Si sta affollando, in Italia, il parterre dei ricostruttori del centro – sinistra o centrosinistra: le versioni sono due, con trattino e senza trattino come insegnò a suo tempo Cossiga.
Un fenomeno indotto da una triplice scissione (quella del PD, quella di SeL e quella del movimento dei sindaci “arancioni”) che si verifica proprio nel momento in cui a livello della sinistra occidentale, in Europa e Oltre Atlantico, pare affermarsi una ripresa del socialismo democratico di stampo keynesiano basato sull’intervento pubblico in economia e la ricerca di nuove versioni di welfare.
Questa ripresa di presenza (se ne verificheranno le consistenze elettorali) del socialismo democratico avviene, però, attraverso l’adozione del meccanismo del personalizzazione della politica che accomuna Sanders, Corbyn, Schulz, Hamon: quel meccanismo che Rossanda ha definito “legarsi a una persona al posto delle idee”.
Una differenza non da poco questa, tra il procedere attraverso la leaderizzazione dei soggetti politici e quella – antica – dell’espressione soggettiva emersa in forma plurale dal partito a integrazione di massa.
Anche questo, appena enunciato, è un tema attorno al quale non si può lasciare il campo all’indefinito, alla resa verso la centralità dell’individualismo nell’azione politica relegando l’applicazione del concetto di aggregazione alla pura dimensione mediatica.
Il punto centrale risiede, invece, nella valutazione al riguardo della situazione italiana, di ciò che si sta muovendo al centro: inteso, questo centro, come PdR (dall’espressione di Diamanti al riguardo dell’evoluzione del PD).
Ancora una volta da quella parte ci si muove in direzione opposta e contraria all’idea di ricostituzione del centro sinistra: ciò avviene nel concreto delle proposte politiche.
La scia è quella del job act, della “buona scuola”, degli 80 euro, dell’abolizione indiscriminata dell’IMU.
Anzi rafforzando quell’impostazione attraverso l’idea di un’ulteriore passaggio di riduzione delle tasse favorendo, ancora una volta i redditi alti e l’impresa nella convinzione di agevolare i consumi individuali e di alleggerire il costo del lavoro senza però predisporre alcun piano del lavoro e anzi incentivando le forme di precarizzazione.
Cerchiamo di capirci, allora: è possibile, in questa situazione, pensare alla ricostituzione del centro sinistra? Sulla base di quale asse strategico? Su quali contenuti di fondo?
Soprattutto può apparire possibile la ricostruzione di una presenza della sinistra nella società e nel sistema politico esclusivamente attraverso manovre parlamentari, o peggio di partito in funzione delle orripilanti primarie?
In questo quadro può partire un dibattito serio sui temi del salario di cittadinanza, della redistribuzione delle risorse, dell’accesso al lavoro, della lotta alle disuguaglianze, del riequilibrio sociale ?
Soprattutto appare in ritardo un processo di riflessione sulla ricostituzione di una visione e di una proposta attorno ai due nodi che rappresentano l’effettiva “nuova frontiera” delle contraddizioni epocali:
1) Lo sviluppo della tecnica. Uno sviluppo usato dal capitalismo per distruggere il lavoro vivo e l’equilibrio dell’ambiente sulla Terra, mentre riparte la crescita del comparto “militar – industriale”. Il tema è quello del prevalere indiscriminato dell’apparato tecnico – scientifico in funzione della crescita di un “capitalismo di potenza”;
2) L’affermazione definitiva del primato dell’economia sulla politica con la costruzione di una “sovranità dell’economia” in luogo della “sovranità della politica”. Un tema che non può essere lasciato alla destra soltanto perché, a cavallo del XX secolo, abbiamo verificato il fallimento dell’inveramento statuale della più grande “rivoluzione avvenuta” della storia. E su quel punto ci siamo arresi cedendo alla filosofia della “fine della storia”.
Non serve agitare lo straccio dell’ unità di fronte ad indistinto e non identificato “pericolo populista” favorendo così l’avanzata di un capitalismo voracemente distruttore.
Non si può rimanere subalterni su questi due punti dello sviluppo tecnologico e dell’economia che assumono il primato sulla politica, in ispecie dopo aver fallito alcuni determinanti punti di analisi su terreni strategici come:
a) quello della valutazione sugli effetti della caduta del Muro (tanto per semplificare)
b) dei tempi di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione”,
c) della funzione che avrebbe avuto l’affermarsi di una sola superpotenza intesa come “gendarme del mondo”,
d) sulla consistenza e la qualità della reazione che si sarebbe avuta proprio all’assunzione di ruolo degli USA in questo senso (dalla quale è nata il terrorismo internazionale, le guerre e il fenomeno di migrazioni incontrollate dal Medio Oriente e dall’Africa: Africa considerata ancora e comunque terreno di colonizzazione e di terreno di conquista per le multinazionali delle armi)
e) di sviluppo della guerra commerciale sull’asse orientale,
f) sulla debolezza della prospettiva di crescita di un multipolarismo basato sulla crescita di peso di alcuni paesi considerati emergenti,
g) di spostamento dei punti di riferimenti nella centralità della battaglia per il predominio sulle fonti energetiche,
h) su di un presunto effetto benefico della globalizzazione, impostata sui canoni dei “Chicago Boys” e del reaganian – tachterismo;
i) sulla sottovalutazione dei processi in atto sul piano della finanziarizzazione dell’economia,
j) sull’ottimismo improvvido al riguardo della costruzione di organismi sovranazionali dominati appunto dalle logiche monetariste di pool di banchieri,
k) dell’aver chiuso gli occhi di fronte alla crescita esponenziale delle logiche di sfruttamento a tutti i livelli di vero e proprio ritorno all’indietro,
l) di incapacità di affrontare le cosiddette contraddizioni post – materialiste in primis quella di genere vista soltanto come questione di diritti e non soltanto come fattore di vera e propria riedificazione nei rapporti sociali.
Da questi punti di analisi errata che sono stati assunti proprio nelle sedi che avrebbero dovuto essere quelli più alti nella riflessione politica è nata l’egemonia di quel capitalismo voracemente distruttore che, nel piccolo della nostra dimensione provinciale, ha in questo presunto “Centro”(rappresentato oggettivamente dal Pd-R), con il quale ci si vorrebbe alleare allo scopo di soddisfare una insensata voglia di governabilità, la sua espressione politica.
Governabilità che ha ormai assunto le sembianze del “governativismo”: due termini molto diversi tra loro.
Mi auguro sia ben compreso il dislivello tra la riflessione e la proposta politica necessarie e la miseria dell’attualità.
Serve una duplice riflessione, sull’autonomia e sull’identità di una sinistra conscia che il cambiamento non può passare per una fase di prevalenza dell’avversario che si afferma attraverso la nostra acquiescenza se non complicità.
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