Solo due settimane fa i sindacati ellenici hanno realizzato l’ennesimo sciopero generale e decine di migliaia di lavoratori, giovani e disoccupati hanno manifestato nel centro di Atene contro l’ultimo pacchetto lacrime e sangue imposto dal governo greco.
Non molto sembra cambiato rispetto a quando l’intera sinistra radicale europea guardava ad Atene con la speranza che lì si potesse produrre un’inversione di tendenza capace di spezzare la gabbia dell’austerity rendendo possibile una controffensiva a livello continentale. Sappiamo com’è andata a finire, con un governo ellenico che, nonostante l’enorme e compatto sostegno ricevuto nel referendum contro i diktat dell’Ue, ha accettato di chinare la testa e firmare il Terzo Memorandum.
Stavolta il governo Syriza-Anel ha imposto una legge che rende difficile per i lavoratori e i sindacati proclamare uno sciopero ed ha introdotto la pignorabilità e la possibilità di mettere all’asta (via web, per evitare le contestazioni delle sinistre e dei sindacati) le prime case di quelle famiglie che non siano in grado di pagare i debiti contratti con le banche. Di nuovo, il leader di Syriza ha giurato che si tratta dell’ultimo sacrificio, dell’ultimo sforzo (comunque interamente a carico degli strati popolari) prima di uscire dal tunnel. Ma tutti sanno che in cambio dell’ultima tranche di aiuti – che andranno in buona parte a ripagare le banche e gli stati che commissariano Atene, non certo ai cittadini ellenici – i creditori internazionali pretendono un’altra severa “riforma delle pensioni”, l’aumento dell’Iva, nuove leggi restrittive sul lavoro e l’innalzamento di alcune imposte indirette.
Quanto sta accadendo ad Atene non ha ricevuto, però, la sufficiente attenzione nel nostro paese.
Nonostante sia in corso una campagna elettorale nella quale il tema dell’Unione Europea tiene oggettivamente banco, anche a sinistra si tende a rimuovere la questione, pensando forse che si possano recuperare salari e pensioni dignitose, diritti e garanzie sociali senza mettere in conto una necessaria rottura con la asfissiante gabbia imposta dai trattati europei e dai vincoli previsti dall’Eurozona. E mentre il Movimento Cinque Stelle abbandona le sue tradizionali parole d’ordine “euroscettiche”, la Lega e l’estrema destra si intestano strumentalmente una critica all’Ue esclusivamente all’insegna del nazionalismo più becero e della xenofobia.
Se anche volessimo, il tema del “convitato di pietra” europeo non può essere rimosso dal dibattito e dall’azione politica. In queste settimane i media e gli ambienti finanziari tedeschi non fanno altro che ricordare che “l’Italia sta messa peggio della Grecia” e che dopo le elezioni il nostro paese non potrà che subire una nuova cura da cavallo a base di “controriforme radicali”. Non è un caso che da tempo si parla, nel dopo elezioni, della possibilità che si insedi un “governo tedesco”: tedesco non solo perché dovrebbe ricalcare il modello della “Grosse Koalition” attraverso un accordo tra PD e centrodestra che conceda all’esecutivo i numeri per far passare come un caterpillar un nuovo massacro sociale, ma anche perché le decisioni più importanti in materia di politiche economiche verranno prese a Bruxelles e Francoforte, e non a Roma.
In questo quadro è evidente come senza sovranità popolare ed economica non esista alcuna realistica possibilità di impedire nuovi sacrifici a senso unico, di invertire la tendenza ed iniziare davvero a contrastare e se possibile a cancellare, le controriforme dettate negli ultimi anni, ai vari governi italiani, dal meccanismo di governance continentale. Come andiamo ripetendo da tempo, i trattati europei sono incompatibili con la Costituzione, mentre il Fiscal Compact, l’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio e in generale i diktat imposti dall’Eurozona e dall’Ue aumentano le diseguaglianze sociali, promuovono lo smantellamento del welfare e producono la svendita dei beni comuni e delle risorse del paese.
Questi temi saranno al centro dell’iniziativa di dibattito e confronto convocata a Roma da Eurostop – la piattaforma che pone al centro della sua battaglia i tre ‘NO’ all’Ue, all’Eurozona e alla Nato, animata da diverse organizzazioni politiche, sindacali, sociali tra le quali la Rete dei Comunisti – per il prossimo 3 febbraio presso il Centro Sociale Intifada. E’ un contributo affinché la campagna elettorale di Potere al Popolo sia l’occasione di una battaglia politica tra i settori sociali e popolari che ci permetta di indicare alleati e avversari e di aggredire i problemi alla radice.
Rete dei Comunisti
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