L’art. 81 della Costituzione, dopo le modifiche del 2012 che hanno introdotto il pareggio di bilancio, costituisce non solo un vincolo alle politiche economiche di qualunque governo presente e futuro, ma un concreto ostacolo contro cui va sbattere chiunque intenda tutelare per via giudiziaria i propri diritti, anche quelli costituzionalmente garantiti.
Un esempio che aiuta a comprendere quale possa essere la ricaduta concreta sulla vita della classe lavoratrice ci è stato fornito dalla vicenda relativa al blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego che era stato stabilito – inizialmente per un triennio – dal governo Berlusconi col D.L. 78 del 2010 e poi prorogato dai governi Letta e Renzi fino al 2015.
Ebbene, alcuni sindacati del pubblico impiego (Flp, Gilda, Confsal-Unsa) decisero di opporsi per via giudiziaria partendo dalla considerazione che quelle norme violavano alcuni diritti costituzionalmente garantiti tra cui l’art. 39, primo comma, che tutela la libertà dell’organizzazione sindacale. I tribunali di Roma e Ravenna sollevarono così questione di legittimità costituzionale su tali norme e nel 2015 si è giunti alla sentenza n. 178 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico in quanto «il protrarsi del blocco negoziale così prolungato nel tempo rende evidente la violazione della libertà sindacale che ha il suo necessario complemento nell’autonomia negoziale».
Tutto bene si dirà, il richiamo alla Costituzione ha consentito di tutelare un diritto riconosciuto ai lavoratori tramite le proprie organizzazioni sindacali. In realtà non è così perché la Corte – che negli anni novanta con le sentenze n. 124 del 1991 e n. 245 del 1997 aveva statuito che solo in situazioni eccezionali e transitorie (all’epoca si era trattato di un anno) le libertà di cui all’art. 39, primo comma, della Costituzione potevano essere compresse e contemperate con l’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica – nella sentenza n.178 del 2015 stabilisce invece che, in seguito all’introduzione nella Carta fondamentale dell’obbligo di pareggio di bilancio (art. 81, primo comma), il blocco delle retribuzioni dal 2010 alla data della sentenza non è illegittimo.
Successivamente a questa sentenza si è arrivati poi al rinnovo dei contratti collettivi nazionali per il personale del pubblico impiego, tuttora in corso, in cui gli aumenti delle retribuzioni, peraltro irrisori, sono stati fatti decorrere dal gennaio 2016, senza alcun recupero per il periodo 2010-2015.
In sintesi, dunque, la Corte Costituzionale ha stabilito che la libertà di accedere alla contrattazione collettiva non può essere sacrificata per un periodo prolungato perché è tutelata dalla Costituzione, ma il blocco delle retribuzioni è legittimo a seguito dell’inserimento in Costituzione dell’art. 81.
E se a qualche distratto fosse sfuggito il mandante politico della modifica dell’art. 81 della Costituzione interviene a fare chiarezza l’Avvocatura dello Stato che, nel giudizio, ha sostenuto che le disposizioni impugnate dai sindacati «mirano a ridurre la spesa pubblica, in adempimento degli obblighi che derivano dall’appartenenza all’Unione europea».
Quindi non esistono più diritti meritevoli di una tutela incondizionata, ma tutti i diritti vengono subordinati alle compatibilità finanziarie. L’art. 81 non è quindi, oggi, soltanto la norma che ha introdotto il pareggio di bilancio, ma un dispositivo obbligante che – avendo nella gerarchia delle fonti del diritto la stessa importanza rispetto agli altri articoli della Costituzione – è diventato un tassello fondamentale su cui si fonda l’attacco generalizzato ai diritti dei lavoratori e lo smantellamento di tutti i servizi pubblici, dall’istruzione alla sanità, dai trasporti all’edilizia popolare.
Ed è per questo che la proposta di legge d’iniziativa popolare tendente ad abrogarlo costituisce un innalzamento del livello di scontro, oltre che un’occasione per fare chiarezza sugli obiettivi principali da perseguire e su chi li condivide.
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