I terribili incendi che già hanno devastato quasi mezzo milione di ettari di selva amazzonica in Brasile hanno acceso il fuoco anche alla riunione del Gruppo dei Sette in Francia e hanno bruciacchiato, e lasciato in condizioni critiche, anche il trattato di libero commercio firmato recentemente tra l’Unione Europea e il Mercosur.
Paradossalmente, la vigliacca arrendevolezza dei governi neoliberisti del Mercosur ha salvato la riunione dei sette paesi capitalisti più industrializzati (Stati Uniti, Canada, Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna e Giappone) e ha dato una bella mano al presidente francese Emmanuel Macron per rilanciarsi come figura internazionale “a difesa dell’ambiente”.
Ma la cosa più importante è che, nell’immaginario collettivo internazionale, ha fatto fare ai paesi del Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay) la figura degli incompetenti sottosviluppati che hanno bisogno della tutela del mondo “civile” per sopravvivere, perché se si lasciano da soli distruggono il pianeta.
Gli incendi amazzonici si sono estesi con inaspettata rapidità sul terreno della diplomazia europea, quando il presidente francese Emmanuel Macron, ha accusato il suo pari brasiliano, Jair Bolsonaro, di avergli mentito circa i suoi impegni a favore dell’ambiente e ha annunciato la sua decisione di opporsi al TLC tra l’UE e il Mercosur.
Macron ha approfittato dell’enorme incendio dell’Amazzonia, delle provocatorie parole di Bolsonaro e, soprattutto, dell’assenza di reazione intelligente e sovrana degli altri tre paesi del Mercosur (Argentina, Paraguay e Uruguay), non solo per attaccare l’accordo segreto sottoscritto recentemente, ma per aprire la porta dell’offensiva del G7 per l’internazionalizzazione dell’Amazzonia, il polmone del pianeta (e, ovvio, alle sue risorse).
La mini-crisi diplomatica si è estesa al resto d’Europa, e la decisione di Macron è stata appoggiata dall’Irlanda. Anche Germania e Canada hanno rappresentato l’urgenza di parlare del tema dell’Amazzonia. Macron, in un discorso etichettato come manicheo, ha fatto presente che, per colpa di Bolsonaro e della sua politica nell’Amazzonia, si opporrà all’accordo tra l’Unione Europea e il Mercosur, e questo è servito per nascondere, ancora una volta, le responsabilità delle sette potenze nei drammi attuali, tra cui la diseguaglianza mondiale che promuovono.
Secondo documenti pubblicati questa settimana da un sito britannico, Bolsonaro e il suo gabinetto inondato di militari avrebbero un piano ben preciso per l’Amazzonia: costruire un’autostrada e una centrale idraulica nel cuore della selva, un progetto che data dall’epoca della dittatura militare brasiliana (1964-1983).
La reazione del governo francese è stata presa con cautela dal governo argentino, che aveva festeggiato alla grande il disuguale accordo di libero commercio tra il Mercosur e l’UE, siglato a giugno dopo 20 anni di negoziati. Però il governo neoliberista di Maurizio Macri è in uscita, e questo pone in dubbio il fatto che questo TLC sia approvato dal Congresso, tenuto conto dell’opposizione sindacale, imprenditoriale e, soprattutto, del settore produttivo.
Macron non ha parlato – ovviamente – del Giappone e della sua predatrice pesca alle balene, della Germania e della sua multinazionale Bayer, proprietaria dell’ecoterrorista Monsanto, dell’Italia e del suo disprezzo per la condizione umana di fronte alla crisi dei migranti nel Mediterraneo, e di tutti come promotori e somministratori di armi che alimentano conflitti come quello dello Yemen, spalleggiano dittature e fanno a pezzi la regione del Medio Oriente.
In un discorso più mediatico che politico, Macron ha chiamato i cittadini a “rispondere all’appello degli oceani e della selva che sta bruciando”, senza dimenticare che per la sua politica coloniale ancora vigente anche la Francia è un paese dell’Amazzonia (per via della Guyana Francese). “Non lanciamo un semplice richiamo, ma una mobilitazione di tutte le potenze” riunite a Biarritz, e questo “insieme ai paesi dell’Amazzonia per lottare contro il fuoco e investire nella riforestazione”, ha detto.
Anche l’ancora presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk ha messo in dubbio la ratifica dell’accordo commerciale tra l’UE e il Mercosur se il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, non combatte gli incendi nell’ Amazzonia brasiliana. E Tusk ha pure avvertito che «non faciliterà» il Regno Unito nell’abbandonare l’UE senza accordo.
Mentre Francia e Irlanda hanno minacciato di non approvare questo accordo, la Finlandia, che presiede attualmente l’Unione Europea, ha proposto d’imporre restrizioni alle importazioni di carne dal Brasile, il secondo fornitore di carne mondiale, come forma di pressione al paese per la preservazione dell’Amazzonia. «Non c’è possibilità che l’Irlanda voti a favore dell’accordo se il Brasile non rispetta i suoi impegni con l’ambiente», ha avvisato il premier irlandese Leo Varadkar.
La reazione di Macron si è originata nel mezzo di una estrema tensione tra i due paesi, un giorno dopo che Bolsonaro lo accusasse con un tweet di «avere una mentalità colonialista», che «strumentalizza una questione interna del Brasile e di altri paesi dell’Amazzonia» con «un tono sensazionalista che non contribuisce affatto a risolvere il problema».
Firmato a fine giugno, l’accordo UE-Mercosur, che creerebbe un mercato di 780 milioni di consumatori, è criticato non solo nei paesi del Mercosur, ma anche in Europa dal settore agricolo di vari paesi, oltre che da ecologisti e ONG. Parlamentari europei – a margine del vertice G-7- avevano avvisato della minaccia di Bolsonaro di «lasciare il Mercosur» se l’accoppiata Alberto Fernández-Cristina Kirchner dovesse vincere le elezioni in Argentina il prossimo ottobre.
Alcuni analisti europei preferiscono interpretare la crisi tra Brasile e alcuni paesi europei come un trionfo di Donald Trump, alleato di Bolsonaro e scettico sul cambiamento climatico (come il suo imitatore brasiliano), nemico del multilateralismo, dell’UE e dell’accordo UE-Mercosur.
Però, al di là del disuguale trattato di libero commercio, i sudamericani devono avere chiaro il fatto che dietro i discorsi di protezione ambientale, nella mente dei dirigenti dei sette principali paesi capitalisti, c’è l’impossessarsi del polmone del pianeta e delle sue enormi ricchezze.
* Giornalista e comunicatore uruguaiano. Dottore in Integrazione. Fondatore di Telesur. Presiede la Fondazione per l’Integrazione Latinoamericana (FILA) e dirige il Centro Latinoamericano di Analisi Strategica (CLAE, www.estrategia.la)
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