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Elogio del posto fisso ( e di chi ce l’ha)

La competizione universale davvero fa crescere l’economia rende migliore la vita? C’è da dubitarne profondamente, sia per quanto riguarda il primo tema che il secondo.

Un intervento intelligente, in punta di penna, che smonta buona parte delle pseudo-argomentazioni neloliberiste, entrate nel frattempo nel capalogo dei luoghi comuni che non  significano nulla. Un inno alla differenza reale tra gli individui, che pure figura tra i totem (sempre dimenticati nella pratica) del pensiero liberale.

Con buona pace della “competitività”. Che è una cosa molto piacevole e divertente nello sport, per esempio, o in tutti i giochi che l’umanità riesce ad inventare. Ma che è un criterio inumano se esteso alla possibilità – oppure no – di trovar di che vivere. In questo caso, infatti, quell'”uno su mille ce la fa” che giustamente pretendiamo dalla competizione sportiva diventa “uno su mille sopravvive”. E gli altri muoiano pure.

E non è che chi sopravvive sia necessariamente il più intelligente. Basta che sia, com’è sempre stato, il più feroce.

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Ciao a tutti,

voglio confessare un orribile peccato: io sono una statale con il posto fisso. Lo so, me lo ripetete ormai tutti i giorni e da tutti i pulpiti: sono la rovina di questo paese. Se l’Italia non è la nazione più sviluppata al mondo, e non abbiamo imprese astronautiche, startup fantascientifiche e distretti specializzati in ogni cazzabubbolo informatico è colpa mia. Sono io che blocco con la mia sola esistenza le magnifiche sorti progressive dello Stato. Sono un’infingarda dalla mentalità ristretta, ancorata al vecchio, arroccata nei suoi privilegi, che poi sarebbero uno stipendio a fine mese, una serie di compiti precisi da svolgere per contratto, un certo numero di giorni di ferie all’anno, un orario stabilito da passare al lavoro, e la possibilità, se mi ammalo, di restare a casa o in ospedale a curarmi, senza essere licenziata. A mio personale, personalissimo avviso, questi dovrebbero essere i diritti minimi riconosciuti ad ogni lavoratore, qualsiasi cosa faccia. Ma se lo dico, c’è una levata di scudi, perché pare che siano privilegi immondi e che sia irresponsabile da parte mia difenderli, perché, c’è sempre chi aggiunge, per moltissimi altri lavoratori in Italia non è così, e quindi mi devo vergognare e stare zitta. A rinfacciarmelo, spesso, sono proprio quelli che non hanno tutele, e posso capire la loro rabbia, per carità. Ma mi sfugge sempre perché pensino che la loro vita diventi migliore se fanno diventare ancora più schifosa la mia: ho sempre notato che il mal comune non è mezzo gaudio, è solo una fregatura per tutti.

Ad onta di quello che potete pensare di me, e cioè il peggio, sono una brava persona. Che molto spesso anni fa ha fatto una scelta, sulla base delle circostanze della vita e anche delle inclinazioni personali.

Io, per esempio, a fare la libera professionista o l’imprenditrice non sono brava. Non è mica una cosa per tutti, quella, eh. A parte che bisogna avere un’idea per un’impresa, bisogna anche poi, e soprattutto, avere il carattere per reggere lo stress. Devi trattare con le banche, pensare agli investimenti, ai mutui, la contabilità, le tasse. Devi saper fronteggiare le ansie, saper reclamare i soldi dai clienti che non vogliono pagare o sono in ritardo, ragionare sempre con scadenze a tre mesi, sei, un anno. Non tutti ce la fanno: io, per esempio, no. A non avere la certezza di un’entrata fissa non mi sento stimolata, mi viene l’ansia, vado nel panico, e quando sono in panico non rendo nulla. Detesto essere aggressiva, mi vengono il mal di stomaco e la gastrite. Odio poi la competizione continua con tutto e tutti, colleghi che possono fregarti la consulenza o la commessa, altri professionisti o ditte che giocano magari sporco. Quindi, dopo aver sperimentato che non fa per me e valutato la situazione, ho deciso che non faceva per me. Ho perciò deciso che volevo un posto fisso da dipendente, con uno stipendio magari non regale ma dignitoso, e la possibilità di avere del tempo libero per me e dei ritmi umani, perché in fondo la vita è pure una sola, e per quanto il lavoro mi possa piacere e dare soddisfazioni, secondo il mio modesto parere è sano avere anche altro.

Quando sono al lavoro, vi stupirà scoprirlo, io lavoro. Mi direte che magari altri non lo fanno. Eh, guardate, quello ovunque. Anche nelle ditte private o fra i libero professionisti ed imprenditori c’è sempre qualcuno che non fa un beamato caspita o lo fa male, e magari non viene licenziato o continua a essere chiamato lo stesso perché è parente di, o figlio di, e prende comunque incarichi e commesse perché va a giocare a golf  o ad altro con chi le deve assegnare. Conosco imprenditori ricchi che sono vissuti una vita con questo sistema, e liberi professionisti a cui non affiderei la gestione del mio criceto. Quindi non è certo il posto fisso o l’aspirazione ad averlo il discrimine fra le persone intelligenti e smart e quelle no.

Io forse non sono una persona brillante, e sono molto comune. Ma il mondo, pensate un po’, è fatto per larga parte da persone come me. Che magari non sono incredibili geni, ma fanno decorosamente quello per cui sono pagate e in cambio vogliono poter essere tranquille, impostare la loro vita su qualcosa di certo, uno stipendio a fine mese, che ti permette di comprarti o affittarti casa, avere la macchina, comprare il cibo e ogni tanto concederti una vacanza o un viaggio. Non vogliamo diventare ricchi, e nemmeno rivoluzionare il mondo, perché siamo consci che non fa per noi e non ne saremmo capaci. Ma siamo quelli che poi, quando voi geni avete fondato le imprese, e avuto idee innovative, vi danno una mano a far andare avanti l’ordinario, proprio perché siamo ordinari come lui.

Non disprezzateci. Non siamo intelligenti e coraggiosi come voi, ma neanche ci proviamo. Siamo dispostissimi a lasciarvi gli onori, e i successi, e lo sfavillio della gloria e l’esaltazione della battaglia, se ci tenete. Noi ci accontentiamo di una noiosa tranquillità, del nostro tran tran, e lavoriamo ogni giorno per costruirlo.

Se ci stressate, ci togliete tutto, ci spingete a vivere come voi, noi non ce la facciamo. Ma alla lunga, non ce la potete fare nemmeno voi. Perché il mondo è fatto di equilibri complessi, e tutti i tipi di persone sono fondamentali perché la società funzioni come deve. Voi fondatori d’imperi siete tutti Alessandri Magni, ma poi ci vogliamo noi, o come con gli Alessandri Magni a breve giro tutto collassa. L’impero romano non è durato mille anni solo per i suoi generali, ma per la pletora di burocrati oculati nelle retrovie, che rifornivano le legioni, distribuivano gli stipendi alla truppa, stilavano rapporti sui barbari ai confini, controllavano che ogni città pagasse le tasse e facevano la manutenzione delle strade. Quindi state attenti a maltrattarci, perché poi, nei momenti in cui serve, spesso siamo noi, oscuri e grigi passacarte, a risolvere i problemi quotidiani e  salvarvi il culo.

E allora che vi devo dire? Niente, noi del posto fisso raramente alziamo la voce. Puntiamo sulla resilienza. Ci becchiamo gli insulti e non rispondiamo, se non mandandovi spesso e volentieri a remengo a mezza bocca, fra i denti, quando nessuno ci sente, consapevoli che se non ci fossimo gran parte di quello che date per scontato nella vostra vita non ci sarebbe.

Ridete pure di noi, se così vi piace, sentitevi migliori, e più smart,e più moderni, attribuiteci il fallimento dello Stato, e ogni guaio della nostra civiltà. Poi quando vi servono magazzinieri, e contabili, e insegnanti per i vostri figli, e infermieri e dottori quando state male, e vigili del fuoco, e poliziotti, e impiegati e portinai e postini e camerieri e non ne trovate di bravi perché a furia di assumere precari e di minacciarci con il licenziamento immediato nessuno più riesce a stare tranquillo e siamo tutti isterici e arruffoni, chiedetevi perché.

O anche no, non lo so, gli intelligenti siete voi, ecco.

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