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2015 Anche Madrid verso la Grande Coalizione?

Il voto per il rinnovo del Parlamento spagnolo ha confermato una tendenza continentale alla frammentazione del quadro politico e all’emersione di nuovi soggetti elettorali. Due elementi che possono essere considerati tra i principali risultati del processo di unificazione europea e delle contraddizioni – a partire dalla gestione antidemocratica ed antipopolare della crisi economica da parte dell’establishment dell’Ue – che esso genera.

Il voto spagnolo ha invece espresso, su un altro versante, un elemento di controtendenza rispetto al generale calo della partecipazione alle elezioni; alle urne si è recato infatti un 4.3% in più di aventi diritto rispetto alle legislative del 2011, frutto della gravità della situazione sociale provocata dalle misure draconiane adottate sotto dettatura di Bruxelles da parte prima dei socialisti e poi dei popolari, e della presenza di nuovi movimenti politici mobilitanti a partire da un messaggio politico di (parziale) discontinuità rispetto al quadro tradizionale.

Il vaticinato crollo dei due partiti dell’alternanza c’è stato, ed è stato consistente. Ma comunque le due principali forze su cui si è basato il regime uscito dall’autoriforma del franchismo hanno retto e insieme rappresentano un cinquanta per cento dell’elettorato, dato che un sistema elettorale antidemocratico e tendente a premiare i grandi partiti a scapito delle forze di media entità trasforma in 213 seggi sui 350 totali, cioè più del 60%. Ai quali occorre sommare il 14% ottenuto dalla nuova destra guidata da Albert Rivera. Il che significa che i partiti dell’establishment ottengono il 65% dei voti e il 72% dei seggi.
Non si può non segnalare in questo contesto il tracollo di due forze di sinistra dalle caratteristiche assai diverse, Izquierda Unida a livello statale e Bildu nel Paese Basco. La prima paga la propria timidezza rispetto al tema della rottura con l’Unione Europea mentre le sinistre basche sembrano immobilizzate da una crisi di identità e di progetto che rischia di gettare alle ortiche un enorme capitale politico, di lotta e ideologico in nome delle priorità di un ‘processo di pace’ che non è mai partito e che lo Stato Spagnolo non ha alcuna intenzione di portare a termine. 
L’affermazione dei movimenti sorti in reazione alla crisi di rappresentanza del sistema politico tradizionale e alla corruzione che lo contraddistingue, oltre che al massacro sociale a cui Madrid è stata sottoposta dal micidiale meccanismo implementato dall’Unione Europea, c’è stata ed è stata consistente. Da una parte Podemos ha fatto irruzione alle Cortes (ma il 20% che gli viene attribuito contiene in realtà le percentuali ottenute in Galizia, Catalogna e Comunità Valenzana da coalizioni che includono forze politiche locali, alcune consistenti), dall’altra a destra si è affermato un partito che utilizza toni ‘anticasta’ ma che di fatto recupera alcuni dei tratti più reazionari della destra storica spagnola: autoritarismo sociale, centralismo, ultraliberismo. Comunque Ciudadanos non ha ottenuto i consensi necessari a mettere in discussione il primato del Partito Popolare, che nonostante il tracollo rimane la prima forza del paese e la cui classe dirigente spera di recuperare alle prossime elezioni voti e seggi facendo dimenticare le proprie responsabilità. 
Fatto sta che il Parlamento emerso dalle elezioni di ieri nello Stato Spagnolo è molto frammentato e non sarà facile formare una maggioranza. Non ne esiste né una di destra – popolari più Ciudadanos – né una “di sinistra”, formata cioè dai socialisti (che è davvero assurdo considerare ancora all’interno dello schieramento progressista), da Podemos e da una Izquierda Unida che quasi scompare dalle Cortes. Per dare la maggioranza alle ‘sinistre’ occorrerebbe l’appoggio di un certo numero di partiti nazionalisti che renderebbero la compagine ancora meno stabile.
D’altro canto pensare che si possa formare una coalizione di governo tra Socialisti, Podemos e Ciudadanos vuol dire esercitarsi nell’arte della fantapolitica.
Il che lascia aperte due strade: o lo scioglimento della camera per indire nuove elezioni, sperando che gli elettori riducano e non amplifichino la frammentazione istituzionale emersa ieri. Oppure la formazione di una grande coalizione tra i due partiti del sistema, che potrebbe garantire la stabilità necessaria alle élite locali e all’establishment continentale in grado di portare avanti le priorità dei mercati e delle oligarchie che governano l’Ue. Se si alleassero, i ‘rivali’ del Pp e del Psoe avrebbero a disposizione un’ampia maggioranza parlamentare in grado di continuare la politica di austerity, di tagli ai salari e alle pensioni, di precarizzazione del mondo del lavoro e di controriforma autoritaria anche in tema di diritti democratici e sociali che le due forze hanno implementato negli ultimi otto anni. Anche se il rischio è che l’ammucchiata possa penalizzare ulteriormente i socialisti e rafforzare la destra storica.
Ma d’altronde quella della “grande ammucchiata” tra le formazioni espressione dell’establishment, vecchie e nuove, sembra essere negli ultimi anni la soluzione preferita per conferire un governo stabile ai diversi paesi che fanno parte dell’Unione Europea. E questo sia che si tratti di Pigs sottoposti ai diktat della Troika sia che si tratti dei paesi che guidano il processo di gerarchizzazione autoritaria dello spazio politico, economico e militare europeo. Dalla Grecia dove per bloccare l’ascesa di Syriza i socialisti del Pasok hanno a lungo governato insieme a Nea Dimokratia, fino alla Germania dove la Merkel è sostenuta anche dai socialdemocratici, passando per l’Italia dove Renzi ha bisogno del sostegno di Alfano e Verdini, pezzi consistenti del blocco reazionario. Ed anche in Francia, dove pure formalmente l’alternanza viene rispettata (grazie al sistema elettorale a doppio turno), a sbarrare la strada alla vittoria del Front National alle recenti elezioni territoriali ci ha pensato una “grandissima coalizione” elettorale che andava dai gollisti fino al Front de Gauche. L’unica priorità sembra quella di garantire governi più o meno stabili ai paesi squassati dal processo di unificazione europeo e di bloccare l’ascesa di movimenti di natura assai diversa – dalle destre estreme agli euroscettici di destra, passando per i populisti fino a forze progressiste o di sinistra – che mettono in discussione gli equilibri consolidati se non i cardini del sistema politico. Ma ovviamente l’alleanza tra le tradizionali famiglie politiche che si sono alternate al potere fino a qualche anno fa, in nome di uno sfrontato “non si cambia”, non fa che aumentare le contraddizioni all’interno dello spazio europeo, rivelando quanto sia limitata la facoltà da parte degli elettori di incidere davvero e di determinare rotture con il quadro imposto dalla gabbia rappresentata dall’Unione Europea e dalle sue necessità. Il che potrebbe portare – il che dipenderà anche dal protagonismo che le forze realmente antagoniste sapranno conquistare nell’immediato futuro – ad un aumento della conflittualità e dell’instabilità politica.

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