“Non credevo che potessero odiarmi così tanto”. Fino all'ultimo, e anche dopo, ha voluto continuare a recitare la parte della primadonna. Anche dopo il boato di No che ha lasciato a bocca spalancata, spesso in pose da diversamente raziocinanti, i suoi cortigiani di qua e di là dall'Arno, coloro che, fino alle ventidue e cinquantacinque di domenica sera, di fronte ai seggi elettorali, “disquisivano” di accozzaglie parafasciste; anche dopo le ventitre e cinquantacinque il reuccio dei tanti sindaci e boiari toscani a lui infeudati ha voluto indossare la stola del monarca deposto. “ Non credevo che potessero odiarmi così tanto”: come se le masse popolari – secondo le prime analisi, soprattutto giovanili – fossero così perse sul piano del raziocinio dall'odiare il nulla. Da quel buttafuori da balera quale è sempre stato, fin dalle sue apparizioni alle corti dei comuni della provincia di Firenze, allorché i buoi democristiani bardati a festa e freschi freschi dall'essere stati ammessi alle nuove giunte targate PD si inchinavano al suo passaggio, mentre i vecchi DS lo guardavano ancora con sussiego; fin da allora e ancora alle ventiquattro zero zero di domenica quattro dicembre, il novello Macbeth della pugnalata nel “sonno governativo” al pisano Duncan ha continuato a vedere le Norne sederglisi accanto e chiamarlo re. Non si è mai reso conto, il barone di Rignano, nonostante il fantasma di Jean Claude Banquo gli sia rimasto sempre seduto accanto, per mille giorni, a ricordargli che il suo regno sarebbe finito nel giorno in cui non avesse saputo tradurre sul suolo di Ausonia i voleri del regno di Bruxelles, non si è mai reso conto che le masse popolari avevano ben altre preoccupazioni, contro cui affannarsi, che non l'odiare una nullità.
Non lui, il misero barone credutosi re, hanno odiato e odiano i lavoratori, i giovani disoccupati, i meno giovani rimasti senza lavoro per le scelte economiche di sua maestà e per gli “equilibri” politici dei suoi cortigiani, occupati a fare spazio ai loro nuovi giullari mandando a casa i vecchi menestrelli, gli anziani condannati a crepare in casa perché le aziende ospedaliere devono far cassa e non curare. Troppo alta considerazione di sé e della rediviva lady Macbeth di Montevarchi e troppo disprezzo per il popolo sovrano ha avuto fino all'ultimo il monarca del valdarno, ritenendo arrogantemente, al pari dell'antico modello scozzese, di non aver motivo di temere che il MacDuff delle periferie surclassate, delle fabbriche dismesse, delle scuole privatizzate, non venisse a chiedergli conto dei “risparmi” sui “costi della politica” che dovrebbero servire a finanziare le spedizioni estere al seguito di USA e Nato e i 90 F 35 con cui l'Italia è chiamata a sostenere l'industria bellica yankee.
Non la sua misera figura odiano i lavoratori, i disoccupati, le masse popolari italiane; non si odia la miseria, più di quanto l'omerico Odisseo non odiasse il miserabile Iro, prima di sferrargli il pugno mortale; ma gli insulti lanciati dall'accattone di Itaca che si cibava degli avanzi dei Proci, all'indirizzo dell'eroe di Troia, ne decretarono il destino. Il novello “Ulisse” italico, cui non la dea Atena, ma le politiche di Bruxelles, delle banche e i raggiri di maghi, vergini vestali, cantastorie e boiari di casa nostra hanno infuso una forza di quasi venti milioni di uomini, ha colpito alla gola lo spregevole Iro, prima di rivolgere la rabbia vera, l'odio autentico, contro quei Proci che hanno voluto totalizzare ogni attimo, ogni poro della nostra vita, a uso e consumo di finanza e monopoli europei. L'Odisseo che alle ventiquattro zero zero di domenica quattro dicembre ha dato il benservito all'Iro demomassonico, ricordandogli, alla maniera omerica, che “niente di più meschino dell’uomo nutre la terra”, ha rinverdito al tempo stesso l'attualità del moderno socialismo scientifico.
Il progetto di controriforma costituzionale, che avrebbe dovuto “istituzionalizzare” trenta anni di sopraffazione dei diritti di masse popolari e lavoratori, avrebbe anche, con ciò stesso, rafforzato a dismisura quel potere statale, strumento “politico” di tale sopraffazione e avrebbe consentito imposizioni sempre più dure, a vantaggio del profitto. Il progetto dei lord e lady Macbeth toscani avrebbe ancora di più confermato che poiché lo Stato, come scriveva Friedrich Engels, “è sorto per la necessità di tenere a freno gli antagonismi di classe; poiché è sorto, al tempo stesso, in mezzo al conflitto di queste classi, allora esso è, come regola generale, lo Stato della classe più potente, economicamente dominante che, per mezzo dello Stato diventa anche classe politicamente dominante e acquista in tal modo nuovi mezzi per la sottomissione e lo sfruttamento della classe oppressa… Non solo lo Stato antico e lo Stato feudale erano organi dello sfruttamento degli schiavi e dei servi della gleba, ma anche lo Stato rappresentativo moderno è uno strumento per lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale. Eccezionalmente tuttavia, si incontrano dei periodi in cui le classi in lotta raggiungono un tale equilibrio di forze, tanto che il potere statale acquista temporaneamente una certa autonomia di fronte a entrambe le classi, come apparente mediatore tra di esse". Ecco, oggi, il compito più urgente, dopo la vittoria del No, è quello di organizzare le forze affinché quel patrimonio politico che può scaturire da tale significativa affermazione elettorale si traduca, sul piano dei rapporti di classe, in un patrimonio economico tutto da riconquistare.
Se il bardo della bassa provincia fiorentina se ne va, sicuro di aver “fatto quello che dovevo fare”, dimostriamo ai suoi padrini che anche le masse sanno bene cosa debbono fare, a partire dal cinque dicembre.
PS: sono stato rappresentante di lista per il No a un seggio di un comune della provincia di Firenze, in un'area feudo incontrastato dei vassalli del reuccio; un'area in cui, all'epoca del PCI, questo raccoglieva oltre il 75% e in cui, ieri, le percentuali sono state, complessivamente, del 40% per il No e 60% per il Sì. Confesso di esser stato molto spaventato dall'alta affluenza: una sensazione comune a tanti altri sostenitori del No in questa zona, domenica 4 dicembre. Per dato “storico”, tale affluenza non poteva che significare una chiamata a raccolta del PD. Quando si sono cominciate a scrutinare le schede e i No rimanevano appena di poco indietro ai Sì, ho sentito che la partita era vinta.
Fabrizio Poggi
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