Con la proclamazione della giornate in ricordo delle foibe e delle vittime del terrorismo il conflitto tra Storia e memoria ha raggiunto un punto estremo.
Il sopravanzare della seconda sulla prima, la costruzione di una memoria pubblica, anzi di Stato – nonostante per definizione essa non possa che essere singolare, parziale e soggettiva – ha visto emergere una nuova figura di testimone, fuoriuscita dal processo di selezione che la figura del testimone ha subito, al punto da lasciare sullo sfondo tutti gli altri attori della Storia a vantaggio di uno solo di essi, divenuto l’unico testimone legittimo, sancito per legge, il testimone che assume la postura sofferente: la vittima.
Non tutte le vittime però, ma solo quelle che si vedono riconosciuto l’accesso a questo status, la vittima forte che cancella quelle deboli.
«In primo luogo la memoria, l’ossessione della memoria. Il dovere, addirittura, della memoria, un termine che nel nostro spirito pubblico aspira a spodestare, come ha notato Enzo Traverso, il suo gemello/antagonista storia.
Rispetto alla storia, la memoria è soggettiva, intima, vissuta, non negoziabile, autentica se non vera a prescindere: assoluta proprio perché relativa. Configura un rapporto col passato di tipo inevitabilmente proprietario: il mio, il nostro passato.
La memoria non si scrive senza pronomi e aggettivi personali. Al suo centro, il testimone; e testimone per eccellenza è oggi chi reca iscritto in sé, nel corpo prima ancora che nella mente, il peso dei processi da cui è stato affetto: la vittima, dunque.
Vera protagonista del passato è la soggettività sofferente, cui le istituzioni attribuiscono volentieri il crisma dell’eticità di Stato, istituendola a oggetto di celebrazione pubblica avente forza di legge: il “Giorno della Memoria” (27 gennaio, commemorazione delle vittime della Shoah); il “Giorno del Ricordo” (10 febbraio, in onore delle vittime delle foibe); la “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie” (21 marzo); il “Giorno della Memoria dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice” (9 maggio, anniversario dell’omicidio Moro).
Sinistro cortocircuito, che isola gli eventi dalla catena del loro accadere, li ipostatizza in valori invece di spiegarli come fatti, e in tal modo invalida anche il proposito di elevarli a monito perché ciò che è accaduto non accada di nuovo: non chi non ricorda, ma chi non capisce il passato è condannato a ripeterlo».
Daniele Giglioli, Critica della vittima, nottetempo, 2014, pagg. 16-17
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