Pensare significa elaborare il reale, ricostruirlo nella mente e provare a restituire a sé e agli altri un concetto – una sintesi che coglie l’essenziale – che renda il caos del reale intelligibile.
Per questo è necessario ascoltare i contributi più stimolanti che arrivano dagli altri, anche quando non ci trovano del tutto d’accordo. Purché siano densi di informazione ed elaborazione.
A confrontarsi con gli asini si vince sempre facile, se ci si misura con i maestri, come minimo si cresce e ci si pone all’altezza dei problemi. A questo – lo ricordiamo spesso – serve uno spazio “interventi”.
Nei giornali seri, almeno.
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L’America di Trump non è un Paese normale. Il presidente si lamenta della guerra di russi e siriani a Idlib contro i jihadisti ma sono stati gli americani ad addestrarli per rovesciare Assad. Non una parola ovviamente su Israele che colpisce l’esercito di Damasco con i missili. E dopo il Medio Oriente medita di disgregare l’Europa.
L’America di Donald Trump, sbarcato ieri in Gran Bretagna, è un Paese «normale»? Dovrebbe dircelo Mike Pompeo che ha dichiarato, per la prima volta, che «gli Stati uniti sono pronti a negoziare con l’Iran senza precondizioni». Ma ha immediatamente aggiunto: «Lo faremo quando vedremo l’Iran comportarsi come una nazione normale», il che significa porre altre condizioni.
Più chiaro è che cosa sia Paese normale. Non gli Stati uniti che avendo scatenato guerre in tutto il Medio Oriente, dall’Iraq alla Libia, hanno destabilizzato un’intera regione, il Medio Oriente, e ora con la guerra dei dazi alla Cina si preparano a minacciare l’intero continente europeo e l’economia mondiale.
Da Londra Trump è partito per la sua lunga campagna elettorale e già che c’è per assestare una mazzata all’Unione europea e intromettersi negli affari interni di un altro Paese. Con una visita di stato ingiustificata, se non per ragioni mercantilistiche – gli accordi della Gran Bretagna con Pechino – la monarchia britannica ha così messo a disposizione Buckingham Palace per offrire a Trump una vetrina scintillante in vista di quando, tra un paio di settimane, annuncerà la sua candidatura per un secondo mandato: figuriamoci che gli importa a Trump di dialogare con un premier dimissionario. Al massimo gli interessa sostenere Boris Johnson come prossimo leader conservatore e dare una mano al suo beniamino Nigel Farage, vincente alle europee e in testa a tutti i sondaggi.
Il presidente degli Usa ha criticato in modo piuttosto violento l’accordo sulla Brexit negoziato da Theresa May che con questa visita chiude probabilmente la sua carriera nel peggiore dei modi. Trump ha sottolineato che se al posto di May ci fosse stato lui si sarebbe rifiutato di pagare i 42 miliardi di euro che Londra dovrà sborsare per la Brexit.
Ma c’è dell’altro, come rileva sul Financial Times il leader liberal democratico Vince Cable: l’America di Trump è una minaccia globale. Trump, sottolinea il giornale britannico, sta distruggendo tutti gli accordi multilaterali: da quello sul clima all’intesa nucleare con l’Iran, dagli accordi di non proliferazione in Europa fino al Wto. Anche i britannici si accorgeranno presto di cosa significa la Brexit e negoziare da soli con Trump.
La Gran Bretagna uscendo dall’Unione ha fatto conto sulla «relazione speciale» che storicamente lega Londra a Washington, ma quando gli inglesi dovranno trattare un accordo di libero scambio con gli Stati uniti si renderanno conto che Trump non regala niente. Quasi sicuramente rimpiangeranno l’Ue, soprattutto se ne usciranno con un no deal, come vorrebbero Farage e Johnson. Ecco perché lo show con la regina è utile solo a Trump e un giorno forse apparirà come una carnevalata inutile.
L’America di Trump non è un Paese normale. Il presidente si lamenta della guerra di russi e siriani a Idlib contro i jihadisti e Al Qaeda: ma sono stati gli americani ad addestrarli per rovesciare Assad. Non una parola ovviamente su Israele che colpisce l’esercito di Damasco con i missili. Tutto è concesso agli alleati di Trump, in particolare all’Arabia saudita e agli Emirati, due sponsor del piano Kushner per la Palestina, che vengono riempiti di armi per far paura all’Iran e condurre una guerra devastante in Yemen, sull’orlo del collasso totale. Per la verità anche noi con le bombe tedesche prodotte in Sardegna dalla Rwm gli diamo una mano: c’è poco da fidarsi anche degli europei.
E nel caso dell’Iran, prima dell’apertura di Pompeo – «giochi di parole», l’ha definita Teheran – c’è stata la decisione americana di inviare navi e truppe nel Golfo. In realtà la prima condizione per avviare trattative tra Washington e la Repubblica islamica sarebbe l’allentamento della pressione militare americana e dei suoi alleati non solo nel Golfo ma in tutta la regione: è forse una coincidenza che Israele abbia di nuovo colpito la Siria, alleato dell’Iran?
Il presidente iraniano Hassan Rohani è già stato chiaro: è disponibile al negoziato se gli Stati uniti dimostrano di rispettare la dignità dell’Iran. E Trump finora ha mostrato di non essere molto rispettoso della legalità internazionale visto che ha cancellato il trattato sul nucleare del 2015 senza nessuna vera ragione specifica.
Gli Usa non sono un Paese normale e non vogliono neppure che gli altri lo siano. Usciti dal trattato hanno imposto sanzioni unilaterali sull’Iran impedendo a tutti di fare transazioni con Teheran, sia per l’acquisto di petrolio, sia mettendo sanzioni su banche e società straniere che hanno rapporti d’affari iraniani. Gli Stati uniti di Trump non vogliono che l’Iran possa sopravvivere e neppure che gli altri Stati abbiano diritto alla loro sovranità. Gli Usa chiedono a Teheran di essere un Paese normale ma loro fanno tutto il contrario per diventarlo.
* ilmanifesto.it
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