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Lo smart working rovescia i miti “anti-pubblico”

Secondo gli ultimi dati disponibili, diffusi dal Ministero per la Pubblica Amministrazione, la media dei lavoratori in Smart Working nelle Regioni italiane è del 69,2%. La Lombardia, con i suoi 10 milioni di abitanti, rimane dietro il Lazio e la provincia di Bolzano (che tuttavia è un caso a sé), ed è solo a un’incollatura da Regioni con popolazioni decisamente più modeste: Friuli-Venezia Giulia, Puglia ed Emilia-Romagna.

Non cade un altro mito meneghino – stiamo tranquilli – c’è che qualcuno a Roma ha contato male, ha fornito dati farlocchi. Oppure, mugugna lo scienziato lombrosiano, il distacco si spiega col fatto che il meridionale – è un dato antropologico, più fisiometrico che etnologico – predilige il lavoro agile, perché può stare a casa a guardarsi l’ombelico, senza consumare le ferie.

Sparate infelici come questa, ultimamente molto frequenti – sarà il nervosismo, sarà l’ansia da prestazione, sarà lo sbattere il grugno contro la realtà vera, e non quella delle narrazioni e dello storytelling – sono clamorosamente smentite dai dati.

Diverse amministrazioni ci hanno segnalato l’entusiasmo delle lavoratrici e dei lavoratori per il lavoro agile”, scrive Delia Zingarelli, in un recente rapporto sul lavoro agile di amministrazionedigiale.it. “Non mancano certo i problemi e i casi di overworking – dice. “Piuttosto che lavorare di meno, come erroneamente si è ritenuto da più parti, considerando ‘in ferie’ i lavoratori agili”, dice Zingarelli, “questi ultimi lavorano e producono a casa molto più che in ufficio per rispondere alle esigenze più pressanti”.

Le esigenze, ricordiamolo, sono quelle di disoccupati, cassintegrati, anziani che chiedono prestazioni assistenziali, che presentano domanda di invalidità e accompagnamento, di donne e uomini che chiedono congedi parentali, assegni familiari, naspi, eccetera.

Se si guarda al numero di pratiche elaborate, in molti casi, l’incremento del livello di produttività balza subito all’occhio. Il 5 maggio l’Agenzia delle entrate ha messo a disposizione dei cittadini per il 730 precompilato un miliardo (1.000.000.000) di dati.

In una teleconferenza con la Sindaca di Roma Virginia Raggi e la vice-ministro dell’Economia Laura Castelli, ospiti lunedì scorso del Messaggero.it, quest’ultima ha detto che grazie al lavoro agile il ministero si è svuotato, che le persone hanno iniziato a lavorare da remoto con grandissimi risultati. Siamo riusciti a pagare tutti gli stipendi dei dipendenti dello Stato da casa, una cosa impensabile solo un mese prima.

La sindaca della Capitale annuiva soddisfatta, pensando a tutte le automobili dei dipendenti tolte da strade e autostrade, alle migliori condizioni di viabilità e vivibilità della città.

In un recente incontro con i sindacati, Giuseppe Lucibello, direttore generale dell’Inail, ha chiesto ai sindacalisti di ringraziare i lavoratori, spesso in smart working, per il loro lavoro nella fase 1 dell’emergenza. L’INAIL ha svolto un servizio notevole all’interno dell’SSN, trovandosi fin dall’inizio dell’emergenza a sostenere un ruolo importante di collaborazione e supporto per strutture scientifiche e tecniche dello Stato.

Questi lavoratori, come rileva giustamente il rapporto di Amministrazione Digitale, hanno bisogno di una formazione aggiuntiva, di strumenti di lavoro più aggiornati; questi lavoratori, in molti casi, identificano il server con una macchina, e il client con una macchina fisica diversa. Credono che per creare un pdf bisogna prima stampare la pagina e poi scansionarla, e che per cercare un documento si deve aprire Word. E quando gli parli di protocollo TCP/IP pensano al foglio di carta a righe del formato della carta bollata, e scattano a prenderne uno dalla scrivania.

Ma a questi stessi lavoratori e lavoratrici, quando gli chiedi la differenza tra soci, collaboratori, coadiuvanti artigiani e non artigiani, o i modi e i termini di denuncia di inizio attività, eccetera, o le modalità di presentazione della domanda, i requisiti e la documentazione da produrre, citano a menadito la norma, il regolamento e le buone pratiche dell’ufficio, e a occhi chiusi picchiano sui tasti consumati e fanno uscire la certificazione richiesta.

C’è in essi quello che molti milanesi uptodate considererebbero un’assenza di cinismo.

Si può dire che, da questo punto di vista, sono innocenti. A nessuno di questi lavoratori e lavoratrici viene da pensare di essere osservati dal grande fratello, e che il loro lavoro è registrato con una granularità fine che nemmeno il cervello di un Taylor imbottito di metanfetamine riuscirebbe ad immaginare; o che questo casino del virus è stato messo in piedi per mascherare il mega-fallimento del neoliberismo che si annunciava già l’anno scorso; o che tutto sto bordello somiglia a Spillover, o a Cecità di Saramago, o perfino ai Sopravvissuti, la serie televisiva britannica del 1975.

Nessuno di essi, direbbe David Foster Wallace, è abbastanza scafato da avanzare la scontata e perversa lagnanza postmoderna: già visto.

Invece, quello che fanno è starsene seduti a battere sulle tastiere, affinché dalle stampanti e dalle mail escano le nostre pratiche.

Questi lavoratori ti costringono a pensare e a fare cose che quasi di sicuro non faresti, tipo sentirti parte di una classe, tipo alzarti in piedi e cantare l’Internazionale. La gente davvero perbene, la gente innocente, può mettere a dura prova.

Lungi da me suggerire (a parlare è Wallace) che tutti quelli che lavorano nella PA sono come i lavoratori dell’INAIL, ringraziati dal direttore generale Lucibello.

Sto cercando di dire che parte della disaffezione per la PA deriva più dal mio atteggiamento disincantato, che non dall’innocenza dei funzionari dell’INAIL; molto più dai pensatori liberal, che si sbracciano per avvertire del pericolo Grande Fratello, che non dai lavoratori e dalle lavoratrici che si barcamenano tra protocolli e tele-assistenza.

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