“ IL Corriere della Sera” di ieri 20 Dicembre dedica molto spazio all’esposizione dei contenuti e all’analisi critica della nuova legge di stabilità: emergono, in particolare negli articoli di Sergio Rizzo e Dario Di Vico, giudizi negativi molto severi, sui quali vale la pena di riflettere.
Si tratta di una Legge di Stabilità (o “Finanziaria”) particolarmente farraginosa: 933 commi, seconda soltanto a una celebre “Finanziaria – omnibus” di qualche anno fa, governo Prodi e maxi-coalizione con 1.364 commi. Erano i tempi dell’Unione con membri del governo “rottamati” per far posto alla “limpida efficienza della governabilità espressa dal governo Renzi”.
I titoli dei servizi rendono plasticamente la realtà del provvedimento: “Casinò, calciatori, festival, cori e bande. Le mance di una legge da 35 miliardi. Risorge la vecchia finanziaria delle lobby sotto le ceneri della “Stabilità”.
E ancora “Mille commi e un salto nel passato”.
Alcuni passaggi fanno pensare: l’evidente elettoralismo dell’abolizione della TASI sull’abitazione principale al di fuori da qualsiasi valutazione di reddito e di ricchezza immobiliare; il paternalismo propagandistico dei 500 euro ai diciottenni; il regalo agli evasori con il tetto dei 3.000 euro; il retrogusto di un passato da dimenticare negli sgravi per le famiglie numerose.
Nulla per lo sviluppo, nessun provvedimento di riequilibrio delle diseguaglianze, nessun accenno a una logica di minima redistribuzione.
Neppure un minimo di visione di stampo – almeno – socialdemocratico.
Molti interventi a pioggia, tanto da far esclamare a qualche sperimentato lobbista travestito da parlamentare rispetto al soddisfacimento di qualche esigenza corporativa : “non c’è nemmeno da aspettare il milleproproghe”.
Naturalmente per noi, accaniti propugnatori di una forte opposizione da sinistra non si tratta di sorprese ma di conferme: non c’è traccia di una fuoriuscita dalla logica dell’austerità rivolta da rivolgere alle fasce di maggiore difficoltà sociale:in compenso dalle classiche mance si può ben cucire l’antica “veste d’Arlecchino”.
E’ giusto sottolineare questi dati sui quali riflette anche la grande stampa di quella che fu la borghesia italiana: una riflessione quella critica di origine “Corriere della Sera” proveniente da una non condivisibile visione liberista proveniente dalle espressioni del capitalismo italiano sempre più in difficoltà anche nel confronto con l’Europa.
Non è stato neppure accolto il suggerimento di una nota aggiuntiva che esplicitasse le scelte.
Insomma: una legge di stabilità che fornisce il quadro dell’arretramento culturale che questo governo ha fin qui espresso appieno se pensiamo a certe dichiarazioni del ministro del lavoro o di quella della pubblica istruzione assolutamente dimostrative di una vera e propria “cultura dell’indietro”.
L’importante per Renzi e il suo giglio magico rimane il mantenimento del potere così com’è, in una chiave sostanzialmente catto – fascista (ripensiamo, in questo, agli sgravi per le famiglie numerose).
Contemporaneamente emerge, su di un versante diverso da quello della legge di Stabilità, l’insieme delle relazioni da “familismo amorale” che regge il rapporto al governo tra i tre esponenti toscani.
Quel “familismo amorale” che Banfield individuò come uno dei grandi mali italiani e che forse rappresenta la cifra vera della logica che muove l’azione di questo governo.
Colleghiamo ancora a questi elementi quelli provenienti dall’impostazione data alle “deformazioni istituzionali” e all’Italikum e l’assoluta negatività del quadro risulterà completa.
Parlare di “vecchi tempi”, quelli dello sfruttamento , della democrazia autoritaria, delle corporazioni, può essere giusto, ma forse addirittura riduttivo: e pensare che c’è chi si ritiene alfiere della “modernità”.
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