Il livello di degrado di una democrazia si misura da molte cose, corruzione, malversazione, abusi di ogni sorta, disaffezione dei cittadini, ma, soprattutto, dal mancato rispetto delle regole e dei limiti assegnati a ogni potere dalla Costituzione.
Un esempio evidente del declino cui è pervenuto il principio di Stato di diritto nel nostro Paese giunge, in questi giorni, dal mondo della scuola. In spregio al Parlamento e alla stessa dialettica politica e sociale accesasi in tutta Italia, l’Ufficio Scolastico Regionale dell’Abruzzo, il 4 giugno scorso, ha diramato una circolare amministrativa nella quale s’invitano i Collegi Docenti a deliberare in merito all’organico potenziato dell’autonomia, previsto dal DDL scuola 1934/2015, presentato dal Governo e non ancora approvato dal Senato.
Tradotto in termini politici cosa significa tutto ciò? Una cosa molto semplice: la volontà del Governo è legge a prescindere. Si tratta di un fatto d’inaudita gravità, poiché stravolge, de facto, l’impianto stesso della nostra Repubblica parlamentare, il rispetto dei limiti assegnati ai poteri e introduce il principio di una filiera del comando che mira a scavalcare norme, garanzie, procedure.
Si potrebbe obiettare che si tratta di un semplice errore, di un eccesso di prudenza, in realtà si possono citare recenti e ben più illustri esempi a conforto di questa tesi. Non molti giorni fa, il ministro Padoan ha tacciato d’irresponsabilità la Corte Costituzionale, rea d’aver dichiarato illegittimo il taglio delle pensioni, creando le condizioni per un buco di bilancio. La cosa più grave, tuttavia, è la proposta avanzata dal ministro che si è spinto ad affermare: “Spero che in futuro l’interazione con il governo e Avvocatura sia più fruttuosa quando ci sono implicazioni per la finanza pubblica”. Abbiano capito che se in futuro la Consulta vorrà sentenziare, dovrà prima informare il Governo e valutare l’impatto economico delle sue decisioni. Al di là delle formule gesuitiche di Padoan, che finge di rispettare l’autonomia del giudiziario, la sostanza è chiara. Il Governo ha, infatti, già inviato una serie di dichiarazioni verso la Corte Costituzionale, in merito alla prossima sentenza sulla legittimità dei blocchi contrattuali del pubblico impiego.
Ci troviamo di fronte a un progressivo svuotamento della dialettica democratica: l’infantilismo e l’acquiescenza di buona parte della società civile offrono il fianco allo sfinimento di ogni prassi democratica a tutti livelli. Il governo, un pezzetto alla volta, sta misurando la capacità di resistenza dei vari settori della società, a fronte di scelte sempre più liberticide e antipopolari. Prostrata dalla crisi economica e distratta dai media mainstream asserviti al regime, buona parte della società assume un atteggiamento psicologico di appeasement che rafforza la tracotanza governativa. Parafrasando Gobetti, il renzismo come prosecuzione dell’autobiografia del paese.
La “Buona scuola” rappresenta una sorta di laboratorio dell’involuzione autoritaria che l’intera società sta subendo, in quanto luogo privilegiato nel quale sperimentare nuove forme d’ingegneria sociale: l’acquiescenza delle componenti della scuola alla volontà del capo, l’addestramento al lavoro gratuito, la privatizzazione del servizio pubblico, diventano il tramite per una formazione finalizzata alla costruzione ingegneristica di meri esecutori, ovvero di pezzi intercambiabili per il mercato.
Questa potrebbe essere la scuola del futuro:
“Io, sono il vostro nuovo Presidente. D’ora in avanti la lingua ufficiale del Bananas sarà lo svedese! Silenzio. A partire da ora tutti i cittadini saranno tenuti a cambiarsi la biancheria ogni 30 minuti! La biancheria sarà portata sugli indumenti. Per poter controllare. Oltre a ciò, tutti i ragazzi sotto il sedicesimo anno di età a partire da ora avranno 16 anni!” (Woody Allen, Il dittatore dello stato libero di bananas)
* Ross@ Verona
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