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Marx e il socialismo del XXI secolo, a partire dallo spazio dello sfruttamento

Riportiamo un’intervista a Luciano Vasapollo a seguito dell’intervento tenuto al webinar online organizzato e trasmesso da Noi Restiamo “Dal Nordafrica all’Italia: giovani delle periferie, da una sponda all’altra del Mediterraneo” sulla loro pagina Facebook lo scorso 17 marzo.

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La situazione che vivono i giovani nell’altra sponda del Mediterraneo, con le dovute differenze, non appare troppo lontana dalla situazione di precarietà che esperiscono i giovani nelle periferie dell’Unione Europea: migliaia di questi salpano dal Nordafrica per giungere sulla costa Nord del Mediterraneo al fine di migliorare le proprie condizioni salvo poi ritrovarsi emarginati e sfruttati, mentre numerosi loro coeatanei italiani, spagnoli e greci emigrano verso i paesi del centro Europa. Sono le Periferie che vengono derubate dei propri beni, delle ricchezze e dei giovani, il cui futuro viene devastato.

Luciano Vasapollo, professore di politica economica alla Sapienza di Roma e membro della segreteria nazionale della Rete dei Comunisti, amico oltre che firma autorevole di questo giornale online, ritiene che l’incontro di solidarietà e complementarietà tra i popoli del Mediterraneo possa rappresentare una rottura di classe storica per l‘attualizzazione dell’ideologia marxista nella sua espressione gramsciana e per il socialismo nel XXI secolo dando l’occasione concreta per un riscatto da condizioni di grave ingiustizia proprio mentre in questo inizio 2021 la situazione della sponda sud del Mediterraneo torna ad essere infuocata.

Il tentativo è, spiega l’economista marxista, “l’attualizzazione di un dibattito politico, culturale e di pratica molto aspro e per questa ragione ci ha lasciato perplessi l’affermazione di un giornalista il quale, una settimana fa, attribuendo a se stesso il grande lavoro culturale che stiamo facendo, ha rilanciato come sua la grande idea della complementarietà e della solidarietà mediterranea per uscire dall’Unione Europea proponendo come alternativa l’ALBA euro-mediterranea”.

Ovviamente “a noi, come Rete dei Comunisti, non interessa la citazione in quanto tale, però vorremmo che quello che è il nostro patrimonio culturale e di lotte si configurasse con una propria eredità e non per quelle che sono delle manovre – come abbiamo scritto su Contropiano – semplicemente provocatorie”.

“Noi – sottolinea Vasapollo nel suo intervento al webinar – abbiamo parlato a lungo della crisi sistemica e pandemica i cui effetti bruciano e si sentono soprattutto nelle periferie, quei luoghi del centro imperialistico del mondo, dunque nei Sud, che non sono tali solo geograficamente, ma che hanno tutti delle soggettività in lotta che è una forza morale che spinge per un futuro di una nuova umanità mondiale.

“Questa è già in atto in paesi a transizione socialista, che vivono cioè passaggi che possono essere più o meno compiuti e definiti ma sono incamminati in direzione di una reale giustizia sociale con un percorso basato sulla redistribuzione e sulla pianificazione: questi sono Nicaragua, Cina, Cuba, Venezuela e Vietnam. Ma dobbiamo studiare anche gli effetti del neocapitalismo di questa mondializzazione indagando per capire quale sia il nesso tra la polarizzazione economica imperialista dei Nord, ovvero dei paesi a capitalismo maturo”.

Nel suo intervento Vasapollo cita libri come Volta la carta – Edizioni Efesto 2020 che colgono “i segnali della fine del mondo unipolare. Questo non identifica solo l’imperialismo statunitense unipolare in quanto a guida del centro. Il mondo multicentrico, pluripolare come diceva Chavez, da noi auspicato sfida le logiche imperialistiche e mette in discussione il suo modello di accumulazione. Al campo delle periferie sono pertinenti tutti quei paesi che si muovono nel distacco – così definito da Samir Amin – dal sistema imperialista.

Quindi oggi sicuramente ci sono paesi socialisti come Nicaragua, Cina, Cuba, Venezuela e Vietnam, ma nella lista delle aree per il multicentrismo aggiungerei anche Iran, Russia, India, Sudafrica, Turchia e altri. Alcuni di questi perseguono la strada della transizione socialista e altri hanno iniziato percorsi con dei paradigmi di carattere antimperialista e si pongono nella logica dell’emersione contro-egemonica delle periferie nei confronti delle centrali imperiali.”

“In questo senso – precisa Vasapollo – periferia deve essere intensa in modo ampio, non solo da un punto di vista teorico ma anche da quello delle pratiche. Compagni – insiste il docente della Sapienza – iniziamo ad essere un po’ critici: io contestualizzerò il mio ragionamento guardando a Marx ma dicendo in più che ci sono pratiche e modi diversi di essere in controtendenza rispetto alla mercantilizzazione capitalistica: pensiamo ai popoli senza terra, ai popoli originari, ai contadini, a quel che sta accadendo in India e in Tunisia come per esempio anche la cosmo-visione andina in Bolivia con il ritorno del Vivir Bien i sindacati conflittuali della FSM qui in Italia come la USB, le conflittualità che operano al centro del sistema mondo.

“Questi dannati della terra possono quindi essere chiamati operai o Indios, Terroni, Cafoni, Campesindios, disoccupati precari, soggetti del non lavoro e del lavoro negato. Lo sfruttamento delle campagne ha portato a uno sradicamento spaziale e culturale in quasi tutti i paesi. Noi dobbiamo riprendere e attualizzare il pensiero di Gramsci dei Quaderni: la situazione meridionale non è risolta, si è anzi allargata nei soggetti e nello spazio. La dobbiamo portare fuori dalle compatibilità capitalistiche anche pseudo radicalizzanti. Il sottosviluppo è una funzione lineare avutasi nella periferia delle colonie e per questo ci richiamiamo anche al pensiero anticolonialista e antispagnolo di Bolívar e José Martí”.

Su questo punto il capo scuola economista marxista è molto chiaro: “Questa coniugazione tra il marxismo di Gramsci e il pensiero anticolonialista di Bolívar e José Martí ci porta a un ragionamento che lega fortemente la necessità di integrare i processi nella sfera della lotta di classe e delle alleanze che è guevariano, internazionalista. Si tratta del riproporre le periferie come Sud allargato e quindi comprendere una nuova ALBA sulla via della transizione dall’Africa in Europa. Parlo dei popoli dei PIGS dunque, ma anche i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente”.

È una visione espressa ne La Storia mi assolverà di Fidel con la sua audace lotta di liberazione che va al di là di Cuba. “La necessità di recuperare il lascito umano e spirituale di Martí, Marx, Gramsci, Bolívar, Che Guevara, Chávez e Fidel è data – rileva Vasapollo – dalla volontà di voler allargare il fronte, spesso troppo chiuso perché eurocentrico, della sinistra borghese e anche marxista. Dobbiamo pensare agli agricoltori e agli operai ma anche ai tirocinanti, ai precari, al lavoro mentale della nuova classe operaia che Gramsci chiamerebbe dei nuovi subalterni.”

L’impossibilità di trovare una risposta chiara sulle periferie è netta: “Va riproposta l’idea marxiana del de-linking, del distacco, a partire dal rompere la gabbia della UE da parte dei PIGS. Io penso che il problema che oggi ha il Sud dell’Unione Europea sia molto simile a quello che hanno avuto, e che tuttora hanno, le realtà dei Caraibi e del Sud America con gli Stati Uniti. Se lì è stato possibile il de-linking dell’ALBA, allora perché non è possibile dare le gambe e la soggettività per un de-linking euro-afro-mediterraneo?”

In proposito l’economista e militante rivoluzionario precisa: “Dobbiamo recuperare anche un po’ di terminologia: spesso si ha timore di usare termini di cui, in maniera impropria e provocatoria, si è data come chiacchiericcio volgare della destra, come la sovranità, l’autodeterminazione, l’organizzazione autogestita dei lavoratori, l’indipendenza dello stato dalla dominazione straniera e dell’Imperialismo.

“In Gramsci questo patrimonio di idee e terminologia è importante in quanto rivoluzionaria, comunista, quando afferma che l’Italia diventa uno stato proletario quando è sfruttato dall’americanismo: questa è anche la determinazione del processo della morte dello Stato perché la soggettività rivoluzionaria di classe sa da questo far derivare la sovranità nazionale da quella popolare, di classe. Il capitalismo nazionale quando si riduce a vassallo dell’imperialismo perde ovviamente la funzione di stato nazionale. Questo così muore e diventa monopolio di borghesie in mano agli stranieri. Se non capiamo questo non possiamo capire quanto sia attuale e presente nelle attuali rotture di classe il nostro pensiero”.

“Marx – richiama Vasapollo – parla di sottosviluppo come conseguenza inevitabile della dinamica dell’economia capitalistica mondiale e delle sue contraddizioni interne. L’unica strada percorribile per l’emancipazione delle periferie risulta essere la lotta rivoluzionaria contro le forze, allora colonialiste, che oggi diremmo del conflitto imperialista”.

Eppure “il pensiero marxista è stato importante per capire il sottosviluppo ma è limitante guardare solo a Marx perché il nostro vecchio grande maestro analizza la società del suo tempo facendo riferimento a tre paesi la Germania, la Francia e l’Inghilterra e ragiona in questione di tempo. Per Marx il tempo è centrale: il tempo dello sfruttamento, del plusvalore, del plus lavoro. Oggi l’imperialismo si diversifica dal colonialismo attraverso la dimensione spaziale.

“Oggi noi dovremmo dire che i tempi dello sfruttamento nell‘attuale dimensione groeconomicopolitica – che non poteva individuare Marx – passano attraverso la variabile degli spostamenti localizzativi dello sfruttamento nello spazio e non soltanto sull’entità temporale, anzi – e qui cito il grandissimo fisico Carlo Rovelli – si sta mettendo in dubbio l‘esistenza dell’entità del tempo.

“Il tempo, e più precisamente quello passato e futuro, esiste come variabile determinante o non esiste? Carlo Rovelli ci spiega che la nozione comune del tempo non corrisponde ai risultati della fisica degli ultimi cento anni. Non c’è nessun grande orologio che batte il tempo dell’universo ovunque nella stessa maniera. Secondo Rovelli un’idea da comprendere fino in fondo è che nell’universo si può fare a meno della nozione di tempo. Forse il tempo, serve aggiungere, corrisponde a un nostro modo di vedere le cose ma non fa parte della struttura fondamentale dell’universo.

“Compagni – si domanda a questo punto Vasapollo – che cosa è l’età biologica di ognuno di noi davanti alle ere storiche? Il capitalismo è un bambino che sta cominciando a piangere che ha duecento anni, pochissimo se lo paragoniamo ai milioni di anni delle ere storiche. Che cosa è il socialismo sovietico? È un bambino di settant’anni che ha fatto si e no il primo pianto. Se è vero che possiamo scrivere equazioni e possiamo pensare a tutto senza la variabile del tempo, dobbiamo allora capire da dove viene la percezione del tempo e se lo sfruttamento è esplicabile solo con la variabile tempo oppure, come ci ha fatto capire Harvey e in primis Lenin, la situazione relativa alla nuova dimensione dell’imperialismo è la nuova dimensione della localizzazione.

“È quindi lo spazio la variabile determinante delle forme dello sfruttamento di classe! L’immagine del mondo fisico è, come dice Rovelli, una danza indipendente di una cosa rispetto all’altra perché non c’è, compagni, un tempo oggettivo. Che cosa è il tempo oggettivo? Esiste un tempo assoluto? Il nostro è un tempo percepito ed è un’approssimazione della variabile – hanno ragione i fisici – spaziale”.

Ma quali sono le implicazioni economiche e politiche in questo?

“La prima implicazione – elenca Vasapollo – è che il passaggio importante per l’analisi dell’imperialismo la fa Lenin e non Marx, perché è con Lenin che ci si distacca dalla variabile tempo e si mette in quella dello spazio, uno spazio di dominio del centro sulla periferia, nel ragionamento della forma stato e del che cosa è l’imperialismo. È evidente che le teorie di ispirazione di Marx, che si lanciano con Lenin e Rosa Luxemburg, trovano oggi una nuova lettura per una ispirazione marxista del XXI secolo”.

L’economista e rivoluzionario Vasapollo propone dunque una riscoperta di Marx ma guardando questi in un’ottica nuova: “Sì, penso che un elemento importante è la critica all’eurocentrismo di Marx. Marx era eurocentrico come Engels, perché entrambi agivano in quel contesto spaziale che era l’Europa. E in effetti la teoria di Marx sul conflitto di classe è quella di considerare il proletario occidentale europeo come l’unico soggetto rivoluzionario. Questo non avviene nella realtà del conflitto capitale-lavoro: la storia ci dimostra che le rotture rivoluzionarie non avvengono nei paesi dove il capitalismo è più sviluppato, ma avvengono dove ci sono forme di dominio feudale.

“Quali ricordiamo di più? La Rivoluzione sovietica, quella a Cuba e in Cina. Ci stiamo approcciando anche fuori nel senso dell’oltre dalla dimensione della concezione marxiana della rottura, dove le contraddizioni capitalistiche sarebbero state più alte. Hosea Jaffe con le sue critiche all’eurocentrismo di Marx, mette in evidenza una rottura teorica contro i marxisti nord-centrici. Noi possiamo prendere da Hosea il discorso dell’uguaglianza internazionale di classe nel senso più ampio spazialmente dell’internazionalismo proletario. Come si raggiunge? Con la lotta di classe, con l’unità rivoluzionaria di tutte le classi assoggettate al dominio dei Nord”.

Una visione dunque che possiamo cogliere grazie al concetto delle lotte modali di Hosea Jaffe il quale alla lotta marxiana di classe affianca la lotta modale, ovvero di modi di produzione differenti. Ciò in quanto “il modo di produzione capitalistico si percepisce nelle sue modalità differenti che possono essere descritti come scontri all’interno del capitalismo, oggi competizione interimperialistica, già individuata da Lenin. Un esempio è l’ipersfruttamento del Sud America di cui ci siamo occupati nella campagna Socialismo e barbarie, cioè lo spazio dove si è all’apice dello scontro capitale-lavoro.

“L’Europa non dispone oggi di nessuna superiorità né economica, né fattuale, né di cultura, né di civiltà. I Nord continuano ad arricchirsi con forme di rapine, con delle forme coloniali che oggi si chiamano di delocalizzazione produttiva e flussi migratori. Le invenzioni scientifiche che sono della Cina, dell’Africa, dell’America Latina vengono assunte a sfruttamento dai Nord”.

Nella storia recente, osserva Vasapollo, “le rivoluzioni sono avvenute in paesi poveri come la Cina, il Vietnam, la Russia, la Jugoslavia, la Corea del Nord e questo contrasta con l’idea del proletariato avanzato dei paesi imperialisti. Queste rivoluzioni erano contro una politica imperialista prima che per la costruzione di una società pienamente socialista”.

E in realtà, “quando si va in America Latina non si trova un’idea di socialismo immediatamente; l’unificazione delle lotte è sull’antimperialismo. Quindi la politica della non collaborazione allo stato colonialista e imperialista porta con sé un’unità delle lotte decolonizzante a caratterizzazione primaria assoluta antimperialista. Il problema non sono le categorie borghesi dell’uguaglianza e delle libertà democratiche, ma bisogna ascrivere tutto alla genesi dell’imperialismo e da questa nuova dimensione classista che muove negli spazi dello sfruttamento costruire la società della nuova futura umanità”.

Secondo Vasapollo “bisogna parlare dunque delle strutture che slegano il Nord dal Sud. Così penso che ci debba essere una specificità delle lotte di liberazione delle periferie nei distacchi con gli spazi Sud liberato. Su questo tema si sono soffermati intellettuali più grandi di noi, come Hosea Jaffe e David Harvey, che analizzano il sistema mondiale dal punto di vista non del tempo ma della geografia mondiale. E questo cosa vuol dire? Vuole dire che dobbiamo essere in grado di maturare una nuova teoria”.

Purtroppo, infatti, “il Fordismo non è finito ma si è de-localizzato, lo stato-nazione è ritornato, il capitalismo riduce le barriere sociali: c’è una compressione spazio-temporale.

Pensate – esemplifica l’economista – alla logistica, alla telecomunicazione, ai container. Il punto centrale è che l’accelerazione pone immediatamente il passaggio dal profitto alle rendite, cioè alle rendite di posizione che avvengono attraverso l’entità spaziale e non temporale. Quindi non è lo sfruttamento il cardine del capitalismo ma è lo spazio dello sfruttamento, cioè le delocalizzazioni delle fabbriche e degli uomini. La caratteristica dei diversi territori dà una dialettica non più spazio-tempo ma, come dice Harvey, spazio-luogo.

“Senza dubbio – osserva ancora Vasapollo – la concezione dell’Imperialismo di Lenin è simile oggi ma in più ci sono le nuove tecnologie informatiche e la variabile spazio che supera nelle modalità dello sfruttamento delle periferie la variabile tempo. Le questioni sono come si configura oggi la estorsione sul salario, il plusvalore coloniale che forse Hosea Jaffe estremizzava dicendo che anche gli operai del Nord erano una sorta degli oppressori contro le periferie.

“Ma nei nostri viaggi con le lunghe chiacchierate con il caro amico Hosea ho capito che intendeva l’aristocrazia operaia del Nord, ebbene su questo aveva ragione. Lui rigettava l’idea eurocentrica per cui le nazioni del Nord imperialiste sarebbero colpevoli soltanto dello sfruttamento dei lavoratori del Nord: non è così. Ugualmente Jaffe rigettava l’idea che il Vietnam, Cuba e la Cina fossero colpevoli di capitalismo di Stato.

“Questa tesi si collega anche all’altra teoria marxiana per la quale l’ascesa al socialismo potesse avvenire soltanto attraverso lo sviluppo dei rapporti capitalistici di produzione. Non è così: la storia lo dimostra con la rivoluzione di Mao per esempio. Bisogna segmentare il proletariato occidentale in un nuovo blocco sociale di classe e trovare momenti di unità con le lotte dei compagni delle periferie. Quindi non so se dire che c’è un plusvalore coloniale, so però che c’è un ipersfruttamento dei lavoratori nelle periferie e che c’è accondiscendenza anche nei Nord con quella guerra dei poveri di cui tanto si sente.

“La prospettiva è quella del distacco dall’impresa/Nord, quella che per Hosea era azienda-mondi, dunque, e “perché la politica di non collaborazione imperialista porta necessariamente a dirigersi a spazi di liberazione con forme di sovranità di classe. Il rifiuto alla sottomissione dell’andamento mondiale porta necessariamente alla teoria del distacco negli spazi di classe liberati, per superare il problema del basso salario, dell’importazione di manodopera di schiavi a costo quasi nullo. Il distacco in spazi liberati dall’imperialismo e dallo sfruttamento del lavoro salariato, non è una conseguenza dello sviluppo diseguale ma è la base per qualsiasi rottura a svolta socialista”.

E “il socialismo nel e per il XXI secolo si può raggiungere con la lotta di classe soprattutto partendo dal carattere antimperialista, quindi bisogna guardare agli spazi di classe dei Sud. Dopo Marx, che aveva visto il Sud ma lo leggeva in un’ottica occidentale, il materialismo storico ci aiuta a comprendere la categoria essenziale dell’imperialismo quindi l’arretratezza modale ed europea superata dalla pretesa fi mantenere attuale la visione e pratica di dominio di un’accumulazione primitiva del capitalismo americano ed europeo”.

La riflessione di Vasapollo si sofferma allora sul ruolo della periferia. “La conversione del colonialismo in imperialismo – analizza il professore capiscuola marxista – porta alle rotture dall’azienda-mondo, oggi impresa-nord . Che queste si chiamino Cina, ALBA oppure ALBA euro-afro-mediterranea o si chiamino politiche come in Catalogna e Paesi Baschi, quindi una serie di politiche di indipendentismo, bisogna capire quanto determino il distacco dal capitalismo dei Nord.

“Di certo la transizione non può avvenire nel centro imperialistico del sistema perché lì manca una conflittualità radicale: lo vedete oggi che c’è la crisi, c’è la pandemia eppure il proletario, gli operai dei paesi a capitalismo maturo non si muovono verso una lotta radicale rivoluzionaria, cosa che invece può avvenire nella periferia degli spazi dei Sud dove il Modo di Produzione Capitalista (MPC) si presenta in tutta la sua brutalità: la sparizione di civiltà, l’annientamento di interi nuclei familiari, il più brutale sfruttamento della ‘uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura”.

Questo mentre “il de-linking della rottura spaziale dallo sfruttamento capitalista deve essere attuato su un progetto politico, e siete voi giovani che dovete creare quella Politica rivoluzionaria che tagli le gambe alle barbarie dei tanti Capitalismi. Una volta alcuni gruppi di rottura e protesta si chiamavano no-global con un altro mondo è possibile perché è necessario e oggi più che mai può avere soltanto una declinazione socialista.

“Ci sono delle forze di dominio centripete e centrifughe in questo: una dimensione spaziale che è centripeta nell’attrarre le imprese – nord contro gli spazi Liberato dei Sud e una forza di dominio centrifuga quando le respinge. Si creano così i poli di crescita capitalistici e di conflitto interimperialista che originano le forme dello sviluppo economico dell’impresa-nord”.

Come è ben chiaro, “il MPC realizza in sé delle eccedenze di capitale e di forza-lavoro. La necessità di superare la crisi provoca le delocalizzazioni così da abolire il tempo come dice la fisica. Pensate alla speculazione borsistica: si gioca sui fusi orari. Il tempo è sostituito dalle macchine dello sfruttamento nello spazio territoriale e quindi non si avvia solo una delocalizzazione del capitale ma anche della forza lavoro che non è solo movimento della disoccupazione ma anche la perdita di civiltà nella svalutazione dell’umanità”.

Ma dobbiamo chiederci: la svalutazione dell’umanità, quella che Papa Francesco chiama la cultura dello scarto, cosa significa? “Significa – chiarisce Vasapollo – la svalutazione della dimensione spirituale che non è religiosità ma l’essere cervello-anima che si fa strumento collettivo nella classe degli sfruttati portatori di idee altre dello sviluppo qualitativo. Il MPC esporta muovendo negli spazi le sovrapproduzioni di fattori produttivi che mettono in crisi il sistema del capitale e rigenerano bel conflitto gli spazi liberati della classe che vive del proprio lavoro.

“Ci sono domande – continua il professore che per circa 15 anni è stato membro della governance centrale della Sapienza – che negli spazi liberati si pongono per una transizione socialista di qui ed ora: esiste un’entità Stato? Quale è la relazione tra geopolitica della transizione attuale delle forme socialiste e determinazioni dell’oggi dell’Imperialismo? Quali sono le dinamiche di accumulazione spaziale oggi delle nuove frontiere economiche e sociali delle multinazionali?

“La tendenza, ha ragione Harvey, è di certo quella di annientare lo spazio attraverso il tempo. E qui acquista negli spazi di transizione tutta un’altra dimensione: è lo spazio dello sfruttamento che crea delle controtendenze per il superamento del MPC. Gli spazi del dominio sono la nuova forma dello sfruttamento del capitale per valutarsi.

“Se il capitale trans-nazionale ha bisogno di uno spazio di alleanza per il comando del capitale, se ci sono delle forme di alleanza tra classi dominanti, come dice Gramsci dobbiamo contrapporle l’alleanza del nuovo blocco sociale attraverso le lotte dei subalterni. Alleanza delle egemonie, la politica delle alleanze di classe.

Secondo Vasapollo “è necessario rovesciare l’idea dell’alleanza delle uguaglianze borghesi nell’idea gramsciana dell’alleanza di classe dei subalterni, per cui la compressione spazio-temporale tende a creare zone liberate dal dominio della società del capitale. Questi piccoli spazi liberati che poi si trasformano in grandi spazi del distacco dall’impresa-nord lo vediamo anche con questa crisi del Covid.

“Noi siamo davanti alla Quarta Rivoluzione industriale, dopo la Prima inglese, dopo la Seconda del ‘29, dopo la Terza nella telematica di trent’anni fa. Oggi il telelavoro, lo smartworking, tutte le forme di controllo sociale con la scusa che c’è il coronavirus, stanno servendo per la ristrutturazione capitalistica della Quarta Rivoluzione”.

Forse, prevede Vasapollo, “ci abitueranno al fatto che dopo che i grandi centri commerciali si sono mangiati i piccoli commercianti, ora la grande distribuzione distruggerà e supererà i centri commerciali, si va sempre di più verso una centralizzazione e concentrazione dei capitali per dominare i mercati. Si creerà dunque sempre più un lavoro flessibile, una classe operaia del dominio mentale, una valorizzazione al fine di estrarre rendita da grandi monopoli di un capitale fluttuante.

“E allora serve un processo spaziale della centralizzazione dei soggetti del nuovo blocco sociale del mondo del lavoro e del lavoro negato in un blocco sociale rivoluzionario per l’alternativa di sistema. Ci sono esempi di crescita di spazi liberati anche con una rilettura marxista per un concetto, come Harvey dice, a-spaziale della produzione che noi vorremmo trasformare in determinanti di contro potere rivoluzionario per la transizione socialista”.

E sono due alla fine le considerazioni che Vasapollo consegna ai giovani delle periferie del Sud: “esiste una soluzione spaziale a questi problemi? La sovrapproduzione di forza-lavoro può essere esportata da un punto di vista di un continuo seguire capitalista delocalizzativo? Quali sono gli attori della contromobilità? La capacità del capitale è solo quella di spostare il capitale materiale o ridefinisce il dominio con la delocalizzazione anche di altro? Sì, dei brevetti e ai diritti d’autore perché il comando avviene con questa frattura tra materialità e dimensione del capitale immateriale.

“Noi dobbiamo riprendere tutta la modernità e attualità di Lenin perché da lui capiamo lo sfruttamento dei lavoratori da parte di altri in un altro luogo, è questa va riportata all’oggi dalla dinamica spaziale della lotta periferia-centro. Sì, è vero, Marx aveva parlato della città e e della campagna e delle variazione spaziale di quel momento storico, etc., ma il problema dell’imperialismo viene affrontato da Lenin con la forza del potere dello Stato.

“La nostra – scandisce Vasapollo – deve essere una dimensione che mette al centro il materialismo dialettico che si concretizza nel materialismo storico dentro al contesto de-localizzativo come metodo d’indagine e di fare teoria marxista per la pratica del distacco antimperialista qui ed ora. Cioè dobbiamo ritornare all’analisi delle economie locali della transizione socialista , alla capacità di darci una dimensione relazionale anche nella nostra quotidianità con i nostri compagni e compagne.

“Come si contrasta la caduta del saggio di profitto?”, domanda infine Vasapollo. “Con la lotta di classe dal basso, con l’unità anche con gruppi sociali eterogenei e da concezioni contrastanti; una visione nuova dell’egemonia nell’unità dell’interesse dell’internazionalismo di classe.

“Ci sono quindi dei processi che come dice Harvey definiscono degli spazi regionali che sanno determinare le alleanze di classe che noi troviamo nell’ALBA euro-afro-mediterranea”, afferma illustrando la seconda considerazione: “stiamo parlando di una attualizzazione storica del de-linking e lo facciamo attraverso la proposta dell’ALBA mediterranea perché noi poniamo al centro della nostra analisi l’unità di classe dei popoli del Mediterraneo.

“Per questo noi pensiamo che il de-linking parta dal distacco dalle politiche di democrazia rappresentativa. Noi lavoriamo fuori dalle forme di democrazia rappresentativa borghese per intraprendere un percorso di una democrazia politica, economica, di Che Guevara, Chávez e di Fidel ovvero la democrazia di base e partecipativa. E questo lo si può ottenere solo rompendo la gabbia dell’Unione Europea della delocalizzazione e dell’indebitamento.

“La colonizzazione e la dipendenza è presente in tutte le periferie e l’ALBA euro-afro-mediterranea deve essere vista come il contenitore del distacco, delle lotte di un modello di sviluppo alternativo; e anche qui torna Gramsci: noi ci dobbiamo proporre come entità del Governo della transizione socialista già da subito”.

Il professore chiarifica e lancia dunque un accorato appello: “Noi non siamo, compagni, solo dell’opposizione di classe, noi possiamo porci come soggetti per un Governo di alternativa socialista che sappia porre da subito il problema delle nazionalizzazioni del sistema bancario, dei settori strategici, il problema della democrazia reale, il problema della distribuzione della ricchezza, della soluzione in senso socialista del conflitto capitale-lavoro e del conflitto capitale-ambiente e del conflitto interno di civiltà.

“Noi dobbiamo rompere completamente con l’azienda-mondo, con l’impresa-nord e quindi dove l’azienda-mondo è l’azienda-nord. Se questo è vero, è vero altresì che per fare questo dobbiamo riconoscere un debito, l’estinzione completa di quella che è la possibilità di analisi di un’interpretazione relazionale. Torno alla meccanica quantistica dicendo che dobbiamo trovare quegli elementi utili per descrivere il mondo come manifestazione di sistema.

E come esistono i sistemi fisici che sono coniugati l’uno all’altro, noi dobbiamo trovare collaborazione con attività a complementarietà fra i sistemi prima di tutto dell’internazionalismo proletario, e questo è il compito che secondo me va portato avanti come analisi teorica e come pratica del conflitto”.

*da Il Faro di Roma

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