La “pazziata” convocata dai compagni di Napoli ha risolto un problema per molti: adesso c’è una idea e una proposta sul campo per affrontare la scadenza elettorale.
L’ipotesi del Brancaccio è fallita perché era il residuo di un piccolo e ormai insopportabile mondo antico della sinistra italiana.
La prospettiva che può indicare l’assemblea di oggi è priva di quella opprimente sensazione di sconfitta o di quel senso da ultima spiaggia, al contrario potrebbe rilanciare in avanti.
Oggi è necessario rimettere in campo una visione decisiva: quello di un cambiamento radicale di un sistema di disuguaglianze sociali e autoritarismo diventato ormai insostenibile e insopportabile proprio perché è fondato sulle disuguaglianze e l’autoritarismo. Il modello repressivo di Minniti incarna perfettamente questo sistema. Quindi è un’assemblea che vorrebbe mettere fine alla stagione del meno peggio o dell’illusione di poter tirare la giacca a governi amici e alla politica istituzionale.
Di fronte a questo stato mentale delle esperienze della sinistra, la gente, il nostro popolo o non va a votare o “vota per vendetta” – come dimostrano le ultime elezioni nelle periferie o i risultati delle Rsu nelle fabbriche metalmeccaniche – anche contro una sinistra ormai percepita come parte del sistema e del problema e non una sua alternativa.
Se rimettiamo finalmente in campo l’idea del cambiamento, dobbiamo rimettere in circolazione anche l’idea che questo non è possibile senza una rottura con la situazione esistente. E sul quadro esistente pesa un convitato di pietra – rimosso troppo spesso dall’analisi e della discussione – e che detta fin nei minimi dettagli (a livello di governo centrale e di amministrazioni locali) i limiti dentro cui è consentito muoversi.
Questo convitato di pietra è la gabbia costruita intorno all’Unione Europea, alla Nato e all’Eurozona. E’ una gabbia fatta di vincoli e automatismi in cui non c’è spazio per la democrazia, la sovranità popolare, le risorse o i margini per cambiare concretamente l’ordine delle priorità sociali (l’esperienza della Grecia lo ha dimostrato). E questi trattati vincolanti sono incompatibili con la Costituzione che abbiamo difeso con efficacia nel referendum del 4 dicembre dello scorso anno.
La Piattaforma Eurostop guarda positivamente alla proposta messa in campo dai compagni di Napoli e su questo discuterà e deciderà nella sua assemblea nazionale del prossimo 2 dicembre.
In coerenza con la sua ragione sociale, Eurostop ritiene centrale e decisiva la questione della rottura con l’Unione Europea, l’euro e la Nato come presupposto inevitabile di ogni vera ipotesi di cambiamento politico, democratico e sociale nel nostro e negli altri paesi.
A nostro avviso questo è uno spazio politico e sociale praticabile con efficacia per le forze progressiste – come si è visto in Francia – ed è l’unico, insieme all’antifascismo militante, che può contendere lo spazio alla destra tra la nostra gente, nelle periferie come nei luoghi di lavoro.
Discutiamone presto e lealmente e lavoriamo ad una sintesi possibile.
Piattaforma Eurostop
Roma, 18 novembre
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gabriele
Vi rispetto, vi leggo, ma continuare a dire che la ragione delle disuguaglianze e’ l’euro in quanto tale e non le politiche monetarie (qualsiasi sia la valuta) e’ come fare gli anolini senza farcia….a parte il fatto che il conto salatissimo sarebbe pagato dai soliti noti
Redazione Contropiano
A parte la curiosità sugli anolini senza la farcia, è evidente che la ragione delle disuguaglianze sia nel sistema economico dominante – quello capitalista. Nessuno lo può ridurre ad un problema monetario, l’Eurozona in tale contesto è solo un aspetto decisivo di un apparato costruito dalle classi dominanti – l’Unione Europea – sui paesi europei. Gli effetti sociali devastanti prodotti da questa gabbia sono ormai evidenti. Quelli di una sua rottura o fuoriuscita sono invece ancora tutti da dimostrare.
Domenico
Il modo di produzione capitalistico è la questione, ovvio. Dopodiché il modo di produzione si attua in modo storicamente determinato. Insomma ci sono fasi e fasi del capitalismo, a seconda dell’epoca storica. Nella fase attuale, globalizzata, l’euro rappresenta un elemento centrale nella riorganizzazione e nel funzionamento dell’accumulazione, in Europa occidentale e continentale. Anzi, è la leva principale per ridurre il salario, il welfare e eliminare le ridondanze produttive, cioè le imprese non competitive, nonché per favorire l’esportazione di merci e capitali. Tutte valvole di sfogo alla caduta del saggio di profitto. Altrove, per le particolare circostanze dei rapporti di forza e dell’accumulazione, non si è reso necessario l’euro. In UK ad esempio. Anzi, qui l’euro, nella veste di propulsore del mercato unico finanziario europeo avrebbe messo in difficoltà il ruolo finanziario mondiale di Londra. In una strategia di attacco al capitale dovresti individuare i punti principali, altrimenti si corre il rischio di fare un ragionamento puramente ideologico.