Era lecito aspettarsi ben altra soluzione per la più grande acciaieria d’Europa dopo le ruberie della famiglia Riva. Il piano industriale presentato da ArcelorMittal, ed oggi approvato dai commissari straordinari, è un vero e proprio insulto che andrebbe rispedito al mittente senza alcuna cortesia di circostanza. Esso non rappresenta in nessun modo il dovuto risarcimento per la popolazione tarantina, tantomeno garantisce l’occupazione, il salario, l’ambiente e mette a rischio, nei fatti, un settore strategicio dell’economia manufatturiera del nostro paese.
I 6000 esuberi, circa il 40% dell’attuale organico, testimoniano in maniera inequivocabile qual’è la ricetta industriale e sociale per l’Ilva.
Il magnate dell’acciaio, circa 100 milioni di tonnellate all’anno nei diversi stabilimenti, ha un estremo interesse a accappararsi il brand Ilva, il portafoglio clienti e l’hub tarantino. Sino al 2023 prevede infatti di mantenere, sebbene questo sia un vincolo posto dal ministero per ragioni ambientali, lo stesso livello di produzione attuale, circa 6 milioni di tonnellate, a cui si aggiungeranno in maniera crescente le bramme prodotte da ArcelorMittal in altri paesi e destinate ad essere lavorate negli stabilimenti italiani Ilva, sino a raggiungere i 10 milioni di tonnellate complessive annue, ma con il 40% in meno di lavoratori.
Rende bene l’idea il salto enorme di produttività che immagina ArcelorMittal per Ilva: dalle attuali 422 tonnellate procapite a circa 1179 tonnellate sempre procapite. Un incremento del 180%!!!
Tutto ciò nonostante la cassa integrazione speciale riguardi quotidianamente non più di 1000 lavoratori su 14.200.
Quasi a significare vergognosamente che nessuno lavora o quasi attualmente.
Il magnate dell’acciaio è anche notoriamente magnanimo, tant’è che, tra le righe, si rende disponibile a ridurre il numero degli esuberi in rapporto alla riduzione del costo del lavoro. Tradotto: più si tagliano i salari meno licenziamenti si fanno. Con buona pace del rigore industriale e produttivo…
ArcelorMittal si impegna a investire 2,393 miliardi di euro sino a tutto il 2024 nel gruppo, di cui 1.137 sul terreno degli interventi ambientali e 1.256 su quelli tecnici a sostegno della produzione. La copertura dei parchi minerari dovrebbe essere realizzata definitivamente entro il termine del piano, quindi nel 2023.
la storia industriale di questo paese è puntellata di certezze amare e di buoni propositi mai realizzati. I tagli drammatici di posti di lavoro e la riduzione dei salari sono la certezza con cui il sindacato deve misurarsi subito mentre bonifiche, produzione meno inquinante e ambientalizzazione dello stabilimento sono derubricate a promesse, pronte ad essere disattese, posticipate o cancellate dall’andamento del mercato mondiale dell’acciaio o dalle bizze del padrone di turno.
La verità è semplice e rischia a breve di far rimpiangere ai lavoratori la vecchia banditesca proprietà Riva. Il privato non è bello, anzi, inquina, uccide e licenzia. Sarebbe sufficiente chiedere ai cittadini di Zenica in Bosnia Erzegovina. Mittal ha acquisito lo stabilimento siderurgico situato nella Bosnia centrale nel 2004 promettendo di realizzare tutte le opere di ambientalizzazione e risanamento. Promesse, solo promesse. Tutt’oggi lo stabilimento produce al di sotto degli standard minimi ambientali richiesti e i cittadini di Zenica respirano fumi e veleni, sino al punto, come peraltro accade a Taranto, di esserte invitati dalle autorità a non esporsi troppo alle emissioni nocive. Questo è il vero volto di ArcelorMittal, questo è il privato. Senza un intervento diretto dello Stato nella proprietà, senza un nuovo grande piano straordinario di intervento del pubblico in economia non c’è e non ci sarà alcuna soluzione che possa garantire salute,ambiente e occupazione salvaguardando un settore strategico dell’economia nazionale.
Ora i lavoratori e il sindacato sono posti davanti ad un ricatto durissimo, violento: Piegare la testa e accettare, magari in una soluzione più soft, le condizioni poste da ArcelorMittal in una trattativa sotto ricatto o rigettare la vergognosa offerta e rilanciare alla politica, al governo la soluzione. Noi come USB abbiamo già dichiarato che il piano non è negoziabile. Siamo e saremo indisponibili a presentare il conto di decine di anni di ruberie a lavoratori e cittadini al solo scopo di favorire l’ennesimo speculatore di turno. Quanto hanno subito e stanno subendo i lavoratori della ex Lucchini di Piombino la dice lunga sulla capacità dei governi in salsa UE e PD, di salvaguardare e valorizzare il patrimonio industriale.
Nazionalizzare Ilva, l’unica possibilità reale in campo oggi se si vuole evitare l’ennesima devastazione sociale.
Per fare tutto ciò bisogna lottare. Aprendo una vertenza generale unificante, mettendo insieme fabbrica, territorio, mondo dell’associazionismo.
La lotta può e deve cambiare le cose. Noi ci siamo
* Usb Lavoro privato
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