Campagna LasciateCIEntrare – Cosenza, 30 maggio 2016
Delegazione costituita da Luca Mannarino (attivista), Emilia Corea (Ass. La Kasbah), Yasmine Accardo (Ass. Garibaldi 101).
I continui sbarchi a cui ormai da anni siamo costretti ad assistere, le migliaia di morti in mare che a volte sfiorano le nostre cronache giornalistiche, l’ampia e dettagliata conoscenza dei flussi migratori che dall’Africa e dall’Asia occidentale sono diretti verso le nostre coste: tutto questo, per i governanti, non deve essere e non è volutamente trattato con una progettazione seria e partecipata che preveda il più ampio rispetto dei diritti e della dignità umana. Attraverso lo stato di emergenza, infatti, è molto più semplice gestire gli affidi diretti dei centri di accoglienza, è molto più agevole alimentare un business sapientemente e coscientemente basato sulla vita di persone in fuga da guerre, torture, morte. E’, dunque, ormai una prassi da parte delle prefetture la stipula di convenzioni per la gestione dell’accoglienza di persone in fuga dai tanti conflitti che insanguinano interi paesi del sud del mondo a cooperative e/o privati che fino al giorno prima si occupavano di tossicodipendenza, di assistenza a persone anziane o di produzione di agrumi. E’ meno consueto, però, trovare, all’interno delle stesse cooperative, operatori e/o gestori più o meno sensibili i quali riescono “nell’enorme sforzo” di considerare le persone accolte come vite umane e non semplicemente come enormi banconote camminanti.
Questo, apparentemente, è quello che succede nel CAS di Bocchigliero, piccolo centro della Sila Greca, in cui il 21 marzo 2016, la cooperativa Crisalide Rossa, ha deciso di ospitare 21 donne, provenienti da Nigeria, Costa d’Avorio e Mali, in una struttura nata come scuola materna, diventata in seguito, centro di assistenza per anziani, ed infine Centro di Accoglienza Straordinaria.
Il 28 maggio scorso ci siamo recati in visita nel suddetto CAS. Appena arrivati siamo stati accolti dai quattro operatori presenti e invitati a visitare il centro. Ci riferiscono che la situazione nella struttura è assolutamente tranquilla: pare che al suo interno operino un assistente sociale, uno psicologo e un avvocato, oltre a coloro che si occupano degli alimenti e delle pulizie. Alla nostra domanda in merito alla presenza del mediatore culturale, ci viene risposto che tale servizio è espletato da un ragazzo italiano che parla la lingua inglese. Tre volte a settimana, ci dicono gli operatori, vengono svolti corsi di italiano; le ragazze cucinano da sole; le stanze ospitano un massimo di sei persone, mentre le tre donne incinte presenti dormono all’interno di stanze singole; tutte hanno il codice STP, secondo quanto riferito dagli operatori. Solo una è iscritta al Servizio Sanitario Nazionale; le ragazze in gravidanza sono state visitate, l’ultima volta, circa due mesi fa all’ospedale di Corigliano, così come ci riferisce una di loro. Nessuna è ancora stata ascoltata dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Tutte sono state iscritte ad un corso di danza che hanno seguito per poco tempo; stessa cosa dicasi per il coro della vicina chiesa a cui hanno partecipato per circa un mese. Secondo quanto riferitoci, il paese le ha accolte con serenità e pare che la Pro Loco locale le abbia coinvolte nelle prossime attività estive. Quello che emerge, in realtà, è la totale incompetenza da parte dei gestori. I quali ci raccontano, inoltre, che fino a qualche anno fa si occupavano di assistenza agli anziani ma, poiché gli “affari” non andavano per niente bene, hanno ritenuto fosse molto più fruttuoso da un punto di vista economico gestire l’accoglienza ai richiedenti asilo. Il tutto riferito con grande schiettezza!
Emerge, per di più, un elemento inquietante: dal loro arrivo, infatti, pare ci sia un viavai serale di uomini atto a prelevare, “utilizzare”, dietro la probabile promessa di un lavoro o di chissà cos’altro, e riaccompagnare le ragazze; e, in questo “traffico” continuo, denunciano gli operatori, è successo che alcune di loro siano andate via, senza lasciare traccia, caricate su un taxi. Un episodio inquietante, tale da indurci a pensare a una situazione di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Gli operatori ci dicono di aver denunciato la situazione ai carabinieri della stazione locale, i quali, però, non sono riusciti a fare altro che verbalizzare l’accaduto. Ci chiedono dei consigli per fronteggiare tale situazione e per i sospetti casi di presenza di donne minori all’interno della struttura. Già; perché ad aggravare la situazione descritta precedentemente c’è la totale mancanza di supporto da parte degli enti competenti nei confronti degli “inesperti” dell’accoglienza a cui ne affidano la gestione.
Andiamo via dalla struttura, dopo aver parlato con alcune delle ragazze, con molta amarezza, ma anche con parecchi dubbi e perplessità rispetto a quanto ascoltato. Dubbi e perplessità che vengono rinforzati dalla telefonata di una delle ragazze ospiti nel centro, alle 04.00 del mattino di qualche giorno fa, la quale ci ripete continuamente di aver paura e di voler andar via dalla struttura.
Della situazione relativa alle presunte minori e alla presunta tratta di vite umane è stato informato il Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Calabria, Antonio Marziale, il quale ha immediatamente sollecitato tutti gli organi competenti ai controlli dovuti e necessari.
Di ritorno dal nuovo CAS di Bocchigliero, ci siamo, poi, diretti verso l’altrettanto nuovo Centro di Accoglienza Straordinaria di Camigliatello Silano, nella Sila Grande cosentina.
La struttura, in precedenza casa di riposo per anziani, viene gestita dalla cooperativa Medicare, i i cui dirigenti, così come succede per gran parte delle strutture che abbiamo visitato, si sono improvvisati “professionisti dell’accoglienza”. La stessa cooperativa gestisce un’ulteriore struttura presso la Fattoria Stocchi di Rende.
La situazione appare simile a quella ritrovata a Bocchigliero, con personale palesemente e dichiaratamente inesperto che cerca informazioni utili affinché, secondo quanto ci riferiscono l’assistente sociale e l’infermiera con cui abbiamo parlato, possano offrire un’accoglienza consona ai migranti loro ospiti. Informazioni e supporto che, evidentemente, gli enti preposti non si sono preoccupati di fornire.
A questo, però, si affianca l’estrazione culturale di alcuni operatori, i quali si fanno “amorevolmente” lavare l’auto dai ragazzi del centro (questa è la situazione che ci siamo trovati davanti al nostro arrivo), si rivolgono “affettuosamente” loro con fare aggressivo e violento (così come ci è capitato di assistere durante la nostra visita), minacciano “dolcemente” gli ospiti della struttura ogni qual volta qualcuno di loro accenna ad una protesta (secondo quanto riferitoci dai ragazzi la minaccia è relativa all’accompagnamento immediato verso la questura più vicina).
Ad ogni modo, al nostro arrivo, gli operatori presenti ci invitano ad entrare. La struttura è nuova le stanze sono dignitose con massimo due persone a stanza e relativo bagno. C’è una palestra ed una sala da pranzo. Accanto alla sala da pranzo vi è la zona lavanderia con una lavatrice. Al piano superiore è presente una sala tv ed una piccola chiesa cristiana.
Gli ospiti, i primi arrivati il 15 aprile scorso, sono 24, tutti uomini, e di diverse nazionalità:Costa d’Avorio, Nigeria, Gambia, Burkina Faso, Somalia, Guinea Conakry. Il burkinabè presente parla una lingua non conosciuta da nessuno dei suoi compagni, ed ha conseguenti difficoltà a comunicare con chiunque.
Tra di loro è presente un minore di 15 anni, arrivato da un paio di giorni, che incontriamo mentre pulisce il muro, appena pitturato da un altro ospite, di quella che dovrebbe essere la sua stanza: “[…] ognuno di loro si sistema la stanza, anche pitturandola, così non stanno a far niente” – ci dice l’operatore. L’assistente sociale ci riferisce che il minore, la cui presenza è stata segnalata, verrà trasferito a breve.
All’interno del centro, ci dicono gli operatori, lavorano 10 persone: un assistente sociale, un’infermiera, un operatore legale, due mediatori e sei operatori fissi che, a turni di due, garantiscono presenza continua nel centro.
Tutti gli ospiti, secondo quanto riferitoci ancora dagli operatori, hanno eseguito i controlli sanitari di base (prelievi del sangue, pressione) e, nei casi di esigenze particolari, gli esami idonei (rx ed ecodoppler per un sospetto caso di patologia infettiva), mentre ancora stanno procedendo a fare i test di Mantoux. Hanno tutti il codice STP in attesa dell’iscrizione al SSN.
I richiedenti asilo, dopo un primo tentativo di cucina organizzata dagli operatori, hanno preso a cucinare autonomamente.
Dal mese di giugno, ci dicono gli operatori, inizieranno le lezioni di italiano, oltreché attività ricreative, insieme alla comunità locale.
Il kit di prima accoglienza non è stato fornito ai ragazzi, sopperendo a tale mancanza con vestiti forniti dalla comunità locale: le scarpe, invece, ci riferiscono ancora gli operatori, sono state acquistate dalla cooperativa.
Nessuno dei migranti ha una scheda telefonica mancando ancora la documentazione necessaria. Alcuni migranti, arrivati da pochi giorni non hanno infatti ancora potuto comunicare con la propria famiglia. Altri sono, invece, riusciti a telefonare, dalla cabina del paese, usando i soldi del pocket money. All’interno del centro c’è un telefono che possono utilizzare, ma che è momentaneamente fuori uso. L’operatore ci dice che stanno provvedendo a risistemarlo perché possa essere utilizzato dagli ospiti.
Ci fermiamo, poi, a parlare con i ragazzi, i quali ci raccontano una realtà diversa da quella riportata dagli operatori.
Ci riferiscono, infatti, della scarsità del cibo, con la poca carne di pollo che viene consegnata loro solo una volta a settimana, e la totale mancanza di uova.
Ci raccontano della vicenda di 10 di loro, ai quali sono già stati consegnati i documenti per attesa commissione, ma non gli sono stati trattenuti dalla cooperativa, nonostante l’illegittimità della cosa e le continue richieste dei ragazzi.
Si lamentano della non possibilità di imparare la lingua, di non poter telefonare ed in particolare della questione legata alla mancanza dei permessi di soggiorno. Hanno paura, infatti, di essere fermati dalla polizia senza documenti. Stato, questo, che li sottopone ad una sensazione di prigionia e di timore.
Chiedono, infine, ripetutamente, di poter fare qualsiasi cosa che gli permetta di passare le giornate in maniera diversa.
La situazione, dunque, è sempre la stessa, già descritta altre volte: isolamento e segregazione etnica, mancanza di contatti reali con il territorio, assenza di percorsi di reale inserimento sociale possono rappresentare fattori generatori o aggravanti di situazioni di stress e di vulnerabilità con conseguenze traumatiche per la psiche.
Ci chiediamo quanto e cos’altro debba succedere a vite già tanto martoriate dal proprio vissuto affinché chi di competenza inizi a vigilare seriamente sulla loro condizione all’interno, e all’esterno, dei non luoghi deputati all’accoglienza.
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