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Indipendenza, nazionalità e comunisti. Il dilemma catalano

Mi scuso in anticipo per la lunghezza di questo mio commento, ma le perplessità e le contrarietà di molti compagni e molte compagne a proposito della spinta indipendentista in Catalogna meritano davvero un ragionamento poco veloce.

Peraltro, trovo poco utile anche la difesa delle spinte indipendentiste con riferimento alla teoria e alla tradizione comunista sul nesso internazionalismo e liberazione delle nazionalità. Anche perché nel gran mare del dibattito tra marxisti si trovano senza difficoltà tesi divaricate e persino opposte… Meglio, molto meglio, concentrare l’attenzione sui termini politici e sul presente.

Insomma, per come la vedo io, e fermo restando la critica politica e di principio allo Stato-nazione, ripresa in modo innovativo da Ocalan e dai kurdi del Rojava, credo che nel caso della Catalogna occorra “sporcarsi un poco le mani” e guardare all’essenziale: una grande mobilitazione popolare, da un lato; una dura repressione, dall’altro. Del resto, nessuno può farsi maestro con la tastiera, specie se gli avvenimenti incalzano e sono pieni di sfaccettature e ambiguità.

Per venire al punto, io giudico molto assennata l’idea di Pablo Iglesias, che chiede di riconoscere la volontà dei catalani nella forma di un nuovo referendum concertato con Madrid. Ma per come sono andate avanti le cose, non ritengo che le sue parole possano produrre effetti reali. Né mi pare molto spendibile oggi la mediazione, pur intelligente, della Colau, che punta ad evitare una indipendenza unilaterale, con possibili risvolti di tragedia.

E allora?

Nel mio piccolo, io farei valere molto, sugli avvenimenti in corso in Catalogna, la raccomandazione di Hegel: il vero è l’intero; e l’intero non è la somma delle sue parti. E neppure, per chiarire meglio, la somma degli avvenimenti giorno per giorno. Al tempo stesso cercherei, blochianamente, di cogliere le latenze di futuro nel farsi medesimo dei processi.

In altre parole:

1) starei senz’altro con le masse che lottano, evitando di schiacciarle sui gruppi dirigenti che in una determinata fase le guidano. Le fasi dei grandi processi storici mutano, infatti, in continuazione, e non di rado chi è alla testa nei momenti iniziali si trova poi ricacciato indietro;

2) agirei attivamente dentro la concreta mobilitazione delle masse anche quando essa, pur non essendo di segno reazionario, non è neppure come, in astratto, la vorrei io; e farei ciò avendo a costante riferimento i principi essenziali dell’ideale comunista, e cioè la democrazia diretta, il superamento (nei tempi e nei modi possibili) della produzione per il valore, il riconoscimento pieno della onnilateralità degli individui, la fratellanza/sorellanza universale, il depotenziamento della forma Stato e delle sue gerarchie;

3) sarei comunque consapevole del fatto che un grande sconvolgimento storico può tranquillamente svolgersi in grande distonia con la mia azione e i miei desideri. E anzi, può anche succedere che al male si sostituisca addirittura un peggio, con l’ennesima sconfitta storica delle istanze di uguaglianza e libertà, e con una nuova reazione aperta e terroristica delle classi dominanti. Nello scontro politico e sociale, come si sa, si può vincere; ma si può anche perdere.

Di sicuro, se non cercassi di “forzare l’orizzonte” quando si determina, per il concorso contraddittorio di vari fattori storici, una qualche possibilità effettiva di cambiamento in avanti, non avrei più molto da dire: perderei semplicemente in partenza. Senza neppure la fatica di combattere…

E dico questo, pur sapendo benissimo che nella testa di una parte ampia di quelli che oggi partecipano al moto indipendentista catalano c’è una ruvida “voglia di passato”, alla maniera dei nostri neoborbonici, mentre un’altra parte vive l’indipendenza come un affare, come una più agile corsa alla competizione internazionale, sostanzialmente alla maniera del secessionismo leghista di qualche decennio fa.

C’è però anche, e questo mi pare il punto decisivo, un’ampia presenza di proletari nella dinamica indipendentista, con una memoria repubblicana, antifranchista, in alcuni settori addirittura libertaria.
E soprattutto c’è lo scontro tra i tardi epigoni del franchismo e un popolo specificamente definito (popolo in senso proprio, con una propria lingua e una propria letteratura, e con una cultura nel complesso poco spagnola, e cioè molto poco castigliana). Si è riaperto, cioè, lo scontro mai sopito e tremendamente reale tra Barcellona e Madrid.

Il nostro orizzonte, ovviamente, non è quello delle piccole patrie; ma non è neppure quello delle medie e grandi patrie. Occorre vedere situazione per situazione, e in questo caso la domanda di fondo è: cosa è più in sintonia con la nostra idea di un mondo libero e fraterno? l”esistenza della Spagna-una, con le sue caratteristiche monarchiche e veterofranchiste, o il delinearsi di una repubblica catalana a chiara vocazione democratica? Ed intendo: favorevole anche per i proletari madrileni, andalusi, galiziani, baschi, ecc.

Proprio perché concordiamo, almeno noi della sinistra antiliberista, con la critica marxiana allo Stato-nazione, e ci sentiamo più vicini alle pratiche di autogoverno non-statale del Chiapas e del Rojava, dovremmo non avere soggezione della forma-stato e dell’attuale assetto geopolitico. Il nostro riferimento dovrebbe essere sempre quello della vecchia talpa che scava. E la direzione dello scavo – ce lo insegna la storia – non è mai lineare…

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5 Commenti


  • giorgino

    scusa, ma dici cose estremamente generiche, caratterizzi l’indipendentismo catalano solo in quanto collide con cose di per sé non apprezzate dai comunisti, sinceramante e troppo poco per dare valore all’indipendentismo catalano

    Che alla base di tale indipendentismo ci siano settori popolari ,beh, la politica , almeno dalla prima guerra mondiale, si fa grazie alla capacità di mobilitare ampie parti degli strati popolari. Regan ottenne il supporto di settori operai, ma anche Trump. Solo per non innescare polemiche infinite quindi fuorvianti mi astengo dall’usare l’argomento che pure la jihad islamica mobilita decisamente ampi strati popolari

    C’è qualche motivo intrinseco per cui partendo dalla sua base a volte popolare, l’indipendentismo debba trascrescere verso posizioni di classe?

    Forse la dirigenza borghese di tale indipendentismo allude ad una fuoriuscita dall’euro e dalla gabbia europea (o meglio dal rapporto gerarchico che crea l’euro sul piano economico, dai trattati collegati, la moneta unica di per sé è un falso problema) ? A me sembra di no, quindi non si può neanche pensare che i comunisti alzeranno la bandiera che la dirigenza borghese ammainerà per difendere i propri interessi di classe, lasciando così il controllo ai comunisti, questo lo poteva fare lenin perché Miliukov o kerenski sia pur strumentalmente le esigenze delle classi popolari le riconoscevano davvero (fine della guerra, riforma agraria etc)

    Ma l’indipendentismo catalano quale appiglio dà ai comunisti che volessero lavorare al suo interno? Proprip perché c’e la crisi, all’origine del consenso popolare agli indipendentisti, sarebbe meglio offrire una soluzione di classe ai problemi economici delle masse, se non ora quando?

    A suo modo , quanto dico lo fa Corbyn, in italia gli eredi della tradizione comunista ( ormai quasi scomparsi) o poetano o filosofeggiano su trascrescenze impossibili per avere facile consenso elettorale senza fare lavoro politico vero e di classe.

    Una ultima considerazione, pur non volendolo usare , vedo che un certo linguaggio politico d’antan è l’unico che consente di determinare i fenomeni senza rimanere nel generico, oggi che la crisi ed i suoi effetti sono palesi, una vittoria postuma degli anni giovanili di alcuni ? Io sono comunque molto più giovane di quanto denoti il mio linguaggio…


  • pierluigi

    Non c’è strategia politica;credo che questo sia il problema principale,secondo me il primo passo sarebbe il cambiamento della costituzione voluta da franco el’abolizione della monarchia come mandataria del franchismo per una spagna confederale repubblicana,bisogna unire tutti i popoli spagnoli per ottenere un risultato che veda in primo luogo l’affermarsi della democrazia,ricordo brevemente che con la resistenza in cui è prevalsa una guida comunista in termini politici ed egemonici abbiamo ottenuto tre risultati:suffragio universale,repubblica (referendum),costituzione che così concepita è riuscita a sconfiggrere i caudilli nostrani,non ultimo il renzi show


  • giorgino

    @ salvatore malinconico Pensare da parte del popolo catalano, di dividersi dal lavoratori castigliani o andalusi, onde trattenere a se le risorse della ricca catalogna ( coma la lega in Italia), cosa ha di caratterizzante in senso democratico ? E’ come la mobilitazione che fa arrivare i voti operai a Regan o a Trump, cosa ci sarebbe di diverso?

    Se vogliamo definirla così, la classe operaia catalana, non ha mai coinciso con l’indipendentismo catalano, ed anzi i lavoratori catalani erano legati negli anni 30 alla CNT, repressa dal governo dello indipendentista catalano Louis Compayons, che così fece un grande favore a Franco.

    Lasciamo perdere i limiti della CNT, ma L’indipendentismo catalano giunto al dunque non volle lasciare spazio alle esigenze popolari per difendere i propri privilegi di classe ( Semana Tragica)..

    Finisce sempre così, se ci si affida ad una guida borghese, questa prima o poi si ricollega alla fazione avversa ma altrettanto borghese lasciando i lavoratori in balia della repressione
    A meno che, i comunisti non contrattino da una posizione di forza un accordo con la fazione borghese che rompe l’ordine dato , magari oggi indipendentismo ( in parte avvenne in italia- @pierluigi)

    Ma lei, Rino o Salvatore malinconico non so, cosa propone per agganciare il popolo che segue l’indipendentismo ad una prospettiva di classe, in per avere forza contrattuale verso la fazione borghese indipendentista, o per realizzare la suddetta trascrescenza ?

    Parla come se la cosa avvenisse da se, e lo capisco, è più facile in italia chiedere voti perché si è amici dell’indipendentismo, che lavorare da comunisti , tanto in italia quanto in catalogna
    Cosi’ non ci si radica nella società, il tempo di un vantaggio elettorale in relazione alla simpatia verso la catalogna e poi tutti a casa, ed i cattivi sono poi gli indipendentisti, come oggi Tsipras.

    Tutto ciò , da parte di rifondazione comunista, è strumentale, inutile parlare di elementi di futuro nascosti nel presente e varie, aspettare l’angelo che solo esso ci può salvare lasciamolo ad heidegger, qualcosa del genere, la fuoriuscita dal feticismo delle merci o del piano quinquennale (comunque dal valore) e la nuova aperture di possibilità, ineriscono proprio la prospettiva comunista che lei lascia cadere a priori con la sua subalternita alla fazione della borghesia indipendentista catalana . In nessun modo il futuro nascosto nel presente può avere la faccia di Poudemount o come si chiama


  • pasrom

    Le spinte indipendentiste attuali sono a mio parere conseguenza della ulteriore marginalizzazione che una popolazione ha nei confronti nella comunità statuale e quest’ultima in ambito della comunità europea. Insomma se la Catalogna è rilebante in ambito spagnolo, e la Spagna è un paese periferico in ambito europeo, la Catalogna ridiventa periferica. Comunque sono problemi che dovranno affrontare i catalani, come italiano mi augiro che l’uniome europea abbia un tracollo: è diventata assolutamente insopportabile.


  • Mario Galati

    Completamente d’accordo con Giorgino. Meglio non si poteva dire. La concretezza teorica contrapposta alla fumisteria fraseologica, apparentemente complessa e “profonda”, in realtà vuota e pilatesca.
    Ormai sono passati 10 anni da quando sono uscito da Rifondazione, ma la lettura di Malinconico è una ulteriore conferma (ma non ce n’era bisogno) della giustezza della mia decisione.

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