Ogni tanto, meno di quanto vorrei, vado a prendere il mio nipote più grande alla scuola materna e poi, in questi giorni di primavera, è d’obbligo un passaggio nel piccolo parco giochi del vicino oratorio. Lì siamo soprattutto mamme e nonni che osservano figli e nipoti e qualche volta chiacchierano tra loro.
“Ehi ma lei è Cremaschi il sindacalista che veniva all’OM?”
Ė un ex operaio, anche lui nonno in attività, che così mi si rivolge. Perché la fabbrica più grande di Brescia, oggi IVECO FCA, per gli operai di una volta si chiama sempre con il suo vecchio nome, OM.
Io, più di trent’anni fa, ero segretario della FIOM di Brescia e alla OM ovviamente ho passato tanto tempo, dentro e fuori i cancelli, come durante la lotta FIAT del 1980.
“Quanti scioperi quante lotte che abbiamo fatto, oggi non è rimasto niente abbiamo perso tutto. Io non portavo mai a casa una busta paga intera, ma sai che ti dico? – dopo la conferma che io ero quel Cremaschi siamo passati al tu – Sai che ti dico, ne valeva la pena. Lottavamo e ci costava, ma alla fine venivano sempre dei risultati. E poi c’era un risultato che valeva più di tutti: il rispetto. Il padrone ci rispettava, noi ci rispettavamo tra di noi, anzi a volte ci si sentiva persino orgogliosi di essere operai assieme.
Oggi tutto questo non c’è più. Chi lavora subisce tutto. Hanno i telefonini e le tecnologie, pensano di essere nel futuro ed invece sono tornati al milleottocento. C’è paura di tutto, i giovani neppure ci credono che c’è stato un periodo nel quale era il padrone ad aver paura di noi. Si accettano cose per noi inconcepibili, si subiscono ordini che chiunque di noi avrebbe rifiutato.
Sì, ho detto che siamo tornati al milleottocento perché certe umiliazioni che gli operai oggi subiscono sul lavoro somigliano a quelle che ci raccontavano i nostri nonni. Ma non è colpa loro. Quando il padrone può dirti: quella è la porta e fuori ci sono tanti disoccupati, beh, come fai a ribellarti, anche se ti viene una gran voglia di ribellarti.
Ogni tanto mi chiedo come siamo arrivati fino qui, come abbiamo fatto a tornare così indietro e non mi so dare una risposta. Penso a quei pagliacci che sono al governo, che fanno finta di litigare su tutto. ma poi si mettono sempre d’accordo, fanno finta di sostenere i lavoratori ma poi stanno coi padroni. E penso anche che quelli di oggi sono al governo sono lì perché il PD ha cancellato l’articolo 18 e approvato la Fornero. È cambiato tutto, ma tutto è diventato più ingiusto. Io spero che alla fine cambi davvero di nuovo, vorrei vederlo questo cambiamento perché come oggi sono trattati gli operai, i lavoratori, beh, è proprio una vergogna…”
Nonno Osvaldo, ex operaio dell’OM, è indignato per ciò che è accaduto alla classe di cui orgogliosamente ancora oggi si sente parte. Non è il solo, sono tantissimi della sua età e storia che la pensano come lui.
C’è una generazione anziana di ex operai che sente oggi, per il mondo in cui viviamo, la stessa indignazione dei giovanissimi che sono scesi in piazza per l’ambiente. Quei giovani non sanno nulla delle lotte operaie, se seguono l’informazione dominante oggi probabilmente neppure credono che esse siano esistite. Eppure la devastazione ambientale e sociale del mondo di oggi è dilagata assieme alla distruzione dei diritti e del potere della classe operaia e di tutto il mondo del lavoro.
Gli operai come Osvaldo sono stati definiti “privilegiati” dai ricchi che volevano restaurare i loro veri privilegi e poteri, che proprio le lotte operaie avevano intaccato. E quando i “privilegi”, cioè i diritti, della classe operaia sono stati smantellati, siamo tornati al milleottocento. E tutta la società ora subisce la dittatura del profitto.
Quando la indignazione di nonno Osvaldo, ex operaio dell’OM, si incontrerà con quella dei nipoti che oggi manifestano per il futuro, beh, allora le cose cominceranno davvero a cambiare.
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