Abituati al piccolo cabotaggio, al chiacchiericcio politico fatto di sgambetti, ripicche e testacoda, ci sfugge forse un dettaglio che non è un dettaglio, anzi è il punto centrale: con 150 miliardi a disposizione (le cifre sui soldi disponibili per affrontare la crisi, in prospettiva sono più o meno queste) si potrebbe, volendo, cambiare il Paese.
Lo dico subito: all’ipotesi speranzosa – ai confini del misticismo – che dopo “saremo migliori” non do molto credito, e lascio a ognuno interpretare i numerosi segnali di incattivimento. E’ evidente a tutti, comunque, che la battaglia per chi gestirà quei soldi, come li distribuirà, con quali regole, con quali benefici, a chi, quando e in che misura, è più attiva che mai.
Si segnala per tigna e determinazione, il mondo delle imprese, insomma il non eccelso capitalismo italiano che rivendica un ruolo centrale, si oppone ai finanziamenti “a pioggia” (sugli altri), ancora mugugna sul reddito di cittadinanza (assistenzialismo!) e chiede valanghe di soldi a fondo perduto per sé (assistenzialismo, ma, sembrerebbe, più nobile perché invece dei poveracci riguarda gli imprenditori).
Insomma il ritornello è sempre quello: che se stanno bene gli imprenditori poi, a cascata, staremo meglio tutti, tesi smentita da almeno trent’anni di politiche sul lavoro, ma a ancora valida nella narrazione padronale.
La storiella si incrina un po’ quando si parla di regole e controlli. Esempio: se lo Stato “regala” una cascata di soldi a un’azienda, quali richieste di garanzia potrà mettere in atto?
Piccole cose elementari: niente aiuti a chi licenzia, per esempio (o divieto di licenziare per chi prende aiuti, fa lo stesso). Oppure un rappresentante pubblico nei CdA, giusto per controllare che i soldi di tutti non finiscano nell’acquisto di una barca nuova anziché andare alla produzione e ai salari per le famiglie.
O ancora: niente soldi a chi delocalizza, o ancora: niente soldi a chi ha situazioni fiscali non cristalline (tipo la residenza fiscale in Olanda, per dire). Tutte cose non così peregrine, insomma, davanti alle quali si è subito alzato un muro di granito.
Le giaculatorie padronali riguardano il vecchio intramontabile ritornello che lo Stato deve stare lontano dagli affari, il che però si incastra proprio male con la richiesta costante e pressante di soldi pubblici.
Traduco: il liberismo ama tanto quella manina invisibile del mercato che sistema tutto, ma poi capita che quella manina si presenti col cappello in mano a chiedere soldi, e allora tutte le belle teorie sul mercato che si autoregola vanno un po’ a farsi benedire.
Le obiezioni a qualunque possibile controllo statale sulle aziende che beneficerebbero di finanziamenti, insomma, sono di tipo ideologico. La prima, un po’ sorprendente, dice che mettendo qualcuno a controllare come le aziende spendono i soldi nostri aumenterebbe la corruzione. Come dire che, uff!, se mi mettete qui qualcuno a controllare, poi mi tocca corromperlo. Strana difesa.
Altri, più fantasiosi, gridano ai Soviet e all’economia di Stato, e si inalberano anche quando si chiede una partecipazione dei lavoratori alle scelte strategiche delle aziende. Vade retro, pussa via! Ma dove siamo, eh, a Mosca negli anni Trenta?
Sfugge a costoro, anche se lo sanno bene, che in Germania questo già succede, e anche con buoni risultati.
Insomma, il mood confindustrial-italico è “dateci i soldi e fatevi i cazzi vostri”, in pratica la richiesta di un capitalismo assistito ma senza contropartite. In questo modo, la cascata di miliardi in arrivo non solo non cambierà il Paese, ma finirà per perpetuare all’infinito il sistema delle diseguaglianze che la pandemia ha reso visibile a tutti.
E dopo, quando saremo peggiori, potrà continuare imperterrita la storiella che lo Stato deve stare alla larga dal mercato, salvo cacciare soldi a pioggia quando servono.
* da Il Fatto Quotidiano
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carmen
Confesso di non avere notizie sul “carattere” dei confindustriali di altri Paesi. Ma io non la porrei come questione “personale”. A me sembra che i nostri industriali – FCA è fuori da Confindustria, rammento – rappresentano il “carattere” del pezzo di capitalismo che sono. Un capitalismo la cui testa, spesso, non sta in Italia, ma altrove – fornitori e sub-fornitori – e, quindi, non ha proprio modo – al di là della natura di corto raggio del profitto in generale – di pensare strategicamente. E’ per questo, esattamente, che l’Italia avrebbe molto bisogno di Politica … ma non è ancora pervenuta, perchè subalterna all’idea che sia l’impresa a dare visione prospettica.
Antonio
Nessun commento. La verità è su quello che ho appena letto..C O N D I V I D O. T U T T O. !!!!
Roberto. Brioschi
Un serio problema che va considerato è il rapporto sempre più sfavorevole tra chi produce ricchezza operando in attività che creano valore aggiunto è chi la utilizza senza produzione di ricchezza. Nel tempo i pensionati sono aumentati, i dipendenti pubblici inamovibili anche quando non fanno lavori utili, poveri e disoccupati che vanno aiutati. Questa situazione va corretta creando nuovi posti di lavoro non parassitari, anche aiutando in modo consapevole i vostri tanto odiati imprenditori che dimostrate di conoscere poco e di perseverare sui vostri concetti veterocomunisti.
Redazione Contropiano
Sparare luoghi comuni neoliberisti, da queste parti, è fatica sprecata… Si potrebbero scrivere – e sono stati scritti – decine di volumi sul fallimento dell’impostazione culturale che ancora difendi. Il tracollo della globalizzazione si sta portando via tutta questa marea di sciocchezze che hanno occluso i cervelli per quasi 40 anni, e solo per nascondere l’immonda appropriazione privata di ricchezza a scapito di lavoratori di tutto il pianeta.
Quando diciamo “ha occluso i cervelli” lo diciamo in senso proprio. E tu ce lo dimostri, dando del “veterocomunista” ad uno scrittore decisamente noto (tra l’altro è uno degli autori del programma di Crozza!) che ha pubblicato questo pezzo su Il Fatto Quotidiano, non su la Pravda del ’38…
Enrico
Per questo motivo non mi dispiace che le aziende italiane passino in mano straniera, spesso quando avviene migliora la situazione a partire dagli operai.
Redazione Contropiano
Sei alquanto ingenuo… Anche la Fiat è una multinazionale, e ha già dimostrato, al pari di altre “colleghe”, di esser pronta ad andarsene quando lo trovano conveniente. Semmai bisognerebbe distinguere tra “stabilimenti” (fabbriche, ecc) e “imprese”. Le secono possono pure andare a farsi fottere altrove, i primi è bene che restino dove sono. Funzionanti…
Giuseppe Farina
Roberto Broschi sei rimasto ad Adam Smith? Credi nel “donatore” di lavoro nelle cui mano siamo al sicuro? Questa pandemia evidentemente non insegna nulla a certe teste…..
Henry
Mi sembra molto chiaro
Claudio Claudio
(Sulle analisi generali delle presenti Riassumendo, Trasporre uno spartito in DoMaggiore x uno strumento in Sibemolle si alza la Scala di un tono (diventa ReMaggiore) e si suona (e scrive) anche ogni singola nota un tono sopra. Ok? demando, troppo lungo oppure no). Rispetto invece alle recenti richieste Fondi di FCA propongo che vengano erogati e controllati non all’azienda in quanto tale ma DIRETTAMENTE agli stabilimenti Fiat italiani. Soldi vincolati a una serie di paletti per occupazione sicurezza e investimenti esclusivi delle varie singole e ben indicate fabbriche (e/o indotti) presenti sul territorio italiano.
Alessandro
Siamo in queste condizioni perché molti prenditori si sono tenuti più di 100.000.000.000 di € di tasse non versate.
Simone
Ci voleva il pur bravo Robecchi per dire che il capitalismo italiano è, irrimediabilmente, ‘straccione’?
Redazione Contropiano
Noi siamo un giornale. Quindi dobbiamo presumere – e sperare – che ogni giorno ci siano lettori nuovi che desiderano informarsi e non sanno ancora quello che noi abbiamo imparato sulla nostra pelle.
Fulvio
La Lady fi ferro (ve la ricordate?) diceva agli imprenditori: avete voluto fare un’impresa? Ebbene, ve la dovete smazzare da soli! Se scalare il K2 è stata un’impresa per chi è arrivato in vetta, così anche un imprenditore, se avrà successo avrà compiuto un’impresa! Ma se chiederà aiuto agli altri (lo Stato), non avrà più compiuto un’impresa! Se arriva una bufera e devi rinunciare, non è colpa dello Stato. Devi anche essere bravo a saperti reinventare, se sei un bravo imprenditore!
Andiamo poi, a scoprire che quei soldi, prestati dallo Stato, sono andati a finanziare ben altro, magari le banche svizzere!
Condivido in pieno l’articolo!
Pasquale
Mantenersi con soldi pubblici e dividere gli introiti tra gli azionisti. E’ così che si fa. E’ il capitalismo bellezza! Succede dappertutto dove la classe dominante è la borghesia.
Parlare di statalismo in tempi di vacche grasse è veterocomunismo per i prenditori, salvo poi invocare gli aiuti dello stato stesso in tempi bui come questo. Qualcosa non torna. Gli operai non si licenziano se si prendono finanziamenti dallo stato. Le fabbriche non si delocalizzano se funzionano con investimenti pubblici. Questo è il Comunismo? W il Comunismo.
derigius
A Brioschi evidentemente sfugge la cosa fondamentale: in una fabbrica o in una azienda, l’unico pezzo inutile addirittura dannoso è il padrone…o ‘imprenditore’ che dir si voglia!