Parlare di elezioni implica sempre una “carica” nella discussione che rischia di mettere in secondo piano i nodi politici di fondo che di volta in volta si presentano e vanno affrontati. In questo caso pur parlando di elezioni in realtà stiamo misurando la capacità di un progetto come Eurostop di misurarsi con le evoluzioni della situazione reale; ora questa si manifesta con un processo di velocizzazione degli eventi che ci sottopone a “stress” ed alla verifica della nostra ipotesi di tenere testa a tali evoluzioni sia sul tornante elettorale che in quelle dei prossimi mesi.
Per fare ciò è necessario avere una idea più esatta possibile delle condizioni complessive in cui agiamo e questo prescinde dallo specifico elettorale a cui siamo chiamati ad operare.
Quali sono dunque i terreni su cui siamo chiamati a svolgere la nostra funzione politica?
Certamente il conflitto di classe è un terreno fondante su cui sviluppare iniziativa ed organizzazione e su questo piano certamente esistono delle “avanguardie” di questo conflitto nei settori classici della produzione che in quelli dove è impiegata forza lavoro immigrata. La crisi della Fiom nelle fabbriche metalmeccaniche in molte situazioni sia al nord che nelle altre aree del paese, la lotta dei lavoratori mentali della ricerca, quelle diffuse nella grande distribuzione organizzata, quelle dure nella logistica e nelle campagne meridionali dei braccianti sono i segni tangibili che la lotta di classe non si ferma.
Ma non possiamo nasconderci che queste “punte” sono immerse in un comportamento complessivo della classe “entropico” ovvero in una condizione di ripiegamento dovuto certamente alla debolezza contrattuale del mondo del lavoro ma anche alla introiezione dei settori di classe dell’ideologia dell’avversario ed all’accettazione della individualizzazione come fatto naturale. In altre parole quello che pesa sono i rapporti di forza tra le classi che dipendono da una condizione sedimentata dopo la sconfitta politica di ogni ipotesi di trasformazione sociale alla fine del secolo scorso.
Questo ripiegamento è inoltre “nutrito” quotidianamente da un terrorismo massmediatico ed istituzionale che ha il suo presupposto nella scelta della repressione preventiva che con il ministro Minniti ha raggiunto un livello di razionalizzazione e pianificazione molto sofisticato. Stiamo parlando del nostro paese ma questa è una condizione continentale e credo che le vicende Catalane hanno esattamente lo stesso segno politico.
Ma se la nostra forza è oggi limitata quali sono i punti deboli del nostro avversario, i terreni su cui manifesta le sue contraddizioni? Se esistono è su questi che va sviluppata l’analisi e l’iniziativa. Indubbiamente la crisi generale che va avanti da anni è il terreno su cui si possono intravvedere queste contraddizioni che generano due processi complementare, in modo ancor più evidente nella UE. Il primo è quello della centralizzazione, ovvero di un processo che centralizza i livelli decisionali sul piano istituzionale e politico riducendo drasticamente gli spazi di democrazia ma che centralizza e concentra, tramite la competizione interna alla borghesia europea, anche i ceti dominanti nell’ambito finanziario ed economico.
Questo processo di centralizzazione direttamente prodotto dalla competizione internazionale in cui è impegnata la UE ne produce un’altro relativo alla perdita di funzione della “politica” ovvero della capacità di gestione soft dei processi sociali ed istituzionali; insomma la crisi della politica non dipende dalla indecenza dei “politici” ma dalla inevitabile emarginazione di questa sfera delle relazioni sociali in un momento storico in cui il capitale è in contraddizione ed in lotta intestina per la sopravvivenza di questa o quella sua frazione a livello mondiale.
Questo fenomeno della relativizzazione della politica si manifesta in Italia, nella UE ed anche negli Stati Uniti con la crescita della instabilità dei governi, dei fenomeni di crisi elettorale e con l’affermarsi dei cosiddetti populismi. In realtà siamo di fronte ad una vera crisi di egemonia, in termini strettamente gramsciani, dove la perdita di funzione di “cerniera” della politica istituzionale è il sintomo della sconnessione tra i moderni caratteri strutturali capitalistici e gli interessi di una sempre maggior parte della società che reagisce, anche se in modo politicamente irrazionale. Su questo versante la lista è lunga e non può che cominciare dal rischio di Impeachment del presidente USA Trump passando per la Brexit, le vicende greche, il NO al referendum di un anno fa sulla modifica costituzionale di Renzi per arrivare alle vicende tedesche del dopo elezioni.
Non è certo un caso che il paese considerato il più forte della UE, dove la Merkel avrebbe vinto a man bassa, è ancora oggi senza un governo e sarà costretto dai risultati elettorali del settembre scorso a tornare ad una governo di unità nazionale mettendo sull’altare sacrificale il Partito Socialdemocratico che verrà stritolato da questa sua rinnovata partecipazione. Ne più ne meno come è accaduto in Francia con il Partito Socialista e come è avvenuto all’inizio del secolo con la votazione favorevole sui crediti di guerra. Penso che siamo facili profeti se vediamo in questa condizione la crisi dei partiti di sinistra in Europa e la fine del controllo politico che questi, e le loro cinghie di trasmissione sindacale, hanno sempre operato nella società.
Se è vero che il conflitto di classe diretto oggi subisce i limiti dei rapporti di forza complessivi tra le classi è anche vero che il punto debole del nostro avversario su cui lavorare è proprio quello dell’egemonia, ovvero quello della crisi politica ed istituzionale. E’ necessario, allora, avere ben chiari questi due punti:
Il primo è quello di capire le forme politiche ed istituzionali in cui questa crisi generale di egemonia si traduce nella nostra dimensione nazionale, indubbiamente il prossimo passaggio elettorale ha un qualche significato in questo senso.
Il secondo è individuare con chiarezza l’obiettivo politico di cui dotarci in questo frangente dove penso che il passaggio elettorale non ha per noi significato se non viene finalizzato alla sedimentazione delle forze che oggi il progetto di Eurostop sta coagulando. La questione delle sedimentazione viene spesso scambiata purtroppo per una questione secondaria ed organizzativa impegnando molto di più le nostre energie a ragionare sulla giustezza o meno della partecipazione elettorale. Penso che questo sia un riflesso negativo del politicismo che spesso ha segnato, ma in altre condizioni, i nostri ragionamenti in quanto il dato strutturale, cioè la sedimentazione delle forze, è l’unico che può darci la forza strategica per superare l’impasse attuale; superamento che può avvenire a condizione che i passaggi politici vengano vissuti come momenti di rafforzamento di un processo che non è per niente meramente organizzativo.
Entrando nel merito delle scelte da fare in questa assemblea tralascio l’analisi delle forme in cui la crisi di egemonia si manifesta nei nostri ceti dominanti; l’affermazione di Renzi, la rottura del PD, gli scontri di interessi interni ai settori borghesi ed ai poteri finanziari/bancari, l’affermazione di una forza irrazionale come quella del M5S sono i sintomi palesi di questa situazione. Per questo penso sia utile invece concentrarci sul nostro ridotto politico per capire in quale modo affrontare il passaggio elettorale che abbiamo di fronte.
La vicenda del Brancaccio non è stata un incidente di percorso ma il prodotto diretto della crisi nazionale sommariamente descritta prima, questa è il riflesso di una “faglia” politica irrecuperabile che si è aperta nel nostro paese tra i settori politici e sociali che stanno dentro l’assetto istituzionale ed europeista e quelli che sono out, nonostante loro, e quelli che lo sono, come noi, per scelta. Il vecchio PCI prima e le varie formazioni succedutesi negli anni hanno sempre avuto la forza di sostenere e gestire movimenti a sinistra diversi ma compatibili; il Brancaccio ha invece dimostrato che questa forza, soprattutto elettorale, non c’è più e dunque il taglio netto dato ha appunto questo significato facendo emergere in modo inaspettato e una situazione in veloce mutamento. Velocizzazione che ci vede coinvolti direttamente e con la quale siamo chiamati a fare i conti.
Innanzitutto bisogna capire in quali condizioni ci presentiamo a questo appuntamento, ovvero ci arriviamo politicamente forti oppure siamo disorientati? Va detto che questo processo di separazione lo avevamo individuato da tempo ed anzi è alla base dei tentativi fatti in questi anni di dare vita ad una area politica indipendente che Eurostop ha inteso rappresentare. Poi va detto con chiarezza che gli sconfitti dal fallimento del Brancaccio non siamo certo noi che non lo abbiamo preso mai in considerazione, anzi pensiamo che questo fatto dovrebbe spingere ampie aree di compagni/e a rivedere i parametri di valutazione sulla situazione politica in continua evoluzione.
In questo senso la proposta fatta dai compagni napoletani dell’OPG nell’assemblea di Roma del 18 Novembre con l’ipotesi elettorale di “potere al popolo” va nella giusta direzione e dunque penso che la risposta ad aprire il confronto sulla lista elettorale non può che essere positiva. Ma questa disponibilità per diventare operativa ha bisogno delle verifiche di merito, innanzitutto sul programma e sulla questione in particolare della lotta a fondo contro l’Unione Europea.
Poi andranno visti tutti quegli aspetti che devono caratterizzare una lista “popolare” in netta discontinuità e rottura con la sinistra del nostro paese per come viene rappresentata e soprattutto per come viene vissuta dai settori sociali. Si apre perciò una fase di confronto serrato il cui esito non è scontato ma che credo possa avere una seria “chance” di riuscita.
Naturalmente Eurostop comunque dovrà essere presente nella scadenza elettorale trovando le proprie forme di intervento e mobilitazione ed anche di presenza elettorale qualificata nel caso in cui la lista prenda forma concretamente.
* Rete dei Comunisti (aderente a Piattaforma Eurostop)
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