiuto dell’asservimento alimentare di miliardi di persone agli interessi di marchi, quali Coca Cola, Monsanto, Nestlè o Mc Donald’s, o agli interessi della galassia designata come green economy che, non diversamente dalle altre forme di liberismo, si basa sul profitto, semplicemente orientato verso un diverso target
• rivolta contro la logica del brevettare e privatizzare risorse naturali a vantaggio del capitale.
No expo attualizza e riafferma il significato del Primo maggio con nuove forme di Resistenza contro l’imperialismo che si nutre dello sfruttamento dei popoli e delle risorse extraeuropee e assume dimensioni sempre più totalitarie e globali. Affamare i popoli in via di sviluppo, appropriarsi di risorse pubbliche, peggiorare le condizioni dei lavoratori, tutto ciò fa parte di un’unica strategia di massimizzazione del profitto che si estende dall’Africa agli USA, passando per Asia ed Europa.
In questo Primo maggio conflittuale, internazionalista e nemico del fascismo padronale, i sindacati confederali erano assenti. D’altronde la loro funzione attuale consiste nell’essere funzionali alla succitata narrazione ideologica e mistificatrice della realtà, che pretende di mostrare una dialettica delle parti di fatto ormai tramontata. CGIL, CISL, UIL, cinghie di trasmissione del sistema, fungono oggi da strumenti di neutralizzazione delle contraddizioni, prova ne sia l’accettazione del protocollo che ha permesso di reclutare i cosiddetti “volontari” sopra citati.
La manifestazione di ieri, aldilà delle polemiche sui black bloc, rivela l’urgenza di una riappropriazione forte della coscienza di classe e di un’analisi che sia in grado di ridefinire i contorni della stessa.
Lo scollamento emerso ieri tra alcune anime della protesta, in determinate fasi della manifestazione, rende più urgente la ridefinizione di una comune strategia di lotta che sappia procedere oltre l’istantaneità e l’estemporaneità del gesto, per consolidarsi in una prassi sistematica di lunga durata. E’ questa un’urgenza che si manifesta con forza, proprio a partire dalle narrazioni arbitrarie degli eventi costruite ad hoc, il giorno dopo, dai media mainstream: si identifica la mobilitazione di massa del Primo maggio solo con le vetrine spaccate, si procede a una semplificazione politica di comodo, si opera una traslazione dal piano politico al piano morale.
Sta a noi il compito di rovesciare soggetti e predicati, mettendo in luce ciò che i media vogliono oscurare: quarantamila persone che sfilano, dando corpo a una reale e radicale opposizione politica e sociale.
Ross@ Verona
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