Menu

Coronavirus: L’importanza di estendere subito i test

Non sono certo un tecnico ma è una questione che mi è parsa urgente fin da quando ho letto che fuori dai principali focolai si esegue il test per il Covid19 solo per i casi più conclamati o quelli per i quali esisteva una connessione epidemiologica con altri contagiati verificati o con gli epicentri del contagio in Italia (anche in casi di affezioni respiratorie importanti come bronchiti non vengono eseguiti i tamponi automaticamente).

Una scelta, quella di seguire solo il criterio della filiera epidemiologica, che forse era già discutibile da quando si è retrodatato l’avvio del contagio in Italia almeno di un mese dalla perimetrazione del primo focolaio a Codogno e che è ancora più discutibile adesso che l’OMS sta per dichiarare l’esistenza di una pandemia!

In questi giorni sia la Simit (la società italiana degli infettivologi), che la Federazione dei medici di famiglia (la Fimmg) hanno fatto appello alle Istituzioni per allargare lo screening a tutti i sintomatici con affezioni alle vie respiratorie ma ancora nulla è cambiato. Provo qui a riassumere alcune di quelle che mi sembrano le ragioni principali affinché questo avvenga in fretta:

Innanzitutto il contenimento del contagio

L’Italia ha scelto di puntare tutto sul fronte della lotta al lato in ombra del contagio, con una riduzione drastica e “aspecifica” di tutti i contatti tra tutte le persone. Una condizione forse necessaria e molto pesante da tutti i punti di vista. Ma non ha incrementato di molto lo sforzo per agire sul fronte “in luce” dell’epidemia quello di individuare il maggior numero possibile di contagiati rispetto al totale, per permettere un isolamento sicuramente più efficace e specifico.

Una scelta sbagliata a maggior ragione per un’epidemia che per oltre la metà dei casi (almeno) produce sintomi confondibili con quelli dell’influenza di stagione (per cui se non gli viene diagnosticato il Covid19, chi ha da lavorare per campare non resta a casa per due linee di febbre o per un raffreddore solo perché gliel’hanno “consigliato” in tv).

Il dato sulla mortalità in Italia in questo momento (circa il 7% dei contagi accertati) oltre che essere legato a una maggiore età media del nostro paese rispetto alla Cina, ci dice che probabilmente una grossa fetta di contagiati non è stata individuata. Di questi e altri aspetti parla con grande chiarezza in questa intervista Marcello Tavio, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Ospedale di Ancona e presidente della Simit.

L’esempio cinese (e quello coreano)

Si è parlato molto del successo cinesi nel contenere il contagio. Ma per qualche motivo si è parlato solo delle strategie aspecifiche, simili (e più drastiche) di quelle che si stanno mettendo in atto in Italia bloccando la società. Ma si è dimenticato di aggiungere ad esempio che nelle regioni confinanti con l’epicentro di Hubei (come potrebbe essere in questo momento il Sud Italia rispetto al Nord), la Cina ha effettuato il test su un campione “statistico” di 320.000 persone per capire come il contagio si stava diffondendo nella popolazione, seguendo l’esempio degli studi sul contagio influenzale, oltre a testare immediatamente tutte le affezioni respiratorie di ogni tipo per bloccare la diffusione.

E inoltre anche a Wuhan, dove i casi erano decine di migliaia, ha inviato una task force di 9mila persone soltanto per ricostruire e testare sempre più a ritroso i contatti di ognuno dei contagiati (praticamente ogni addetto ha lavorato in media per un mese a testare la filiera di soli sette contagiati).

Noi non abbiamo le risorse umane della Cina, ma anche la Corea del Sud ha effettuato tamponi a tappeto, parecchie centinaia di migliaia, almeno quattro volte i test eseguiti in Italia. In Corea l’infezione sembrava essersi diffusa in anticipo rispetto al nostro paese, mentre ora, forse anche per questa strategia, la situazione sembra meno grave che da noi.

Aspetti riportati in questo articolo (pessimistico sull’Italia) scritto da Giorgio Parisi, fisico statistico, da sempre “a rischio premio Nobel”, presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei (a quattro mani con il CEO del centro medico Sant’Agostino di Milano)

Per affrontare fenomeni inediti ci vogliono più dati possibili

E’ una banalità, ma com’è possibile studiare un’epidemia nuova senza monitorarla al meglio? Ancora oggi leggiamo virologi di fama internazionale (come Ilaria Capua su Repubblica) che ipotizzano, sui modelli diffusivi dell’influenza ma completamente al buio dei dati, che malgrado i tentativi di contenimento i contagi nel nostro paese siano già almeno dieci volte tanto quelli accertati. E’ un’ipotesi che rappresenterebbe un’epidemia fuori controllo ma cambierebbe di gran lunga (in meglio ovviamente) le proiezioni drammatiche sui casi gravi, sui decessi e sui rischi di crack del sistema ospedaliero. Perché vorrebbe dire che la curva epidemiologica è molto più vicina al picco di quel che pensiamo. Ne parla ad esempio questo articolo del Sole24Ore.

Last but not least

In un paese che si sente costretto a una sospensione dei diritti Costituzionali senza precedenti nella storia della repubblica italiana (e che presto magari sarà seguito da altri paesi europei) come il diritto di manifestazione e la libertà di movimento, a maggior ragione è un dovere anche democratico documentare nella maniera più chiara possibile la situazione. E anche rispetto ai comportamenti individuali probabilmente restituire alla gente un quadro realistico della situazione sarebbe stato molto più efficace, immediato e convincente della moralizzazione personale e della necessità di iniettare dosi massicce di ansia compulsiva per via mediatico-endovenosa. Perché anche una settimana fa se sai che a Napoli i casi di contagio non sono 30 ma per dire 1500 magari diventi più prudente…
Ad oggi le argomentazioni che ho letto invece per “non” andare in questa direzione da parte anche dei responsabili dell’ISS non mi paiono convincenti. Sono riassumibili nei danni che il numero dei contagiati faceva all’immagine dell’Italia (ricordate il sottotesto delle dichiarazioni politiche sui giornali nei primi giorni “troviamo così tanti contagiati perché facciamo troppi tamponi”) problema evidentemente del tutto superato dagli eventi.

Nelle difficoltà economiche ed organizzative: ma anche qui il costo materiale del test è basso (tanto che tra un po’ gli Israeliani o Bill Gates ne lanciano sul mercato di massa uno di tipo domiciliare) e in ogni caso i costi che sta pagando il paese sono ben altri.

Organizzativamente si possono moltiplicare i laboratori pubblici attrezzati o anche precettare immediatamente i più accreditati tra i laboratori privati. Il problema infine dei “falsi positivi” che potrebbero nascere da una presunta “bassa qualità” dei test. Ma in ogni caso si direzionerebbero a questi laboratori i casi che oggi non vengono testati e basterebbe effettuare un secondo test di conferma nei principali laboratori ospedalieri dei soli casi positivi (come già avviene adesso).
Insomma una riluttanza per me inspiegabile ad estendere le attività di screening dei contagiati che per i motivi appena documentati può essere davvero un danno.

 * attivista sociale

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *