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Regionali in Campania: una prima valutazione sul flop della Lista Vozza

Da compagno che ha animato in Campania, nei mesi scorsi, il tentativo di Appello Maggio provo ad interpretare il risultato della lista “Sinistra al lavoro” che, come è noto, ha rappresentato una evoluzione politica ed organizzativa che non è stata condivisa da molti attivisti che avevano sottoscritto quell’Appello.

Già al momento della formalizzazione della candidatura di Salvatore Vozza avevamo espresso perplessità circa l’impostazione programmatica di tale micro/cartello elettorale il quale – da qualsiasi punto si osservava – non rappresentava una rottura netta ed alternativa al sistema PD e, soprattutto, ad un rovinoso corso politico ed elettorale della “sinistra” che da anni mortifica ogni anelito di cambiamento che matura nei settori popolari della società.

Ricordo ai compagni tutti che lo stesso Salvatore Vozza ha più volte dichiarato pubblicamente che era in campo solo perché il candidato del PD era Vincenzo De Luca ma se – per qualsivoglia motivazione – al posto dello sceriffo di Salerno si fosse trovato un altro candidato la collocazione di Vozza e di SEL non sarebbe stata quella di queste settimane ma, molto probabilmente, sarebbe stata in alleanza con il partito di Renzi.

Una incredibile posizione, quella di SEL, su cui si è subito appiattita la maggioranza del gruppo dirigente del PRC in Campania, e dello stesso Paolo Ferrero, il quale ha perso, ancora una volta, l’ennesima occasione per uno scarto di dignità e coerenza politica a fronte delle abituali ed astratte dichiarazioni in cui si afferma una generica volontà di autonomia dal PD e da ogni riproposizione del “centro sinistra”.

E’ evidente che con queste premesse – tutte ampiamente note ai compagni che hanno sostenuto la lista “Sinistra al lavoro” – l’esito di tale esperimento sarebbe stato un ennesimo ed avvilente flop.

A questo punto sarebbe facile invocare lo slogan maoista “Bastonare il cane cha annega” e chiudere, definitivamente, con questa telenovela che almeno dai tempi della Sinistra Arcobaleno intossica ed avvelena ciò che resta del mondo della “sinistra”.

Provo, invece, a mettere in evidenza alcuni aspetti che hanno, negativamente, segnato il percorso di “Sinistra al Lavoro” non per fare le pulci postume a questo tentativo ma perché ritengo che anche tale esperienza debba servire da, ulteriore, lezione politica e culturale per quanti, come il sottoscritto, ritengono che esiste un problema, non risolto, di rappresentanza politica (anche elettorale) degli interessi dei settori popolari della società.

Naturalmente, ed è sempre utile rammentarlo, la Rappresentanza politica delle ragioni sociali dei settori popolari della società è cosa ben diversa e sideralmente lontana da ogni assemblaggio di pezzi di ceti politici e di frattaglie varie di ciò che residua dei vecchi e decomposti partiti della sinistra. Questa precisazione è indispensabile per impostare una corretta discussione su questo argomento e per evitare le distorsioni che, puntualmente, conducono a risultati politicamente pessimi

La Lista Vozza (meglio chiamarla così) si è tenuta lontana da ogni possibile impostazione politica e programmatica che puntasse ad intercettare ed interrogare quella vasta area di disagio e mugugno sociale che si è divisa, in Campania e non solo, tra il voto ai Cinque Stelle e l’astensionismo.

La Lista Vozza ha preferito – lucidamente – impostare la sua campagna elettorale esclusivamente sui temi della Legge Severino contro Vincenzo De Luca confidando che, fino all’ultimo secondo utile, Renzi o qualcun altro silurasse la candidatura dello Sceriffo salernitano.

Una impostazione politicamente suicida ed antitetica a ciò che necessita per costruire, per davvero, una articolata alternativa alle politiche economiche e sociali, imperniate sull’Austerity, le quali sono state, e lo saranno con toni e sfumature diverse anche nei prossimi mesi, il tratto costitutivo della governance delle Regioni.

Infatti da Vozza and company non abbiamo, mai, ascoltato una parola contro l’Unione Europea e l’insieme dei dispositivi giuridici, economici e sociali che informano i provvedimenti di tagli e ristrutturazioni antisociali che, in Campania come altrove, hanno massacrato i ceti popolari.

Da Vozza and company – tanto per fare un esempio su un tema importante – l’unico gemito che abbiamo ascoltato, in queste fondamentali materie, è stato quello che si riferiva alla proposta di riproporre (in maniera acritica e superficiale) la sperimentazione sul Reddito di Cittadinanza che Antonio Bassolino aveva varato negli anni della sua amministrazione.

Infine la Lista Vozza ha escluso ogni relazione e/o connessione con quel composito arcipelago di attivisti, organismi popolari ed associazioni che, a vario titolo, hanno animato nell’area metropolitana napoletana, almeno dall’autunno scorso, una interessante stagione di mobilitazioni (gli Scioperi Generali contro il Jobs Act, le mobilitazioni contro la BCE, quelle contro lo Sblocca/Italia, le campagne antifasciste ed antirazziste, le occupazioni degli spazi sociali) che, sicuramente ancora in maniera insufficiente, costituiscono, però, l’unico capitale umano e politico su cui vale la pena investire se si vuole costruire, con umiltà e serietà, una alternativa a tutto tondo alle politiche del PD, ai diktat della Trojka ed in opposizione ad ogni suggestione populista e reazionaria.

E’ mancato, insomma, nel processo di formazione della Lista Vozza, nelle modalità politiche e comportamentali della sua campagna elettorale e, per molti aspetti, anche nei profili etici e personali di alcune candidature quel necessario tasso di autonomia ed indipendenza che è indispensabile incarnare se si intende ricostruire una riqualificata rappresentanza politica che provi – ripeto provi – ad interpretare ed interagire con le multiforme espressioni del disagio sociale e della sofferenza di decine di migliaia di donne ed uomini.

Tra qualche giorno – come è già accaduto per tentativi più blasonati di quello della Lista Vozza – tale esperienza sarà dimenticata e metabolizzata.

Per tanti compagni ed attivisti che, spesso, invocando la mistificante giustificazione della logica del meno peggio e della riduzione del danno hanno sostenuto questa ennesima e mortificante esperienza si pone, con ancora più urgenza del passato, il rompicapo di come contribuire alla costruzione – nei posti di lavoro, nei territori e nella società – di una prospettiva alternativa teorica, politica e culturale ad una “sinistra” che è sempre più foriera di sconfitte e di disgregazione.

Una esigenza vera su cui è utile iniziare subito a discutere ed operare collettivamente, a Napoli come da altre parti d’Italia, a partire dalle iniziative politiche e sociali che già sono in campo. 

Un auspicabile e rinnovato attivismo che deve rifuggire ogni tentazione – anche inconsapevole – che immagina un impossibile ritorno ad uno scenario politico non più rieditabile ed oramai consumato non solo da enormi errori e pasticci politici ma, soprattutto, da un oggettivo corso della crisi capitalistica che spinge verso la polarizzazione politica consumando ogni fantasia riformistica e di nuovi impossibile compromessi sociali.

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