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Scuola, laboratorio di secessione

Che l’Italia sia da sempre spaccata in due non è certo un segreto per nessuno, che la questione meridionale venga tirata fuori ad anni alterni nemmeno. Oggi, tuttavia, la questione del divario Nord- Sud è molto più rilevante e strategica che in passato in quanto è il riflesso di ciò che sta accadendo nell’intera zona euro.

Il Continente è ormai polarizzato, anche se con contraddizioni interne molto forti e crescenti, tra un Nord produttivo che detiene le chiavi dell’egemonia politica e finanziaria europea e un Sud mediterraneo che obbedisce, in un’ottica puramente ancillare, alle esigenze e alle direttive impartite dalle politiche economiche decise da Berlino e Bruxelles. Non è il caso di approfondire qui l’argomento, basterà rimandare ai dati dell’ultimo rapporto SVIMEZ che confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, la profonda cesura che separa il Nord dal Sud del nostro paese, mettendo in fila una serie di dati che evidenziano la situazione drammatica di un Meridione ormai omologabile alla Grecia devastata dalle politiche di austerità europee1.

Questo il contesto nel quale va compresa anche la politica scolastica inaugurata dal nuovo governo fasciostellato, auspice un leghista al Viminale e uno al ministero dell’istruzione. Si tratta della cosiddetta regionalizzazione dell’istruzione. È iniziata, infatti, in queste settimane una fitta trattativa tra governo centrale e alcune regioni del Nord (tra le quali spicca il Veneto) per la cessione di una serie di competenze alle Regioni in materia d’istruzione e di gestione dell’organico scolastico. Questo passaggio, certamente agevolato dai referendum sull’autonomia, tenutisi lo scorso anno in Veneto e Lombardia, è stato reso possibile grazie alla “riforma” del titolo V della Costituzione (in particolare degli artt. 116 – 117).

Il Veneto a guida leghista ha chiesto allo Stato le seguenti competenze in materia d’istruzione: programmazione generale; programmazione dell’offerta formativa e della rete scolastica; orientamento scolastico; disciplina dei percorsi di alternanza scuola-lavoro; programmazione dell’offerta formativa presso i Centri Provinciali Istruzione Adulti; valutazione del sistema educativo regionale (in coerenza con gli elementi di unitarietà del sistema scolastico nazionale e nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche);  possibilità di disciplinare l’assegnazione di contributi alle istituzioni scolastiche paritarie con le correlate funzioni amministrative; regionalizzazione dei fondi statali per il sostegno del diritto allo studio e del diritto allo studio universitario; regionalizzazione del personale della scuola, compreso il personale dell’Ufficio scolastico regionale e delle sue articolazioni a livello provinciale.

A parte alcune tematiche retrograde e clientelari come quella riguardante l’assegnazione di fondi alle scuole private – possiamo già immaginare finanziamenti a pioggia alla miriade di istituti cattolici presenti in Veneto e in tutto il Nord – è importante sottolineare l’importanza delle competenze richieste in termini di offerta formativa, alternanza scuola – lavoro e personale scolastico. La Regione potrà forse stabilire anche una quota di discipline da insegnare nel percorso di studi, potrà normare e gestire i percorsi di alternanza scuola – lavoro in base agli interessi della piccola e media imprenditoria del Nordest, potrà applicare regolamenti per “selezionare” e nominare i lavoratori della scuola e conferire loro il diritto alla mobilità o meno, potrà infine stabilire nuovi contratti regionali, variando così la retribuzione dei lavoratori della scuola a livello territoriale. Il tutto potrà avvenire sulla base di futuri regolamenti e contratti regionali.

L’assessore all’istruzione del Veneto, la destrissima Elena Donazzan, è d’altronde molto chiara sul disegno complessivo che la sua giunta persegue: “Per me Trento è un modello al quale guardare. Lì bandiscono i concorsi, assumono i docenti, li stipendiano e li obbligano a stare lì per almeno cinque anni. Non esiste la degenerazione che c’è a Bolzano, dove con i soldi italiani assumono i docenti che devono sapere il tedesco. Il Veneto è una Regione con i conti in ordine, con ottime performance e servizi di prim’ordine. E’ naturale chiedere di più, perché abbiamo dimostrato di sapere fare di più. Semplice.” e ancora “Sarà un caso, ma è risaputo che le Regioni del Nord sono ben amministrate e quelle del Sud – a parte qualche eccezione – non lo sono. Purtroppo l’Italia si sta spaccando sulla gestione amministrativa dei territori. Io non credo che tutte le Regioni possano sostenere i costi che l’autonomia richiede. Quindi occorre dare di più a chi ha dimostrato negli anni di sapere amministrare e meno a chi è peggiore.”

In queste dichiarazioni rilasciate in un’intervista a una rivista scolastica online2 sono presenti molti elementi che, al di là della propaganda spicciola, mettono in chiaro il disegno complessivo e i valori ispiratori della scelta politica autonomista. Accanto alla tirata nazionalistica e sciovinistica contro la provincia di Bolzano, rea di usare soldi italiani per assumere solo docenti che sanno il tedesco, il vero cuore del discorso politico sta tutto nella seconda parte. È qui infatti che vengono attaccate genericamente le Regioni cicale del Sud che non sanno amministrare le risorse e che, pertanto, devono essere punite con meno autonomia e, soprattutto, con meno fondi. Al Nord virtuoso più soldi, più poteri, più autonomia di spesa, al Sud spendaccione meno soldi e meno poteri decisionali.

Per il nostro Meridione e per i paesi mediterranei dell’eurozona, la narrazione dell’assessore veneto all’istruzione non rappresenta certo una novità. Fu lo stesso presidente dell’Eurogruppo – Dijsselbloem –  che un anno fa accusò i popoli dell’Europa mediterranea di fare debito, spendendo in alcol e donne per poi chiedere aiuto alla UE. Una giunta leghista del Veneto non ha certo bisogno dell’ex capo dell’Eurogruppo per confezionare tali narrazioni che al Nord circolano già da decenni.

Il problemi che deve affrontare la piccola e media borghesia del Nord, base storica di massa del consenso leghista, sono oggi molto più complessi di quelli affrontati ai tempi di Bossi. Si tratta da un lato di restare aggrappati allo zoccolo duro della UE che, sempre più arroccata attorno alla Germania e ai suoi satelliti nordici, dirige dall’esterno le altre economie europee in base ai propri interessi, dall’altro bisogna tentare una rinegoziazione con la grande borghesia europea per riuscire a dare ossigeno alla piccola e media impresa settentrionale.

Da queste esigenze trae significato l’apparente schizofrenia tra una politica nazionale che finge di tuonare contro la UE dei burocrati e una politica regionale che vuole omogeneizzarsi al modello tedesco di gestione virtuosa del denaro e di asservimento sistemico ai dettami del capitale. Il peso considerevole in termini economici, finanziari e demografici dell’Italia, Sud compreso, serve al governo fasciostellato per giocare sul tavolo europeo una partita che è tutta in funzione della media borghesia del nord . A giustificare tale dualismo non ci sono solo dinamiche esogene, ma anche una serie di dinamiche endogene. Un’economia e un’istruzione a due velocità servono, infatti, anche a valorizzare “il capitale umano” che il sistema Italia esporta internamente ed esternamente da Sud a Nord, con vantaggi che vanno, neanche a dirlo, soprattutto all’economia settentrionale3.

Anche il sistema dell’istruzione deve dunque adeguarsi al dualismo italiano tra un Nord che cerca disperatamente di aggrapparsi alla produttiva Germania e un Sud che funge da riserva di manodopera a basso costo e da economia di complemento. D’altronde, il sistema economico dei distretti del Triveneto è fortemente ancorato alla zona UE e si basa su una politica mercantilista, omogenea e fortemente interfacciata alla filiera dei paesi forti dell’Europa produttiva4.

Non deve allora stupire la tendenza di regioni come il Veneto che perseguono ostinatamente una politica autonomista per cercare di scrollarsi di dosso la “zavorra” del “malgoverno” centralista e meridionale, al fine di rendersi più omogenee possibili al Nord Europa e meritevoli del club di serie A dell’eurozona.

La secessione scolastica non è solo il risultato del provincialismo, della xenofobia o della nostalgia delle piccole patrie, è la risultante di un processo materiale e politico messo in moto dalle trentennali politiche ordoliberiste della UE che stanno desertificando intere aree economiche dell’Europa mediterranea. In tale dinamica, intere classi sociali e intere regioni del continente sono giocate le une contro le altre in una lotta darwinista tra ultimi e penultimi. La speranza di salvarsi dal declino economico e politico e di accedere così all’Europa di serie A fa soffiare sempre più forte il vento della secessione materiale e rompe ogni residuo legame di solidarietà e condivisione tra aree disomogenee del nostro paese. Rompere la gabbia europea è la sola speranza di emancipazione delle classi popolari e la sola possibilità che abbiamo per riunire un paese ormai nettamente diviso.

 * Rete dei Comunisti

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