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Dalla Brexit una spinta democratica e popolare per l’Ital/Exit

Il risultato del referendum popolare sul Brexit in Gran Bretagna dello scorso 23 giugno nel nostro paese non ha registrato una ampia discussione per trarne indicazioni politiche. Ha prevalso la rimozione – raramente negli incontri pubblici se ne è parlato –, oppure si è scelto una chiave di lettura ideologica negativa di stampo catastrofista che ci sentiamo di contestare apertamente.
In primo luogo il referendum britannico ha confermato che ogni volta che i Trattati europei o l’adesione all’Unione Europea o all’Eurozona viene sottoposta al voto popolare, le scelte delle oligarchie europee escono sconfitte. È accaduto in Grecia nel 2015, in Francia e Olanda nel 2005, era accaduto ancora prima in Irlanda e Danimarca. Risultati che spiegano l’isteria alla quale abbiamo assistito dopo il referendum sul Brexit e che ha rotto molti freni inibitori delle classi dominanti sul terreno della democrazia rappresentativa. Abbiamo sentito appelli al divieto di sottoporre al giudizio popolare questioni strategiche (come avviene con l’articolo 75 della nostra Costituzione che vieta il referendum sui trattati internazionali, non modificato dalla controriforma Renzi-Boschi); abbiamo sentito appelli a diffidare del suffragio universale ed a reintrodurre il voto per censo (i poveri non devono votare, perché non capiscono i meccanismi dell’economia globalizzata, anche se ne risentono il peso negativo); e abbiamo letto editoriali dei giornali della grande borghesia europea reagire con terrore e acrimonia ad un risultato che ne ha messo in discussione i suoi progetti di potere, abbiamo letto dei forti timori dell’Amministrazione statunitense, per preservare gli equilibri sociali e internazionali esistenti. L’esito del referendum sul Brexit è stato osteggiato e temuto da tutti i grandi gruppi finanziari e multinazionali e determinato dai settori popolari, su questo scenario “di classe” del voto, le indagini effettuate non lasciano dubbi. Dunque se ci si doveva schierare o con il grande capitale o con i ceti popolari, riteniamo che non dovevano o potevano esserci dubbi o terze vie di sorta.
A volte esponenti dell’elite dirigenti hanno cercato di farsi paladini del disegno sovranazionale dell’UE, contro il risorgere dei nazionalismi, saltando a piè pari la questione dell’assoluta assenza di democrazia nel sistema politico UE. Il disegno sovranazionale è volto a consolidare un potere centralizzato a Bruxelles e Francoforte che ha ucciso le democrazie parlamentari, ostracizzato sindacati e movimenti sociali alternativi, e consegnato il potere a un’oligarchia composta da banche, centri finanziari, imprese e tecnocrazia.
Sappiamo benissimo che forze reazionarie e conservatrici stanno cavalcando la diffusa ostilità dei ceti popolari contro le istituzioni tecno-burocratiche e le politiche di austerità dell’UE, e che questo fenomeno si è riproposto anche in Gran Bretagna; ma ciò non può nascondere che disoccupati, lavoratori, pensionati hanno in maggioranza votato per il Brexit, e che il grande centro finanziario di Londra ha invece scelto l’UE. Quando i popoli possono esprimersi, lo fanno sempre bocciando l’UE. Il progetto dell’UE mira alla rivoluzione dall’alto per consolidare il potere delle classi dirigenti economiche e politiche. La retorica europeista non riesce più a nascondere la verità sull’UE, come sistema di potere delle borghesie transnazionali europee.
Le classi dominanti stanno sfruttando, per i loro fini, le paure xenofobe che loro stesse alimentano e usano per difendere i loro interessi.
Le classi dirigenti britanniche stanno guidando il processo di uscita dall’UE in modo da preservare i loro interessi e cercare un modus vivendi con l’UE. Anche in un quadro capitalistico possiamo verificare che:
a) nessuna catastrofe economica, sociale o democratica in un paese che comunque era già fuori dall’Eurozona ma ben dentro i meccanismi dei mercati finanziari e del mercato unico europeo. I contraccolpi sono gli stessi degli altri paesi alle prese con la stagnazione economica emersa con la crisi del 2007;
b) nessuna cacciata in massa o pulizia etnica contro gli immigrati, comunitari o extracomunitari che siano;
c) evidente crisi delle leadership politiche di tutti i partiti britannici (dai Tories ai Laburisti) e ulteriore crisi del bipolarismo blindato di cui la Gran Bretagna era stata il punto di forza
Ma l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea sta producendo anche effetti internazionali rilevanti:
a) il TTIP è sull’orlo del fallimento, avendo proprio nella Gran Bretagna “dentro” la UE la sua testa di ariete per conto degli Stati Uniti
b) la fine del veto britannico ad una politica militare e della difesa comuni dell’Unione Europea per non turbare la Nato e le ingerenze degli Usa sugli affari europei; il vertice trilaterale tra Germania, Francia e Italia e Ventotene ha indicato anche questa prospettiva.
Allo stesso tempo, alla luce del Brexit, è aperta la discussione sui due scenari che indicheranno le prospettive stesse dell’Unione Europea così come l’abbiamo conosciuta: o un ulteriore sviluppo della sua crisi o un tentativo di salvarla attraverso un rafforzamento del nucleo centrale intorno all’Eurozona. Scenari che attengono alla capacità o meno delle classi dominanti europee di affrontare la crisi e la competizione globale, ma che non spostano di una virgola l’obiettivo che la Piattaforma Sociale Eurostop si è dato come ragione sociale: l’uscita del nostro e di altri paesi dall’Unione Europea, e dunque dall’Eurozona e dalla Nato.
In questo senso il risultato del Brexit è per noi una spinta storica e politica per mettere in campo – con maggiore convinzione, radicamento sociale e possibilità di egemonia progressista – l’opzione della Italexit, come l’abbiamo discussa approfonditamente nel convegno di Napoli del maggio scorso.
Il percorso per un movimento politico e popolare per l’Italexit, a nostro avviso, può avere enormi capacità di azione nel paese e di ricomposizione di un blocco sociale alternativo e antagonista a quello del grande capitale transnazionale e multinazionale che ha costruito l’Unione Europea.
La sfida è sul campo. Dal Brexit all’Italexit, dalla campagna per la vittoria per il No nel referendum sulla controriforma costituzionale Renzi-Boschi alla campagna per il referendum popolare contro i Trattati istitutivi dell’Unione Europea.

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