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Il Dubbio. Una risposta a Sansonetti

È di ieri mattina, un editoriale, uscito su Il Dubbio, a firma del direttore Piero Sansonetti, la cui riflessione s’incentrava sul quarantennale dell”uccisione del presidente della Dc, Aldo Moro, ad opera delle Brigate Rosse. Nel suo articolo, dal titolo “Moro, quarant’anni dopo. Possiamo provare a capire?”, Sansonetti – intelligentemente – propone quello che, da più parti e da tempo, si cerca di costruire: un dibattito cioè, un confronto serio, in sede storica e politica, sui cosiddetti “Anni di piombo” e sulla Lotta Armata per il Comunismo; in particolare sull’esperienza delle Brigate Rosse. Il tutto, mi par di capire, al netto di dannosi e avvilenti paradigmi vittimari, di giudizi unilaterali, di ridicoli e grotteschi cospirazionismi e di inutili e quanto mai surrettizi film su un argomento tanto scottante e dirimente per la Storia del nostro paese e della nostra Repubblica.

È uscita proprio in questi giorni, ad esempio, la deludente pellicola, diretta da Annarita Zambrano, Dopo la guerra, intrisa di moralismo, grossolane falsificazioni storiche e di egoismo colpevolista.

Ma dunque, per tornare all’editoriale di Sansonetti, devo dire che, se concordo sull’impostazione di fondo dell’articolo – proviamo a capire le motivazioni che spinsero un’intera generazione a ribellarsi al sistema e alla cultura del Capitale e, una parte di essa, ad intraprendere la Lotta Armata per il Comunismo, non solo in Italia – sono, d’altra parte, completamente in disaccordo sul metodo che dovrebbe preludere a tale comprensione.

Mi sembra, difatti, argomento di non poco conto – per chi proponga un percorso di analisi fredda su quegli anni, come vorrebbe s’intraprendesse il direttore del Dubbio – quelo che afferisce al passaggio in cui si fa riferimento alla supposta reticenza delle Br e, in particolar modo, dei suoi massimi esponenti. A parte che qualcuno, anche se laconicamente, ha fatto, in questi anni, e fa tuttora, autocritica, pur senza far sconti alla parte avversa (lo Stato “democratico”) e senza ipocriti pentitismi: è il caso, ad esempio, di Barbara Balzerani – per citare il caso più eclatante – che, in alcuni passi dei suoi libri, anche se senza dilungarsi troppo (ma non è il suo stile!), parla chiaramente degli errori commessi. Non condivido, però, assolutamente – per un mio personalissimo convincimento, se si vuole di carattere che potremmo definire psico-politico – l’idea che fu un errore madornale uccidere Moro. L’ho già detto in altre occasioni: Moretti e compagni, secondo me, non potevano fare altro, in quella particolare, tesa, tragica situazione, nella quale ogni ordinario schema di vita si trovava ad essere ribaltato.

Facile e, mi sia consentito, anche un po’ subdolo, oggi, mettersi a disquisire sull’errore strategico o, peggio, sulla inumanità del gesto. La possibilità di mettere Moro a morte fu il frutto di una decisione interna alla Direzione Strategica delle Br, ma furono interpellati i compagni nelle fabbriche e fuori, prima di eseguire la condanna. Si decise di ucciderlo, e qualcuno doveva assumersene la responsabilità, di fronte alla Storia, di fronte alla classe di riferimento, di fronte alle Istituzioni. Moretti e i compagni quella responsabilità decisero di assumersela.

Sbagliato e giusto sono, pertanto, categorie morali che non possono riguardare – dalluna parte e dall’altra, certo: poi ognuno combatte la sua battaglia con le proprie armi e la propria cultura – situazioni eccezionali come la guerriglia, sebbene a bassa intensità, come quella che si combatteva, tra gli anni ’70 e ’80, in Italia.

Tanto psicologicamente quanto politicamente, quindi – secondo il mio opinabiissimo parere – Moretti e gli altri componenti il commando che portò a termine il sequestro Moro, non mi sembra che avessero altre chance. Se avessero lasciato libero il prigioniero e quella liberazione si fosse ritorta contro di loro, ne avrebbero dovuto rispondere al movimento rivoluzionario. Cosa che sarebbe certamente successa, in considerazione del cosiddetto piano Viktor – in codice: Moro vivo – messo a punto dall’allora Ministro degli Interni, Francesco Cossiga (se ne era approntato anche uno in caso di morte, nome in codice Mike), per far fronte all’eventuale liberazione del Presidente democristiano. Il quale sarebbe stato posto, in parole povere, secondo le indicazion contennute nel piano, in stato di internamento e sotto controllo psichiatrico, per non consentirrgli di parlare e di rendere pubbliche quelle pesantissime accuse che, già nelle sue lettere, durante la prigionia, aveva rivolto all’intero gruppo dirigente della Democrazia Cristiana.

Se, viceversa, lo avessero ucciso – come poi avvenne – ne avrebbero dovuto rispondere allo Stato. I margini di manovra, politica e psicologica, in quelle circostanze, erano, dunque, ridotti al minimo.

Bisogna provare a mettercisi, in quel contesto, e provare a ragionare, se ci si riesce, come se si fosse sotto quella indescrivibile pressione. Abbandonando, per un attimo, il nostro quieto vivere borghese. Quello che mi pare si cerchi, invece, quello che si vuole e si pretende, è soltanto giudicare, servendosi delle scorciatoie morali del cervello.

Giusto e Sbagliato, Bene e Male, non possono, non devono rappresentare criteri di valutazione e di analisi storico-politica. Esse, infatti, sono categorie che possono solo indurre in errore, conducendo, in ultima istanza, alla paradossale celebrazione di un rituale collettivo ai limiti dell’isteria – cosa che sta, tra l’altro, accadendo, nel corso di questo quarantennale – che oscilli tra la canonizzazione di Moro e la scomunica, con annesso rogo Inquisitorio, per i brigatisti. Tutto, ovviamente, a discapito della verità storica.

La cosa che più risulta inaccettabile, però, è che tali categorie kantiane – dunque, da rigettare anche solo filosoficamente e culturalmente, per non parlare di teoria marxista e prassi rivoluzionaria – vengano utilizzate da compagni, anche molto avveduti e radicali, a loro dire.

Parlare di “reticenza” degli ex Br è, a mio parere, quindi, quanto mai sbagliato. Sansonetti, forse senza rendersene conto, commette lo stesso errore di chi pretenda un loro pentimento, spostando la questione da un piano morale a un piano più squisitamente politico.

Tutto sommato, però, lì si resta: un’ammissione, se non di colpa, di responsabilità univoca. Che dovrebbe avvenire, secondo il direttore de “Il Dubbio”, aprioristicamente, da parte delle Br. Condizione quasi necessaria e sufficiente, affinché si apra una riflessione su quegli anni.

Mi chiedo perciò: un’ammissione di colpa da parte dello Stato, per quanto commesso – stragi, bombe, alleanza con gruppi neofascisti, con organizzazioni mafiose, democrazia bloccata e sovranità limitata – non potrebbe o dovrebbe essere altrettanto necessaria e sufficiente, a tal scopo?

Ritengo, infatti, che soltanto in una comune, reciproca, contemporanea presa d’atto delle responsabilità storiche e politiche, si possa aprire una franca discussione su quegli anni. In caso contrario, si resterà arroccati, sterilmente, ciascuno sulle proprie posizioni.

Non si può chiedere, infatti, a chi ha preso le armi per combattere l’ingiustizia di un Sistema e di uno Stato che opprimono, sfruttano, schiavizzano e, non di rado, uccidono i propri cittadini – e, per inciso, nulla è cambiato da allora, anzi! – di riconoscere non solo la sconfitta (cosa avvenuta, d’altra parte, oltre trent’anni fa) ma addirittura di ammettere politicamente, storicamente, giuridicamente e, dunque, moralmente, l’indegnità della propria lotta e delle proprie azioni.

Questo, caro direttore, è irricevibile!

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1 Commento


  • Mikis

    cari amici e compagni, il vostro articolo mi è piacciuto molto, il vostro ragionamento. Siccome allora stavo in Italia, e proprio dentro i movimenti, dentro dentro proprio, ho 63 anni oggi, vi posso dire soltanto questo con la massima convizione e sincerità: c’ è stato un dibattito molto lungo, e difficile, sulla sorte del prigioniero,
    e tutte, proprio tutte le formazioni e le frange di quel grande movimento, che però si trovava in riflusso, avavano chiesto in tutti i modi, dalle Βr, di rilasciare Aldo Moro
    Non voglio dire altro, avete scritto un bellisimo testo, parlare oggi di quel periodo è fondamentale, serve ai giovanni capire che un tempo non molto lontano le cose erannomolto diverse, la gente lottava e combatteva contro il sistema con tutti i mezzi possibili,
    ormai il mio italiano e molto povero, spero di essere compreso! Tanti auguri a pugno stretto in alto! hasta siempre

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