Se un intervento mantiene intatta la sua attualità a due anni di distanza, vuole dire che siamo dentro una tendenza progettata, non a una caduta di attenzione scatenata dalla carenza di risorse o dall’ottusità di un ministro.portaborse messo lì per questioni di spartizione tra poltronisti allupati.
E sulla distruzione della riproduzione della scienza libera, pubblica, condivisa, non esiste praticamente più alcun dubbio. “Hanno scelto l’ignoranza” è una sintesi perfetta del doppio movimento in atto da oltre venti anni: privatizzazione della conoscenza di alto livello e smantellamento di ricerca ed università pubbliche. Ossia aperte a tutti e con l’unico criterio di selezione affidato al merito, non al censo.
Basti vedere, qui in Italia, come vengono trattati i ricercatori – quelli dell’Ispra sono solo l’esempio più eclatante – specie in materie che possono disturbare l’operatività stragista e criminale del capitale privato. Esageriamo? Ma cosa accade se le rilevazioni scientifiche sull’ambiente (come sull’alimentazione o la farmacologia) vengono sottratte al controllo pubblico indipenendente e ricondotte sotto il dispostismo del “privato”? Davvero qualcuno può credere che un’impresa farà il “bene comune” anziché il profitto privato?
Per questo, in generale, “hanno scelto l’ignoranza”…
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Un gruppo di scienziati si è fatto portavoce di una protesta che sta scuotendo l’intero mondo della ricerca contro i tagli messi in atto dalla politica, pubblicando qualche giorno fa una lettera aperta rivolta ai governanti e al Parlamento Europeo. I firmatari, provenienti da Paesi con situazioni in realtà eterogenee per quanto riguarda la ricerca scientifica (Italia, Spagna, Grecia, Francia, Germania, Portogallo e Inghilterra), hanno riscontrato similitudini molto forti nelle politiche attuate nei confronti della ricerca e dello sviluppo: tagli, tagli e ancora tagli.
Lo slogan che guida la protesta, “They have chosen ignorance” (hanno scelto l’ignoranza), sintetizza molto bene le paure che i ricercatori hanno tradotto in poche righe. In questo periodo di crisi economica le istituzioni europee hanno deciso di ridurre drasticamente i budget dedicati alla ricerca e allo sviluppo (R&D), settore che invece potrebbe aiutare a fortificare il modello produttivo di molte nazioni. Amaya Moro-Martin, un’astrofisica firmataria della lettera, spiega su Nature che, tra i tanti esempi da poter citare, alcuni spiccano. Dal 2009 l’Italia ha visto calare i posti disponibili per ricercatori di circa il 90% e gli investimenti in ricerca di base arrivare quasi a zero. In Spagna la situazione non è migliore, visto che gli investimenti dedicati alla ricerca sono diminuiti del 40% e solo il 10% dei ricercatori arrivati alla pensione sono stati sostituiti. La Grecia ha dimezzato il budget previsto per i centri di ricerca e le università, mentre il Portogallo potrebbe essere costretto a chiudere la metà delle sue unità di ricerca. I tagli, spiega la lettera, sono stati intimati dall’Europa per cercare di ridurre il deficit di queste nazioni ma anche in paesi virtuosi come la Germania, che ha raggiunto l’obiettivo di spendere il 3% del suo PIL nella ricerca, qualcosa sta cambiando. Qui infatti il numero di ricercatori che lavorano con un contratto a tempo determinato è salito all’80%, favorendo l’idea della ricerca come lavoro precario.
Una situazione che sta quindi diventando insostenibile. Francesco Sylos Labini, ricercatore presso il centro Enrico Fermi di Roma e tra i promotori dell’iniziativa, ricorda dalle pagine web di Science che “siamo ad un punto critico. Se non ci sarà un reale sforzo da parte di chi governa per cambiare direzione, tutto il sistema della ricerca pubblica (italiana e non) non resisterà per molto”.
La risposta dell’Europa a questo appello (risposta solo preliminare, ci auguriamo, alla quale ne seguiranno altre, più concrete) è arrivata attraverso Jean-Pierre Bourguignon, presidente dello European Research Council (ERC). Il budget riservato dalla Comunità Europea alla ricerca, dice, è cresciuto dai 55 miliardi di euro del periodo 2007-2013 agli 80 miliardi previsti per il 2014-2020. Tuttavia, ammette, le misure di austerity messe in atto in molti Paesi hanno seriamente compromesso il settore della ricerca.
Per ricordare al mondo politico che abbandonare il mondo della ricerca avrà pesanti ripercussioni nel futuro, i firmatari della lettera chiedono a scienziati, cittadini e a chiunque stia a cuore la scienza di diffondere e firmare l’appello, che ha raccolto al momento circa 5000 firme. Si tratta solo di una delle iniziative previste per protestare contro i tagli alla ricerca. È partito infatti lo scorso 26 settembre un tour in bicicletta della Francia, Sciences en Marche, che vede protagonisti 25 scienziati francesi e che terminerà a Parigi il prossimo 17 ottobre. Sono previsti, inoltre, incontri nelle principali Università italiane, una manifestazione a Madrid e una conferenza stampa a Roma. EuroScientist ha aperto un blog per promuovere la discussione e dove è possibile seguire tutte le iniziative in atto.
da https://oggiscienza.it
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