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La freccia del Parto

La risposta che l’Iran ha dato all’attacco israeliano contro la sua ambasciata di Damasco non solo non si è fatta attendere e si è articolata a diversi livelli, ma soprattutto è venuta malgrado le minacce congiunte di Israele e degli Stati Uniti. Ancora una volta, come in Ucraina, la sfida è stata raccolta.

Il primo dato che merita di essere sottolineato è che la reazione iraniana è stata molto più sottile, se confrontata con ciò che sono in grado di fare gli americani, gli occidentali o i sionisti che governano lo Stato d’Israele. 

La risposta dell’Iran ha avuto innanzitutto un carattere simbolico e dimostrativo, essendosi estrinsecata nel lancio di uno sciame di droni non particolarmente veloci e quindi facilmente neutralizzabili.

Diverso come portata ed efficacia offensiva è stato invece il lancio di missili balistici dotati di testate multiple, usati per la prima volta dall’Iran e indirizzati con precisione sulle basi aeree di Ramon e di Hatzerim (quest’ultima è la base da dove sono partiti gli aerei per il raid israeliano su Damasco), provocando numerosi danni e la distruzione di un certo numero di aerei e di elicotteri.

La terza risposta, infine, si è concretata nel sequestro della nave portacontainer MSC Aries, operato nelle vicinanze dello Stretto di Hormuz.

La nave è gestita da una società che appartiene ad un miliardario israeliano e la sua cattura da parte di un commando iraniano trasportato da un elicottero è chiaramente un monito agli Stati Uniti e ai loro alleati del Golfo, affinché non pensino ad un attacco sul territorio iraniano, che determinerebbe da parte di Teheran, che ne ha pienamente la possibilità, la chiusura immediata dello Stretto di Hormuz con tutte le conseguenze facilmente immaginabili che ciò provocherebbe per l’economia occidentale.

Sennonché esiste un perdente sicuro in questa storia: ora un miliardo e mezzo di mussulmani guardano all’Iran sciita, ossia ad una nazione che ha osato sfidare la superpotenza americana per difendere i palestinesi, mentre – per citare solo un esempio – la Turchia sunnita di Erdogan ha brillato per la sua assenza e per la sua timidezza.

Siccome la conoscenza della storia, a partire da quella antica, è oggi fortemente trascurata e l’ignoranza, oltre ad essere in sé deprecabile, è anche dannosa in termini di comprensione delle dinamiche di lungo periodo sottese alle relazioni internazionali, è sicuramente utile dare un’idea, sia pure a grandi linee, della storia politico-militare da cui proviene l’Iran attuale, ossia la Persia, tenendo conto che, contrariamente a ciò che spesso nei commenti giornalistici viene sottinteso, la popolazione che viene indicata con questi etnonimi appartiene alla razza (non semitica ma) indoeuropea.

La tribù iranica dei Parti, guidata dalla dinastia degli Arsacidi, resse dal 250 a.C. al 230 d.C. un impero che comprendeva gran parte dell’Iran, la Media e la Babilonia, e rappresentò sempre un argine insuperabile per l’espansione dell’impero Romano.

Non fu facile per i generali di Roma mettere a punto una tecnica e una tattica che consentisse di fronteggiare la cavalleria pesante e leggera degli iranici. I cavalieri “pesanti” erano infatti corazzati dall’elmo del guerriero fino al ventre del cavallo e sui loro scudi si spuntavano i giavellotti scagliati dai legionari romani, che non erano in grado di resistere all’urto di quei “carri armati” ‘ante litteram’.

Dal canto loro, i cavalleggeri montavano cavalli addestrati a lasciarsi guidare dai colpi di tallone, e quindi i cavalieri, avendo le mani libere, scagliavano frecce anche girandosi all’indietro, colpendo i nemici che commettevano l’errore di inseguirli, convinti che essi si fossero dati alla fuga: questa finta fuga era il cardine della loro tattica.

Gli inseguitori venivano così decimati dalle frecce di un nemico che fuggiva: da qui è scaturita la metafora della “freccia del Parto”, cioè il colpo che ti coglie di sorpresa, tirato da un avversario che sta fuggendo.

Quando i tre triumviri – Cesare, Pompeo e Crasso – si divisero i settori d’intervento, Crasso volle l’Asia Minore, essendo attratto dalle favolose ricchezze della Siria, della Palestina e dell’impero dei Parti. Pompeo e Cesare forse lo avvertirono che con i Parti non si scherzava, o forse tacquero, prevedendo che Crasso avrebbe attaccato quel nemico invincibile e ne sarebbe stato eliminato.

Il 9 giugno del 53 a.C. Marco Licinio Crasso venne sconfitto a Carre. Stando agli storici del tempo, gli dèi avevano cercato di dissuaderlo dall’ingaggiare la battaglia inviandogli una serie di segni nefasti: non solo fulmini e tuoni, ma anche lenticchie e focacce d’orzo, che furono distribuiti ai soldati pur sapendo che i Romani consideravano tali prodotti come cibo da riservare ai banchetti funebri.

Infine, mentre stava celebrando il sacrificio in onore del dio del fiume Eufrate, che i Romani avevano attraversato, Crasso si fece sfuggire dalle mani le viscere della vittima e, notando che i presenti erano terrorizzati, diede la colpa alla vecchiaia e garantì che nessun’arma gli sarebbe sfuggita di mano.

Insomma, quel giorno maledetto il triumviro contribuì a produrre segni nefasti, l’ultimo dei quali fu quello di avviarsi al campo di battaglia indossando non il tradizionale mantello di porpora, ma un mantello nero. Prima di essere ucciso, toccò al triumviro di vedere la testa del figlio Publio conficcata su una lancia che un Parto agitava sotto gli occhi dei soldati Romani gridando che non era possibile che da un uomo così spregevole come Crasso fosse nato un figlio tanto valoroso.

Secondo Plutarco, quella testa tronca venne usata da un attore come arredo di scena: questi la prese tra le mani mentre recitava alcuni versi delle Baccanti di Euripide durante il banchetto in cui Orode, re dei Parti, e Artavasde, re dell’Armenia, festeggiavano la loro riconciliazione. Si narra anche che Orode, volendo porre in evidenza la cupidigia di Crasso, abbia fatto versare oro fuso nella bocca della testa tronca di Crasso.

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2 Commenti


  • Diego Tabacchi

    Ma la testa tronca nella cui bocca fu versato oro fuso era di Crasso o del figlio Publio?


  • Danilo Franzoni

    …forse sarà la testa del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu…

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