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Chiuse le pagine di Facebook anti-Erdogan: la guerra ai tempi dei social network

Dopo avere bloccato il profilo del sottoscritto per aver pubblicato una foto di Abdullah Öcalan “Apo” rinchiuso a vita nelle galere turche, oggi Facebook ha bloccato le pagine di Contropiano (testata con la quale mi onoro di collaborare da tempo), Global Project e dell’associazione “YaBasta! ÊdîBese!!”. Guarda caso, si tratta di pagine che stanno svolgendo, in questi giorni, una puntuale ed esaustiva attività di informazione indipendente e decisamente schierata contro il massacro che il dittatore turco sta compiendo nei confronti del popolo curdo. Un massacro che ha avuto l’avallo  della NATO ed a cui partecipano, in misura variabile al peso che vi hanno,  tutti i paesi membri dell’ “Alleanza Atalantica” compreso il nostro, che, fin qui, ha contribuito tantissimo ad armare il dittatore turco fino ai denti.

Vogliamo dire la verità e rompere il muro di ipocrisia che si è alzato intorno al tentativo di genocidio del popolo curdo in atto? Ecco, nei social network pare non sia proprio possibile. E perché mai? Perché il social network è forse la più grande fregatura partorita dal capitalismo nel corso della sua esistenza: si prende tutto di te, gratis, ma non appena scrivi o pubblichi qualcosa che disturba il grande manovratore ti cancella in un nanosecondo senza nessuna spiegazione e senza nessun diritto di difesa, come una qualsiasi “democratura”, post democrazia o come vogliamo chiamarla. O forse, è arrivato il momento di chiamarla per ciò davvero è: una dittatura. Invisibile, si , ma efficacissima perché non ha bisogno di bastonarti dal momento che ti controlla 24 h e ti fa sparire ogni volta che vuole. 

E’, insomma, uno spazio giuridico in cui chi produce(contenuti) gratis non ha, in cambio, nessun diritto. Tutto il castello di norme nazionali ed internazionali sul diritto alla privacy e sulla “cittadinanza digitale” hanno, avuto, fin qui, un’assai scarsa efficacia, a parte la multa  inflitta a Facebook,  nel  Luglio 2019, dalla Federal Trade Commission USA pari a 4 miliardi e mezzo contro cui il social ricorrerà certamente, per l’enorme scandalo di Cambridge Analityca.

E non è un caso se anche la senatrice Elizabeth Warren, candidata alle primarie del Partito democratico in vista delle presidenziali del 2020, abbia deciso di attaccare duramente e frontalmente la posizione  di monopolio delle aziende dell Silicon Valley diffondendo una fake su Zuckerberg  in polemica con  la decisione di Facebook di non controllare né bloccare i post pubblicati dai politici di spicco, anche se promuovono fake news o violano le regole sull’incitamento all’odio del social network, e di non applicare il fact-checking alle loro affermazioni inesatte. 

\“Facebook ha cambiato la sua policy per permettere ai politici di promuovere post che contengono menzogne, trasformando la piattaforma in una macchina di disinformazione con fini di lucro. Questa settimana abbiamo deciso di vedere fino a che punto si spingerà […] Abbiamo creato un’inserzione su Facebook che sostiene il falso per vedere se sarebbe stata approvata. Lo è stata, e ora circola su Facebook”  ha scritto la Warren su Twitter che ha spiegato di aver deciso di pubblicare la fake su Zuckerberg in seguito al rifiuto di Facebook di bloccare un video, sponsorizzato dal comitato elettorale di Trump, che diffondeva fake news sull’ex vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ed era stato visto in poco tempo da più di cinque milioni di persone.

Insomma, Facebook è intransigente quando si tratta di difendere la libertà dei più forti (anche quando sono in competizione fra loro) che diffondono falsità seriali per i loro interessi e giochi di potere ma, allo stesso tempo, è prona nei confronti di chiunque chieda di cancellare post, accounts e pagine di chi scrive verità scomode che possono disturbare qualche potente di turno o qualche Stato “amico”.

Come avviene la censura? Assai probabilmente qualcuno fa delle segnalazioni a Facebook che diventa “sensibile” ad alcune parole o frasi.  Da quel momento un’applicazione potrebbe far partire una lunga serie di ulteriori segnalazioni da profili falsi. Se l’algoritmo capta alcune parole chiave contenute nelle segnalazioni,  scattano automaticamente le restrizioni più o meno correlate entità della presunta violazione indicata( blocco per periodi variabili o addirittura la disattivazione dell’account). 

La Turchia sta compiendo un massacro nel nord della Siria e sappiamo che, non appena un paese della NATO entra in conflitto con entità esterne ad essa, si mette in moto una potente macchina da guerra propagandistica che non mette più il bavaglio militare alla sola informazione mainstream ma è in grado sicuramente di attivare procedure automatiche di controllo e di sorveglianza anche sui social network.

In questo ambito diverse sono le aziende che stanno lavorando da anni per offrire prodotti sempre più sofisticati ed efficienti. Ad esempio, la statunitense Raytheon è  una delle più grosse aziende attive nel settore della difesa che ha segretamente sviluppato un programma per computer chiamato “Riot” (Rapid Information Overlay Technology) che altro non è che una sofisticata apparecchiatura di sorveglianza digitale, ovvero, il corrispondente attuale dei servizi segreti.  Riot o altri programmi del genere possono collegarsi a qualunque altra banca dati che contenga informazioni su di noi, creando un sistema di sorveglianza statale onnicomprensivo.

Il software TIA (Total Information Awareness), per esempioa cui lavoravano gli Stati Uniti diversi anni fa  prendeva le informazioni da ogni azienda con banche dati sui suoi clienti. Avrebbe dovuto creare un’enorme rete di profili su ogni singolo americano. Il TIA è stato ufficialmente abbandonato nel 2003 ma molto probabilmente  ha solo cambiato nome.

Dalla prima guerra del Golfo in poi le notizie sui teatri di guerra vengono dagli stessi comandi militari e tutta la stampa occidentale che conta è diventata “embedded” mentre i pochi giornalisti not embedded sono divenuti bersagli viventi nel mirino dei belligeranti. Forse pochi ricordano quando gli USA bombardarono la tv di Belgrado il 23 aprile del 1999 oppure dell’attacco all’Hotel Palestine a Baghdad.

Da allora gli strumenti di controllo, di censura e di selezione delle notizie si sono raffinati ed adattati al mutato contesto della comunicazione in cui i social network hanno assunto una posizione primaria al punto di determinare la vittoria o la sconfitta anche del presidente degli stessi Stati Uniti. E allora può succedere che, se racconti la guerra dal lato sbagliato, qualcuno o qualcosa intervenga per bloccarti intervenendo sull’algoritmo di turno del social network che copre più di un quarto della popolazione mondiale e che, non a caso, è stato definito ” il più grande stato del mondo”: Facebook.

Dal caso Cambridge Analytica (la società di Steve Bannon che ha operato fraudolentemente in rete per favorire l’elezione di Trump) in poi, sappiamo che, ai manipolatori ed ad ai censori, più o meno occulti, basta un applicazione per influenzare e/o bloccare chiunque intacchi i propri  interessi o gli dia, in qualche modo, fastidio. E sappiamo pure che, anche dopo l’esplosione di quello scandalo,  Facebook ha continuato a consegnare ad un centinaio di grandi società hi tech tra le quali Apple, Amazon, Microsoft, Spotify e Netflix, i dati dei suoi utenti in deroga a tutte le “regole sulla privacy”. 

Sarebbe ora di chiedere il conto a questi signori se non vogliamo fare la fine dei personaggi di un noto romanzo di George Orwell.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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3 Commenti


  • Daniele

    Ma io vorrei sapere solo una cosa: che bisogno c’è di scrivere sui social network? No avete un sito che gestite voi? Non è così anche per gli altri? Per che diavolo sottoporsi alla dittatura di quelle latrine di merda di maiali? Perché ?Non avete anche altri canali indipendenti? Se non li avete procurateveli, siamo in guerra porco mondo!!!!!


  • Annamaria Garelli

    Cosa comporta il divieto di riproduzione senza consenso esplicito della redazione? anna


    • Redazione Contropiano

      A seconda del contesto in cui viene riprodotto, e in casi estremi, anche la denuncia…

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