Che il risultato delle elezioni greche del 20 settembre sia stato una sorpresa è innegabile; era difficile immaginare che si sarebbe rivotata la stessa maggioranza che aveva ignorato il risultato referendario di Luglio firmando un memorandum peggiore di quelli precedenti e dello stesso testo che Tsipras aveva trattato fino alla decisione di indire il referendum. Era difficile immaginare che il taglieggiamento fatto dalla Unione Europea fosse accettato come dato di fatto ed i cui effetti l’anticipazione elettorale ancora non ha permesso di verificare. Inaspettato è stato anche il risultato di “Unità Popolare” che non è riuscita a superare la soglia del 3%.
Le cancellerie europee si sono affrettate a salutare l’esito elettorale come un fatto positivo, che crea stabilità economica e sociale, Hollande è stato tra i primi a congratularsi con Tsipras stesso. E questo già la dice lunga. Ma forse le cose non stanno esattamente così come ci vengono rappresentate, non si può ignorare il dato dell’astensionismo che è aumentato di 8 punti sulle elezioni di Gennaio. Un astensionismo che ha colpito tutti i partiti, a cominciare da Syriza che ha perso 300.000 voti, e che mostra un distacco non tanto da chi ha firmato l’accordo ma verso il sistema politico complessivo.
In questo senso il paese verrà governato da poco più del 20% di votanti, cioè da un quinto dell’intero elettorato. Ne questo esito garantirà la tanto agognata stabilità politica in quanto le misure che dovranno essere prese, quando espleteranno i loro effetti, non potranno che produrre reazioni sociali e conflitti dei quali Alba Dorata potrebbe essere un interlocutore credibile di fronte al cambiamento di fronte di Syriza e Tsipras. Non basteranno certo le dichiarazioni fatte nella notte elettorale ad evitare gli effetti del memorandum in quanto ci saranno a guardia degli accordi presi dei mastini teutonici ben agguerriti.
Tutte queste valutazioni sono reali ma non spiegano tutto, non ci si può limitare ad interpretare il dato elettorale senza andare a fondo dei processi che determinano non solo le condizioni materiali dei popoli ma anche le loro condizioni ideologiche, di visione del mondo, le loro percezioni dei processi materiali in atto. Certamente Tsipras rappresenta bene la deriva personalistica e socialdemocratica della sinistra europea e non ha esitato ad esautorare il partito ignorando ogni regola di democrazia interna; ma è il contesto che produce questi effetti nella società e nella sinistra ed è a questo che bisogna fare riferimento per andare oltre la contingenza, oltre le forme che di volta in volta si manifestano spesso anche in modo contraddittorio; e di tale contraddittorietà le vicende greche sviluppatesi dal gennaio di quest’anno ne sono un esempio eclatante.
Il contesto da cui inevitabilmente si deve partire è quello dei caratteri dell’Unione Europea, in quale modo si sta conformando questa moderna forma di imperialismo all’esterno ma anche all’interno del proprio dominio. A differenza di quanto è stato ripetuto come litania in questi anni quello che sta nascendo è un soggetto forte che, nella crisi e non in una fase di crescita, ha prodotto una moneta unica competitiva a livello mondiale, una centralizzazione degli apparti produttivi con la formazione delle proprie multinazionali, una gerarchizzazione sociale di tipo continentale (di cui la Grecia ne è la vittima per eccellenza) ma anche una capacità egemonica nel senso gramsciano più pieno.
Alla retorica dell’Europa come patria della democrazia, mentre si stilava una sorta di costituzione che ha privato i popoli di ogni possibilità di decisione, come patria dei diritti umani, come si vuole far credere con l’accoglienza pelosa che viene fatta verso i profughi in marcia verso il nord del continente, si unisce la rivendicazione di un ruolo forte internazionale. La forza usata contro Gheddafi ed oggi contro la Siria, quella mostrata verso Mosca nella vicenda Ucraina e quella stessa usata proprio contro la Grecia nel momento in cui sembrava che non potessero controllare più un processo di autodeterminazione assieme alla politica ipocritamente buonista e compassionevole produce egemonia e formazione del pensiero.
La scelta elettorale del popolo greco perciò non è stata solo determinata dai dati materiali ma da come in questi decenni sono stati abituati a pensare i popoli europei; dunque l’Euro diviene un tabù intoccabile senza spiegarne i motivi, né viene spiegato perché da anni la condizione sociale va peggiorando. Bisogna assolutamente rimanere nella UE perché al di fuori ci sono i barbari, siano essi arabi terroristi o migranti oppure slavi.
Insomma l’ideologia predominante afferma in modo martellante che questo è l’unico mondo possibile e dunque l’effetto che prevale è quello della logica del meno peggio che impedisce di vedere la gabbia in cui si è prigionieri. Anche l’elettorato di sinistra greco è stato travolto da questa logica quando i sondaggi gli hanno detto che Nea Dimokratia avrebbe potuto sorpassare Syriza penalizzando Unità Popolare ed il Partito Comunista Greco, forze che si sono opposte con determinazione e coerenza al memorandum.
D’altra parte questa stessa logica in Italia è ben conosciuta ed è quella che è riuscita a consumare e distruggere il patrimonio dei comunisti e della sinistra di classe coprendo a “sinistra” le politiche dei sindacati concertativi nei momenti di conflitto sociale. Oggi questa logica viene riproposta con l’ipotesi di un nuovo aggregato di sinistra che mette assieme i fuoriusciti dal PD e ciò che resta del PRC e di SEL. Insomma l’ennesima riedizione dei vari arcobaleni utili certamente a far prendere qualche scranno parlamentare ma dannosi al confitto di classe nel nostro paese.
Ma c’è un’altra lezione più importante da comprendere per chi si ritiene fuori dall’ambito istituzionalizzato e che vuole fare i conti con la costruzione di organizzazione e di lotte indipendenti. Il dato oggettivo che si è imposto in questi anni è che le condizioni di vita del popolo Greco sono drammaticamente peggiorate, licenziamenti, perdita dei diritti, pensioni di fame e tutto quello che gli stessi mezzi di comunicazione mainstream ci hanno raccontato. Nonostante tutto questo oggi se si sommano i voti di tutti i partiti comunque favorevoli alla permanenza nella UE e nell’EURO si arriva ad una cifra che va oltre il 70%, cioè circa il 40% effettivo dell’ elettorato greco. Questo ci dice molto chiaramente che il solo malessere sociale, il peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita non portano automaticamente ad una presa di coscienza del proprio stato, ad una ribellione contro le ingiustizie e le diseguaglianze. E’ necessario avere anche una visione del mondo, osare ipotizzare una alternativa sociale, fornirsi di una lettura della realtà che sia antagonista ed altrettanto potente dell’ideologia dell’avversario di classe.
E’ questo il terreno principale su cui accettare la sfida, un terreno che va oltre il solo conflitto sociale che oggi rischia di portare a chiusure corporative e regressive, certamente vissute come difesa di interessi e diritti sociali sacrosanti ma che negli attuali rapporti di forza tra le classi divengono impraticabili. Ed è in questo senso che va ipotizzata un’alternativa alla Unione Europea che può essere ravvisata nell’obiettivo di costruzione di un’area Euromediterranea sull’esempio dell’ALBA latino americana. E’ una ipotesi utopistica? Forse, ma che può dare carburante e forza politica ad un conflitto di classe che se lasciato senza riferimenti generali ed alternative non può che ripiegarsi su se stesso.
Rete dei Comunisti – 22 Settembre 2015
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