Siamo sicuri che siamo tutti colpevoli come qualcuno vuole farci credere? *
In questi ultimi giorni è un susseguirsi di notizie contrastanti: “Leggera flessione di morti ma aumento dei contagi” o “non prevedo nulla di buono sino a fine maggio”, “E’ pensabile riaprire dopo Pasqua ma con cautela”. Un mare di esternazioni la cui unica cosa sicura è che “dovete stare in casa, ma andare a lavorare”.
A questo punto ci rimangono solo i dati per consolarci o deprimerci, ben raffigurati nel diagramma allegato. L’unico che ci permette di verificare giornalmente l’andamento del contagio nel mondo.
Meglio non analizzare pubblicamente i dati
Se osserviamo la parabola del diagramma è subito evidente, che il contagio è ancora in crescita al contrario delle più felici esternazioni, soprattutto sostenute dal Corriere della Sera proprio l’altro ieri. Una curva che non promette bene ma identifica ancora un lungo periodo di contenimento obbligatorio della pandemia. Allora perché tale forzata interpretazione? Perché Il Corriere della Sera legge in modo forviante ed esaltandola, una impercettibile flessione dei dati? Non sarà forse perché, come altre testate, quel giornale e la maggior parte dell’informazione italiana, è frutto dell’espressione politica e di sostegno di Confindustria e della loro spasmodica voglia di riaprire le fabbriche quanto prima?
Un informazione trasparente?
E’ da tempo che dedichiamo spazio ed analisi per evidenziare i limiti democratici della nostra informazione ma di fronte a tele evidenza, trovo anacronistico rilevare la denuncia puntuale e strumentale, rivolta verso la censura (reale e mai negata) “orchestrata” dal governo Cinese. “Nascondono i dati”, “Sappiamo che in quel paese non esiste la Democrazia, quindi…”
Tutto in teoria condivisibile, se non fosse però che al tempo stesso il medesimo comportamento non è tenuto nel confronto delle notizie del nostro paese.
Non una critica contro il governo e le inconsistenti sparate delle opposizioni, che vanno a caccia di consensi utilizzando come arma i medesimi principi con sui hanno governato Lombardia, Veneto e Piemonte. Sulla privatizzazione selvaggia del sistema sanitario e sul taglio allo stato sociale, sulla rinuncia a recuperare l’evasione fiscale, combattere il lavoro nero etc.
Nessuna inchiesta seria sulla mortalità dentro i ricoveri per gli anziani o la correlazione tra i contagiati e i dati numerici sulle mortalità dei sanitari in lotta per salvare delle vite che, ricordo, ad oggi ammontano a oltre 69 medici morti e 10.000 contagiati (dati aggiornati alle 21.00 del 1 aprile 2020). Così come nessuna riflessione seria sul perché non si sono realizzati dei controlli con tamponi su quel personale, o quale relazione c’è tra loro e i contagiati; tra quelli che hanno contratto il virus continuando a lavorare in azienda e con quali mezzi di protezione.
Quest’ultima analisi, poi, credo non sarà mai svolta, anche perché la scusante della facile “volatilità del virus” rende tutto più giustificabile. E poi è meglio evitare di evidenziare che Confindustria continua a considerare prioritario ciò che “perde” oggi e non il danno economico futuro causato proprio da questa continua superficialità con cui si pretende di gestire il contagio.
I limiti dell’analisi politica e dell’azione rispetto la pandemia
Tralasciando la pochezza della kermesse parlamentare e televisiva dei nostri politici, giusto nei mesi di dicembre e gennaio, volta a misurarsi nazionalmente sulle elezioni politiche regionali in Emilia Romagna, ritengo importante evidenziare, ad oggi e senza presunzione analitica, alcuni i punti principali da prendere in considerazione sull’attuale situazione di contagio nel nostro paese. In particolare:
1 – Il ritardo con cui, nonostante quanto stava avvenendo in Cina e il pre-allarme, si sono attivati i mezzi di approvvigionamento dei sistemi di protezione individuale. Soprattutto per quanto riguarda il personale sanitario e di prima emergenza sociale (protezione civile, organi di polizia, strutture produttive di sussistenza, ricoveri e strutture ospedaliere di assistenza, carceri etc.)
2° – Il ritardo con cui si è annunciato il pericolo, accompagnato dal decreto di limitazione della circolazione che ha acutizzato l’atteggiamento già non poco spavaldo della nostra popolazione.
3° – L’assenza di mezzi adeguati di protezione dentro le fabbriche e nei luoghi pubblici di servizi (supermercati, uffici pubblici etc..)
4° – L’assenza di mezzi di protezione adeguati e controlli sugli operatori sanitari, che a loro volta inconsapevolmente si sono trasformati in vittime e vicoli del contagio. Soprattutto negli ospedali e nelle strutture private di assistenza agli anziani e non solo.
5° – Il ritardo con cui si sono chiuse le fabbriche e annunciato il reale pericolo, accompagnato dal decreto di fermo della circolazione.
6° – Il ridotto numero di esecuzione dei tamponi su soggetti con sindrome e relativi famigliari, lasciati a convivere nel medesimo luogo.
7° – Il permettere la riapertura prematura di aziende “non strategiche” ottenibili solo grazie l’invio di una richiesta al prefetto locale. Superando così anche la limitazione prevista dal decreto del Governo imposta dalla tabella codice ATECO.
8° – L’assenza di posti di assistenza e mezzi d’intervento adeguati e necessari, causati dai tagli e dalle privatizzazione del servizio sanitario nazionale che ha permesso di abbandonare malati a casa o in strutture private.
Guardare avanti ma voltandosi indietro
Ora il problema è capire se oggi questo limite e ritardo è stato recuperato.
Ammesso lo sforzo successivo, purtroppo le vite sino a qui perse non saranno più recuperate e per questo, non possiamo esimerci dall’accusare innanzitutto un sistema economico finanziario europeo liberticida, che dell’equilibrio di bilancio e del contenimento della spesa pubblica ne ha fatto un mantra indiscutibile. Un altare su cui si è sacrificato l’investimento pubblico obbligato a privatizzare e perire sotto la lama della spesa pubblica bloccata al 3%.
Un problema serio che i nostri politici, una volta superata questa emergenza, non possono ignorare o peggio difendere, con ulteriori tagli alla spesa pubblica. E dall’altra, di una classe dirigenziale e politica nazionale che invece di razionalizzare la spesa e migliorare il servizio, si è resa complice del mantenimento dell’inefficienza per consentire il furto di soldi pubblici da destinare ai privati.
Nell’immediatezza, invece, ritengo che il nostro obiettivo debba essere il tutelare gli operatori sanitari che sono gli unici a poter garantire la salvezza di altre numerose vite. Un principio fondamentale che deve prevedere anche il sequestro immediato delle cliniche private e di tutte le possibili strutture ospedaliere.
Altro che allestire ospedali da campo o in strutture fieristiche. O peggio come è avvenuto al Mater Olbia, struttura della sanità privata, reclutata a totale carico del sistema pubblico, con l’aiuto di medici e infermieri militari per coprire l’insufficienza di personale, con un sovrapprezzo per la Regione di 250 euro a posto letto per ricovero semplice, 538 euro per terapia sub intensiva, 900 euro per quella intensiva.
E il servizio verrà pagato comunque anche se i letti non dovessero riempirsi. Oltre a tamponi, dispositivi di protezione e farmaci pagati. Costi che la Regione Sardegna ha approvato senza intercedere, come da un menù al ristorante.
Non concordo sulla riapertura delle aziende, anche se è previsto un imminente arrivo di mezzi di protezione individuale. Non nell’immediato. Almeno sino a quando rimarrà una parabola ancora crescente del contagio. Vanno al limite riaperti solo quei luoghi di produzione e di possibile aggregazione sociale “veramente” fondamentali al superamento dell’emergenza. Null’altro.
Altro che delegare al prefetto la possibilità di andare in deroga al decreto del governo, come ha ottenuto Confindustriia dalle varie Prefetture. Solo a Modena sono state richieste, e operano, più di 1.200 aziende; a Reggio Emilia 2.500; in Veneto oltre 11.000 etc Il tutto in barba al rispetto del codice ATECO definito dal Governo con le parti sociali.
Ma vogliamo davvero tornare alla normalità?
Se vogliamo veramente contribuire a fermare il virus, ci devono bastare i morti di Bergamo per capirlo o guardare i risultati ottenuti realmente nel Wuhan (Cina), dove il virus è stato sconfitto grazie anche al lavoro degli addetti militari che consegnavano a casa la spesa ai cittadini. Altro che pattugliare parchi per mandare via donne e ginnasti.
Come non apprezzare positivamente la guarigione del distretto di Lodi-Codogno completamente isolato o verificare la curva già discendente della Corea del Sud? Un’analisi questa, che molto probabilmente si tende a non voler valutare soprattutto da chi considera il profitto prioritario alla salute. Non certamente una novità dato il già alto numero di morti sul lavoro per nulla considerati dal sistema di prevenzione e produttivo del paese. Nei primi due mesi 2020: 96.549 infortuni sul lavoro con 108 morti (dati Inail).
Se questi sono i dati su cui dobbiamo soffermarci, allora credo che sia giunto il momento che nulla torni più come prima. E’ necessario sfruttare il tempo e i fatti causati ed evidenziati da questa tragedia e pensare ad un altro modello organizzativo sociale e a una nuova stagione di rivendicazioni.
E’ ora che i sindacati, i lavoratori e le forze politiche soprattutto della cosiddetta “sinistra”, si mobilitino per i valori a cui dicono di far riferimento e non solo per rendere il sistema compatibile ad ammortizzare lo stato di povertà, da lui stesso creato.
Credo che sino ad oggi i salariati abbiano pagato un prezzo, in difesa dell’occupazione, già molto alto.
Devono bastare a questo sistema, i loro sforzi volti ad accettare precariato, perdita di diritti, futuro incerto, crescita zero o povertà della loro ricchezza familiare. Oggi sono altri che devono pagare. Chiamatelo patto di solidarietà, se non vi piace patrimoniale, ma qualcuno è ora che paghi. Soprattutto alla luce di quanto è avvenuto e che sta avvenendo.
E lavoriamo affinché nulla torni come prima, perché il”prima” era il problema.
* Potere al Popolo Modena
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