La situazione sta diventando così pesante,a livello internazionale, che ben pochi osano “dirazzare” rispetto alle veline della Nato e dell’Unione Europea. Tra questi, gli analisti degli organi di informazione della Chiesa. Ovvero di un potere con 2.000 anni di esperienza sulle spalle e che probabilmente sta maledicendo questi deficienti servi della Nato, che rischiano di far esplodere tutto per insipienza e presunzione di potenza.
Da leggere.
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Fanno sorridere i toni aciduli con cui molta stampa ha accolto l’incontro tra Recep Erdogan e Vladimir Putin a San Pietroburgo. I due presidenti sono stati trattati come reprobi che si stringono l’un l’altro in cerca di conforto dopo essere stati emarginati dal mitico Occidente. Nulla spes fuori dall’ombra degli Usa, insomma. E d’altra parte sono due dittatori, regnano su regimi impresentabili, che ci si poteva spettare? Ragionando in questo modo si corrono due rischi. Il primo è di far non sorridere ma proprio ridere.
Tutti i nostri Paesi, Italia compresa, intrattengono rapporti cordiali con regimi orribili. L’Unione Europea ha svolto la prima edizione dei Giochi Europei, l’anno scorso, in quell’Azerbaigian che è proprietà privata della famiglia Aliev e dove chi non è d’accordo finisce in carcere. La signora Clinton, che tutti vogliono vedere alla Casa Bianca, salda i conti con i denari gentilmente offerti dai sauditi, quegli stessi che poco tempo fa (si veda Wikileaks) lei stessa giudicava i primi finanziatori del terrorismo islamico. In Italia nessuno batte ciglio se il Qatar spende e compra, compresa mezza Milano.
È la politica. Pensare che le sue leggi valgano solo per noi è, appunto, ridicolo. Ancor più importante, però, è un’altra considerazione. Nel riavvicinamento tra Erdogan e Putin c’è, certo, la legge della convenienza. Prima che calasse il grande gelo, dopo l’abbattimento del caccia russo al confine con la Turchia nel novembre 2015, i rapporti tra Russia e Turchia erano ottimi e l’obiettivo comune era raggiungere i 100 miliardi di interscambio commerciale. Sempre nel 2015, la Russia era il secondo Paese per importazioni dalla Turchia e il terzo (con la Cina prima) per le esportazioni in Turchia. Ma questo secondo matrimonio Russia-Turchia ha anche ragioni più profonde. Diciamo pure strategiche. I due Paesi affacciano sullo stesso Mar Nero che è diventato uno dei luoghi centrali della geopolitica americana. Lì c’è l’Ucraina, che la Casa Bianca di Obama ha voluto sottrarre all’influenza di Mosca. C’è la Moldavia, dove da anni si sviluppa un confronto tra pro-Ue e pro-Russia che ricorda la crisi ucraina.
C’è la Romania, dove è appena diventato operativo il sistema missilistico Aegis varato, come il sistema gemello in Polonia, in funzione anti-russa. C’è la Bulgaria, che nel 2014 fu costretta dalla Ue a far saltare il gasdotto South Stream, sponsorizzato dal Cremlino, come reazione alla guerra in Ucraina e che ora medita di riprendere il progetto. Sull’altro lato c’è la Georgia, per anni feudo Usa affidato a Mikhal Saakashvili, non a caso nel 2015 richiamato in servizio contro i russi, questa volta da governatore della regione di Odessa in Ucraina. Quel che resta sono, appunto, Russia e Turchia. Paesi troppo grandi e forti per rassegnarsi al vassallaggio, ma non così grandi e forti per competere alla pari con gli Usa. Non è naturale che cerchino un rapporto? Le intese sul nucleare e sul gas, stipulate prima della “crisi del caccia abbattuto”, andavano proprio in questa direzione e riconoscevano, prima che la reciproca convenienza, uno stato di fatto geopolitico.
Con quello che è successo in Ucraina e in Romania per la Russia, e ciò che Erdogan dice essere successo in Turchia, cioè un golpe tentato da personaggi protetti dagli americani, alle altre ragioni si è semmai sommata l’urgenza. E se davvero son stati i servizi segreti russi ad avvertire il Presidente turco del complotto, come si dice in giro, il quadro è completo. La stessa cosa avviene sul fronte del Medio Oriente. Sulla Siria, Putin diceva “Assad deve restare” ed Erdogan diceva “Assad deve andarsene”. L’uno e l’altro hanno portato a casa un mezzo successo, cioè un mezzo insuccesso. Assad resiste, ma a capo di che? Senza un accordo politico che dia soddisfazione ai suoi burattinai, il Daesh non potrà essere eliminato. Nello stesso tempo, se Russia e Iran non portano a casa qualcosa, nessun cambio potrà avvenire a Damasco.
Sia Putin sia Erdogan hanno interesse, dopo anni di guerra, a trovare un compromesso, meglio se prima della probabile elezione di Hillary Clinton, che non sia generato dal trio Usa-Arabia Saudita-Curdi. Putin non può impantanarsi in una guerra eterna. Erdogan ha bisogno di andare d’accordo con la Russia e, tramite quella, con l’Iran e con l’Iraq influenzato dagli ayatollah, in un’area dove la penetrazione economica della Cina è sempre più forte. Il patto verrò forse siglato proprio sulla testa di Assad, che andrà all’esilio dorato di Mosca e lascerà spazio a un successore gradito ai belligeranti vicini e lontani. Di nuovo: convenienza ma, più ancora, una comune chiamata geopolitica.
da Avvenire del 10 agosto 2016
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