Sono nato nel fascismo autoritario e sono cresciuto nel fascismo democratico.
Franco Fortini
In stretta relazione con l’emergere dei contrasti tra le due forze politiche che animano il governo gialloverde, soprattutto in ordine alle contraddizioni tra le promesse elettorali dei due contraenti-contendenti, si stanno moltiplicando in questi giorni le passerelle mediatiche, preconfezionate e blindate, dei grandi big di Cinque Stelle e Lega nei luoghi dove sono stati messi in atto sequestri di beni ed immobili appartenenti a famiglie mafiose o demolizioni di abitazioni “abusive” costruite nei campi Rom, con relativi sgomberi (vedi annuncio, e poi diretta streaming su Facebook, della sindaca 5Stelle Chiara Appendino a Torino e della romana Virginia Raggi).
Sono le conseguenze di una “politica” ridotta a mera comunicazione, più la versione moderna del MinCulPop: un mix di retecrazia e telecrazia. Il personale degli staff dei vecchi e nuovi politici-venditori prepara il terreno e supporta queste fanfaronate con un abilissimo uso delle nuove tecniche di manipolazione, mediante la continua produzione di false-verità che vengono immesse continuamente in rete mirando dritto alla pancia della massa di analfabeti funzionali (in costante aumento), per scatenare reazioni puramente emotive e neutralizzare così sul nascere qualsiasi possibilità di riflessione ed approfondimento. L’obiettivo è sempre lo stesso: la creazione di un consenso di massa al manovratore di turno, costi quel che costi.
E una volta al potere viene fuori la sostanza: un regime che impone la sua propaganda dai canali ufficiali, che si ammanta di superiorità morale(i “guardiani della morale”), che non pensa nemmeno un attimo a toccare privilegi secolari, rendite, caste e “poteri forti” a lungo evocati ed additati; che nomina generali ai vertici delle massime istituzioni. Un potere che distribuisce mancette caritatevoli; che alimenta guerre fra poveri; che strizza l’occhio a pregiudizi razziali e sessuali; che volutamente confonde le istanze di sovranità popolare con il più becero nazionalismo; che offre più sicurezza in cambio della cessione di sempre più consistenti quote di libertà; che risponde ai movimenti che mettono al centro diritti e bisogni in pericolo quando non totalmente negati con la solita feroce, sistematica, repressione.
È un vento che tira ovunque, ma che nel nostro come in altri paesi – quali Turchia, Polonia, Ungheria – si sta saldando con vizi e radici antiche. Ci si attarda, tuttavia, sulle definizioni del fenomeno e nei salotti buoni si evita accuratamente di descriverne la sostanza.
La definizione corrente che viene data a queste forme di moderna deriva autoritaria è “democrazie illiberali” ma potremmo chiamarli anche “fascismi democratici”, perché è assai difficile individuare con precisione il confine tra le due definizioni. E tuttavia si tratta di una questione molto più complessa della dicotomia liberalismo-illiberalismo.
È ora di guardare in faccia il nemico e di superare lo storytelling della falsa contrapposizione tra una “Europa democratica” versus Stati caduti in mano a pericolosi populismi nazionalisti. C’è una stretta relazione di causa-effetto tra le politiche ferocemente antisociali ed ordoliberiste dell’Unione Europea dell’ultimo decennio e questa ondata reazionaria che sta attraversando il continente europeo.
Sono due facce della stessa medaglia e non appena finirà la stomachevole commedia anti-europea dell’attuale compagine governativa, dalla manica del doppiopetto dei potenti tecnocrati della UE scivolerà il solito bastone che abbiamo già visto in azione in Grecia per fare si piazza pulita delle false promesse dei demagoghi nostrani; ma solo per imporci nuove lunghe e dolorosissime stagioni di lacrime e sangue.
Se questo è il quadro, chiunque abbia a cuore un progetto di alternativa dovrebbe attrezzarsi per affrontare uno scontro di lunga durata. La verità è sempre un pugno nello stomaco ma, come ci ricordava il buon Antonio Gramsci, la verità è sempre rivoluzionaria.
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