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Animal farm: zoologia del nuovo governo

L’animale politico e il politico animale

Il momento è quello che è, sia che lo si veda come la benefica fine di una pacchia (salvini sui migranti) sia che lo si veda come la quiete prima della tempesta (fine del quantitative easing e di draghi alla bce); quindi è necessario ostinarsi a giudicare non sulla base della prevenzione soggettiva ma sulla base dei fatti oggettivi; però, con questa precondizione tassativa: la vigilanza è un dovere etico e quando si hanno elementi per giudicare non ci si può astenere dal farlo;

Il nuovo governo ha superato il primo vaglio formale, il voto di fiducia; ma già prima di questo è stata piazzata senza preavviso una segnaletica direzionale, riguardante i diritti; questo passo non è stato compiuto dal capo del governo ma ciascuno per la sua parte dai due vicepresidenti, in fregola di un proprio personale biglietto da visita. Poiché la figura del capo del governo è stata definita in modo impeccabile da Vittorio Sgarbi, con la didascalia “lei è il vicepresidente dei suoi due vicepresidenti”, e poiché il suo biglietto da visita è già tutto nel suo curriculum e nel suo sorriso durbans, è bene per amor di patria passare subito a questi due vice.

Poiché la riduzione zoologica dei comportamenti umani è sempre un utile modello di spiegazione, da Esopo a Walt Disney, i due vicepresidenti possono essere indicati come la cicala e lo scardafone, il lupo e l’agnello ecc., col rischio però di offendere queste povere bestie; di conseguenza è bene attenersi a un modello più filosofico e più letterario, quelli del vecchio Aristotele e del grande Orwell, e chiamare i due vice rispettivamente ali di burro e palla di lardo.

Secondo Aristotele la condotta di tutte le comunità animali è mossa da tre fattori: l’istinto, la gregarietà e il soddisfacimento. Nell’uomo questi tre fattori sono potenziati ed elevati di grado, rispettivamente nella forma della razionalità, della socialità e della felicità, e per poter conformare la propensione dei singoli a questo codice comune l’animale umano ha elaborato una attitudine specifica, la politica. Di qui l’uomo non è più semplicemente un animale sociale, ma è per sua specifica natura un animale politico: razionale, socievole, proteso alla felicità.

Tuttavia la razionalità non rimuove l’istinto, la socialità non rimuove la gregarietà e il desiderio di felicità non rimuove la voglia di predazione. In sintesi, la politica non rimuove la bestialità, anzi la può potenziare a livelli mostruosi e dai tempi del serpente, della mela di Eva e della bugia di Adamo lo fa incessantemente.

Nella miserevole condizione italiana, e grazie alla totale evanescenza del cosiddetto presidente del consiglio, possiamo ridurre lo schema aristotelico ai due vicepresidenti, ottenendone il caso di scuola di questa indissolubile accoppiata, la politica e la bestialità praticamente allo stato puro. Di Maio come animale politico e Salvini come politico animale; e quindi Cinquestelle come aspirazione virtuale e Lega come brutalità reale.

Chi ben comincia vede già metà dell’opera, ma chi comincia male la può vedere praticamente compiuta. Il ministro del lavoro ha cominciato “soft” con la conclamata sensibilità ai fattorini in bicicletta dei pasti di ristorante, benché lo scoop gli fosse stato bruciato una settimana prima dal sindaco di Bologna. Il ministro dell’interno ha invece iniziato “hard” con tre spudorate invasioni sulla politica estera: alleanza col razzista ungherese Orban, insulto all’unico paese nordafricano che collabora ai rimpatrii, ed opposizione dura alla riforma del trattato di Dublino sulla condivisione del problema dell’immigrazione. Con perfetto tempismo ha poi dettato l’epitaffio del governo italiano sulla tomba di un giovane immigrato del Mali, assassinato con una fucilata il giorno prima della fiducia: “è finita la pacchia”.

Poiché la disparità di peso specifico fra i due vicepresidenti è già immediatamente evidente, e per questi aspetti ormai irreversibile, la ricerca di una spiegazione obbliga a prendere atto del fatto che mentre butterfly si è mosso con le sue ali di burro per sorridere ai riders e cominciare a imbastire qualche filo sul tema del lavoro, palla di lardo si è mosso con gli scarponi chiodati per marcare tutto il territorio ghignando e ringhiando. Qui è la differenza zoologica tra un animale politico e un politico animale, tessere fili o marcare il territorio, e poiché questa alternativa trascina la propensione dei cittadini a tessere o a pestare è indispensabile prenderne atto.

Ma è ancor più indispensabile individuare il trucco che consente a questo rozzo incantesimo di immobilizzarsi nell’aria. Il trucco di un incantesimo sta sempre nella formula magica e in questo caso sta ovviamente nel cosiddetto “contratto”. Ma attenzione, non per le cose che il contratto promette di fare, capitolo a sua volta pieno di legittime fumisterie e di imbrogli (lato “politico” del contratto), quanto piuttosto per le cose illegittime che il contratto “non” vieta che siano fatte (lato “animale” del contratto). Se il contratto vietasse a ogni singolo ministro di pregiudicare l’azione di altri ministeri o dell’intero governo, e di lanciare con questo messaggi preventivi, obliqui e violenti all’opinione pubblica, Salvini sarebbe già obbligatoriamente in castigo a scrivere “pacchia” e altre sconcezze dietro la lavagna. Ma poiché in un contratto ciò che “non” è vietato è permesso, egli si è letteralmente preso “tutta” la lavagna e ci scrive sopra tutte le schifezze proprie della sua consapevole e meditata regressione bestiale.

Le controprove non sono all’ordine del giorno, sono all’ordine dell’ora. Il ministro dell’interno ha dettato la logica della flat tax senza che il ministro dell’economia abbia ancora messo il culo sulla sua poltrona. Il ministro dell’interno ha imposto la scenografia della propria sedia vuota all’atto del surreale voto di fiducia alla camera, mentre il suo omologo butterfly si prestava penosamente a coprire le gaffes del presidente. E chi, tra i due vicepresidenti titolati, butterfly e palla di lardo, presiederà la prima riunione del consiglio dei ministri in assenza del presidente durbans, in volo per il G7? Naturalmente lui, palla di lardo. Bel consiglio dei ministri, dove i più importanti tra essi agli occhi del mondo (il presidente, il ministro degli esteri e il ministro dell’economia) sono ridotti alla stregua delle tre scimmiette senza che quasi nessuno conosca in Italia il loro nome.

Ovviamente se i tre principali attori di governo (presidenza, esteri, economia) si riducono alla stregua delle tre scimmiette, la frenesia di marcamento del territorio non può che dilagare. Vedi il ministro della famiglia Fontana (‘la famiglia arcobaleno non esiste’), vedi il governatore Zaja (‘siamo razzisti contro chi non ci permette di vivere come prima’) ecc. Nella prospettiva di questa elevazione morale sta il cuore religioso del politico animale, la soluzione finale del problema migranti: allearsi con Orban. Allearsi con Orban significa impedire il principio della distribuzione equilibrata tra i paesi dell’unione. Non volere una distribuzione equilibrata significa volere piena licenza sui respingimenti in mare.

Si poteva concedere ad ali di burro una chance sulla sua conquista al palazzo del Minotauro, ma purtroppo ha finito per allearsi proprio con lui, la bestia. Ora arriva l’estate, e quelle ali stanno per sciogliersi al sole delle spiagge, nel frastuono delle ronde e delle botte ai venditori di chincaglieria di strada.

Sembra che il partito di palla di lardo, in forza di questa esibizione di gomiti, stia aumentando vertiginosamente i consensi. In un vecchio film western Clint Eastwood sibilò a un chiassoso gradasso: “mi piacciono quelli come te, perché quando cadono fanno molto rumore”.

 * da qui

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