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Una settimana fa crollava un ponte, e con lui in parte una città, inghiottendo 43 vite. Gli effetti collaterali di quella strage sono palpabili, e forse siamo volenti o nolenti cavie di un esperimento di psicologia di massa che verifica come la vulnerabilità possa immobilizzarti.

In Jugoslavia si diceva: la paura mangia l’anima. Ieri, nel nostro piccolo, nonostante gli anni che passano e le batoste ricevute abbiamo iniziato a dare un segnale tangibile di come non abbasseremo la testa ed entreremo come un nuovo cuneo rosso per rompere l’accerchiamento.

Non poteva che venire dal porto, da gente che ha un cuore come un polmone e che sa di essere al centro della contraddizione e lo sarà sempre di più nei mesi a venire.

Noi non siamo fini marxisti forse, non capiamo molto di tattica e strategia, ma l’istinto di classe ci dice molte più cose delle arrendevoli narrazioni della sinistra di fronte all’accettazione della catastrofe.

Avanti Calp 

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