Come in un tragico gioco dell’oca, l’aggressione imperialista occidentale in Medio Oriente torna a una simbolica casella iniziale, Gerusalemme.
Il prossimo 15 maggio, se Trump non cambierà idea all’ultimo minuto, l’ambasciata statunitense si sposterà da Tel Aviv alla città custode dei luoghi sacri delle grandi religioni monoteiste, da sempre contesa e in equilibrio instabile nel suo status da moltissimi anni. Una scelta che aprirà un’ulteriore ferita nel martoriato mondo arabo. Ma chi ne sta già facendo le spese più direttamente, con l’ennesimo massacro quotidiano, è il popolo palestinese residente nella prigione a cielo aperto di Gaza, impegnato da settimane nella “marcia del ritorno”, che culminerà nella manifestazione del 12 maggio, alla vigilia del 15, giorno della “Nakba”, la catastrofe determinata dall’occupazione sionista della Palestina. Un giorno che per gli occupanti è invece di festa, coronata quest’anno dalla realizzazione di un “sogno” nella lucida follia della costruzione di uno “Stato degli ebrei per gli ebrei”: la trasformazione di Gerusalemme in capitale di Israele.
Le ragioni di questo ritorno nel “luogo del delitto” originario – da dove tutto è partito grazie alla famosa “Dichiarazione Balfour” del 1917, che aprì la strada all’occupazione sionista della Palestina – dipende dalla vera e propria disfatta militare subita in Siria dagli USA, dall’Unione Europea, dalla Turchia e dall’Arabia Saudita.
L’ingresso nello scenario bellico siriano della Russia, dell’Iran e della resistenza libanese di Hezbollah ha progressivamente disgregato l’esercito di ascari addestrato, rifornito e trasportato in quel paese al fine di distruggerlo, come la ex Jugoslavia, l’Iraq, l’Afghanistan, la Libia e ora lo Yemen.
Il progetto di uno Stato Islamico che ridisegnava completamente la mappa del Medio Oriente si è infranto di fronte alla forza di questa nuova coalizione di paesi e movimenti di resistenza, che hanno letteralmente decimato gli ascari dell’ISIS.
Oggi il vento di morte e distruzione costruito scientificamente contro la Siria rischia di ritorcersi contro gli stessi artefici di questa ennesima, devastante operazione criminale.
Di fronte al pericolo di un consolidamento della vittoria dell’avversario, questa coalizione spuria e incerta, che in corso d’opera ha visto la potente Turchia mutare più volte fronte e posizioni, assume un nuovo atteggiamento aggressivo, sia con i bombardamenti / farsa dello scorso 14 aprile da parte di USA, Francia e Inghilterra sulla Siria, sia con la propaganda e i bombardamenti mirati di Israele, insidiato alle frontiere libanesi e del Golan dalla resistenza libanese e dall’esercito siriano.
Il primo ministro di Israele Benjamin Netanyahu è impegnato da tempo in una ossessiva campagna stampa tesa a legittimare le posizioni dell’amministrazione americana contro l’Iran, che porterà alla rimessa in discussione dell’accordo sulla produzione nucleare, faticosamente portato a termine nel 2015, grazie alla volontà dell’alleato/competitore europeo, che nell’area gioca una sua partita geopolitica, di relazioni economiche e commerciali.
Continua così una pericolosissima partita a scacchi tra interessi diversi e contrapposti, in un’area geografica che raccoglie nel contempo le maggiori riserve petrolifere del mondo e un crogiolo di contraddizioni apparentemente inestricabili, strumentalizzate ad arte per mantenere vivo il fuoco di mille conflitti che paiono non avere soluzioni.
Siamo di fronte a una “guerra di posizione” che nessuno riesce a vincere e sulla quale nessuno ha interesse a mettere la parola fine, perché la guerra guerreggiata è l’ultima risorsa per un sistema attanagliato da oltre un decennio dalla più profonda crisi sistemica della storia del capitalismo.
I dati macro economici, che la propaganda dei governi non possono certo nascondere, nonostante l’uso intensivo dei mass media di regime, parlano di una stagnazione e recessione che colpisce soprattutto i paesi a capitalismo maturo, mentre Cina, India, Russia e paesi satelliti mostrano una capacità produttiva e di strategie di medio / lungo termine in grado di porsi come alternativa alla declinante egemonia statunitense ed occidentale. Il mega progetto economico/commerciale della “Via della seta” cinese, gli accordi economici e militari tra queste potenze, le loro sinergie sul terreno degli investimenti in ricerca e sviluppo e nella costruzione di pipe line per lo scambio di petrolio e gas, la progressiva sostituzione del dollaro con lo yen nelle transazioni internazionali. Sono questi e molti altri i fatti materiali che spingono gli USA e la UE ad alzare sempre più la tensione internazionale, attraverso una guerra economica e commerciale (i dazi di Trump) e la guerra vera e propria, conclamata in Medio Oriente ma anche ai confini est europei, dove in Ucraina continua, nel silenzio dei media nostrani, lo stillicidio di provocazioni contro le repubbliche del Donbass, in gestazione in America Latina, dove la rivoluzione bolivariana, il Nicaragua, la Bolivia, il Brasile, sono costantemente oggetto di operazioni terroristiche, veri e propri golpe, minacce di aggressione diretta da parte degli USA e dei suoi alleati locali.
Una tensione che vede, come sempre, i popoli pagare il prezzo più alto, in termini di vite umane e di sofferenze inenarrabili, come il popolo palestinese, tornato al centro dell’attenzione internazionale e del nostro paese in questi giorni, anche grazie alla vergognosa decisione di far partire il giro d’Italia da Gerusalemme. Una scelta politica infame, ben oliata dai dollari israelo/americani entrati a milioni nelle casse degli organizzatori di questo evento sportivo, utile quest’anno a legittimare le scelte che si stanno facendo sulla pelle dei palestinesi.
La Palestina è il luogo dal quale sta partendo di nuovo la strategia di attacco dell’imperialismo contro la Siria e tutti i popoli del Medio Oriente.
Dalla Palestina deve ripartire il movimento di lotta contro le guerre imperialiste e chi, come i governanti italiani e i promotori del giro d’Italia, legittimano e sostengono il feroce sistema segregazionista israeliano.
La Rete dei Comunisti chiama tutti i propri militanti, i comunisti, gli antimperialisti a scendere in piazza il 12 maggio per la manifestazione nazionale al fianco del popolo palestinese, così come a sostenere tutte le iniziative di boicottaggio contro il giro d’Italia.
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