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Referendum: una battaglia persa in partenza?

Politicamente parlando, Renzi è un delinquente (come dimostra questa riforma della Costituzione e le mascalzonate che l’hanno preparata), però è abile in certe cose. Ad esempio è un vero illusionista nel far credere che le sue riforme stiano migliorando il paese (e, anche se sono sempre meno, c’è sempre chi ci crede) ed è un mago nell’ipnotizzare l’avversario, convincendolo che ha già perso. Così, sta creando la sensazione di un referendum già vinto, per cui non vale la pena di impegnarsi. E molti ci stanno abboccando, come dimostra l’incredibile uscita di Bersani, dei radicali e del gruppo parlamentare 5 stelle sullo “spacchettamento” del referendum, puerile espediente che vorrebbe limitare o addirittura vanificare l’effetto plebiscito.

E’ una tale fesseria che può essere solo il frutto del panico di chi pensa che la partita sia persa in partenza.  Per quanto io non abbia un concetto particolarmente alto di Bersani, non posso credere che sia così bestialmente schiappa da pensare a mente fredda una scemenza del genere.

Il ragionamento è questo: Renzi ha il controllo della Rai ed ha dalla sua la maggioranza dei giornali, presenta il referendum come l’abolizione di inutili lungaggini legislative, cavalca l’onda antipolitica parlando di un risparmio della spesa politica ed un colpo alla “casta” e conta sul fatto che Berlusconi, alla fine, per non contraddirsi sul voto dato a favore in parlamento, si schiererà per il si, lasciando soli i 5 stelle e la Lega. Dunque, la frittata è fatta.

E, invece, è spuntato un sondaggio che attribuisce il 52% al No ed il 48% al si, anche se con una fascia di oltre il 25% di Non so-Non risponde. Certo, un valore poco indicativo, data quella percentuale altissima di indecisi, ma dopo una settimana il nuovo sondaggio di Ixè per Agorà porta al 54% i no e dice che gli italiani che pensano di andare a votare sono il 72% (erano il 74% sette giorni prima).  Poi sulla Stampa del 18 us, è comparso  un altro sondaggio che dà  il Si in ancora in vantaggio, ma con un trend fortemente sfavorevole per il quale in una sola settimana avrebbe perso il 7% e con uno stacco tutt’altro che insormontabile e per di più, anche qui, la tendenza ad una percentuale di votanti sensibilmente più alta del solito è confermata.

Certo i sondaggi valgono quel che valgono (soprattutto tanto prima del voto), però, prima delle votazioni sono il punto di riferimento più affidabile su cui ragionare, anche se prendendoli con largo beneficio di inventario e, in questo caso ci sono almeno tre punti su cui riflettere.

Primo: nelle politiche del 2013 i votanti furono il 67,89% degli aventi diritto, nelle europee dell’anno successivo calarono al 57,22%. Quindi i sondaggi segnalano una partecipazione superiore di circa 5 punti sulle politiche e di 15 sulle europee. Nelle successive elezioni regionali (parziali) la partecipazione è ulteriormente scesa. Bisogna riandare indietro di parecchi anni per ritrovare una partecipazione superiore al 70%. Dunque ci sarebbe un flusso in entrata dall’astensione che modifica sensibilmente il quadro

Secondo: il trend appare decisamente in discesa per il Si che, nelle stime di febbraio era dato oltre il 75%. Questo forte calo può spiegarsi (sempre che poi si verifichi e che le stime di febbraio fossero approssimativamente esatte) con il fatto che sino ad un mese fa la voce del no era quasi assente dal dibattito, mentre si svolgeva una martellante campagna del governo a favore della riforma. Quando è iniziato il confronto fra le opposte tesi, c’è stato un riequilibrio fra i due schieramenti. E’ però probabile che abbiano inciso altri fattori come l’attivazione di quella fascia che rientra dall’astensione, il compatto passaggio al No della destra che lascia isolato il Pd, le disavventure giudiziarie degli esponenti Pd. Sta di fatto che il trend favorevole al No sembra ulteriormente rafforzarsi, ed i sondaggi promettono sostanzialmente un testa a testa. Io sarei molto cauto a gridare ad una vittoria del No: un 54% fa presto a diventare un 49,5, soprattutto se si tratta di sondaggi a sei mesi dal voto e con un margine di indecisi così ampio. Quello che però si capisce è che anche i sostenitori del Si sono nelle stesse condizioni, per cui la sensazione di vittoria del Si “a mani basse” è assolutamente irrealistica.

Terzo: il calo delle previsioni favorevoli al Si è da considerare parallelamente al calo, sempre nei sondaggi, sia della personale popolarità di Renzi (che è al punto più basso dall’inizio della sua ascesa), sia del governo (anche questo al punto più basso), sia delle intenzioni di voto al Pd che, in tutti i sondaggi è dato stabilmente intorno al 30% e molto lontano da quel 41% delle europee che ha costruito il mito della imbattibilità di Renzi. Dunque, è plausibile che sul calo dei Si abbia influito negativamente la “promessa” di Renzi (“Se perdo al referendum me ne vado”) e il calo di consensi a lui si è riflessa tanto sul Pd quanto sul Si al referendum. In questo modo, Renzi fornisce agli elettori non un motivo per votare No, ma due motivi: battere una riforma sgangherata e mandare a casa il governo che l’ha portata avanti.

Queste tendenze avranno poi un banco di prova nelle amministrative fra un mese: se il Pd dovesse uscirne battuto (come caldamente speriamo) questo confermerebbe il trend sfavorevole con ovvi riflessi sul referendum. Come nelle precedenti elezioni, scriveremo in un apposito pezzo quale sia la serie di “asticelle” al di sopra o al di sotto delle quali si può parlare di vittoria o sconfitta per ciascun giocatore.

C’è poi un altro elemento da considerare: come si sa i cattolici del family day hanno annunciato il loro No al referendum come ripicca per il voto sulle unioni civili. Anche qui non bisogna nutrire troppe aspettative, sia perché una parte significativa della gerarchia si è schierata per il Si (vedi l’articolo su Civiltà Cattolica, l’organo dei gesuiti), sia perché una parte di quegli elettori avrebbero comunque votato no, essendo elettori di Fi o di altre forze di destra. Però è plausibile che l’orientamento del Family day inciderà soprattutto fra gli elettori di Casini ed Alfano, per cui è realistico che questo sposti a favore del no un paio di punti percentuali, che, in una competizione sul filo di lana come questa non è davvero poco.

Magari, prossimamente faremo qualche stima più precisa, intanto direi che possiamo concludere che il mito della “invincible armada” dell’ammiraglio Renzi è solo una favola: la battaglia non è affatto persa. Occorre crederci e correre “pancia a terra” per vincere.

da http://www.aldogiannuli.it/

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