Sono arrivati in Francia per la maggior parte all’inizio degli anni ’80, più di quarant’anni fa. Hanno partecipato all’enorme ondata di contestazione politica e sociale che ha profondamente segnato l’Italia durante il decennio successivo al 1968.
Provenivano da gruppi (politici) diversi, avevano dietro di sé storie diverse ed erano tutti perseguiti dalla giustizia italiana per la loro attività politica. Sono stati protetti da quella che è stata definita “dottrina Mitterrand”, poiché in certi casi le condizioni di funzionamento della giustizia italiana, dettate dalla necessità di dare una risposta urgente alle derive terroriste della contestazione sociale, lasciavano paradossalmente temere che tutte le garanzie di equità non fossero rispettate; poiché, più in generale, gli esiliati italiani avevano dichiarato pubblicamente che abbandonavano la loro militanza politica, che consideravano tramontata la loro attività politica, e che rinunciavano alla violenza.
La dottrina Mitterrand non è un testo scritto, non ha valore che come decisione politica. Ma si fonda su un ragionamento che è stato riaffermato in seguito da molti governi, sia di destra che di sinistra, e che a noi pare valga la pena che sia senza dubbio ricordato.
(Tale dottrina) non è mai consistita nel sottrarre dei colpevoli a una giusta pena, né nel rimettere in questione il diritto di uno Stato di far valere il proprio sistema giuridico. E’ piuttosto consistita nel proporre de facto un meccanismo di assunzione di una decisione politica di fronte alla lacerazione dolorosa e generalizzata della coesione di un Paese, e dal momento che il contesto politico di tale lacerazione sembra dissolversi, di costruzione di una unità e di una ritrovata pacificazione.
Trasformare il dolore in conoscenza
Quindi (la dottrina) non pone una questione di casi individuali, bensì prende atto di una frattura che si è verificata, di cui ha constatato la violenza e che pare ormai superata: si pone il problema della ricomposizione di tale frattura.
Non cancella le colpe e le responsabilità, non nega la storia passata. Permette semplicemente al paese di ricominciare a vivere, e indubbiamente agli storici di poter cominciare a fare il loro mestiere, cioè a trasformare il dolore lancinante in conoscenza.
Nel caso degli anni di piombo una simile eventualità si è prospettata ed è stata vicino a realizzarsi a opera dell’Italia stessa, alla fine degli anni 1990, poiché si doveva dichiarare chiuso un capitolo – ancora una volta non per dimenticare, ma per permettere al Paese di liberarsi del (peso di) un periodo ormai passato e di consegnare agli storici il compito di farne la storia.
Tale opportunità sotto forma di proposta di una amnistia politica non è stata colta; era collegata a un progetto di riforma costituzionale che non ha mai visto la luce.
La guerra è finita
Oggi i militanti italiani arrivati (in Francia) all’inizio degli anni 1980 hanno quaranta anni di più. Hanno ormai superato l’età del pensionamento. Sono diventati giornalisti, ristoratori, medici, grafici, documentaristi, psicologi. Hanno avuto figli e nipoti. Hanno continuato a ripetere che la guerra era finita, che da tempo si sentivano lontani da quello che erano stati, senza tuttavia mai rifiutare di ammettere le loro responsabilità.
Avevano voluto il bene, la giustizia, l’eguaglianza, la condivisione, la solidarietà. Hanno avuto la tragedia. Ne ammettono la responsabilità ma hanno reso le armi da quarant’anni e tutta la loro vita successiva ne è testimone.
E’ a questi uomini e a queste donne che a 40 anni di distanza si chiedono i conti. Non da un punto di vista morale – ciascuno di loro ci ha già riflettuto a lungo – ma in nome di una giustizia che decreta che il perdono equivale all’oblio, che un’amnistia è sempre un tradimento, che la riconciliazione vale meno della riapertura delle piaghe.
Riaprire le piaghe, fare in modo che la storia non passi. Riaffermare la dottrina Mitterrand oggi non significa in alcun modo dare all’Italia lezioni in materia di giustizia. Significa semplicemente ricordare che la politica si fa anche, e soprattutto, al presente, che è suo dovere costruire le condizioni di un futuro condiviso, e che la concezione della giustizia come puro strumento di vendetta anche dopo quaranta anni è contraria a ciò che noi continuiamo a ritenere un funzionamento illuminato della democrazia.”
PRIMI FIRMATARI
Arié Alimi, avvocato
Etienne Balibar, filosofo
Luc Boltanski, sociologo
Jean-Louis Brochen, avvocato
Fabien Calvo, professore di farmacologia
Jean-Louis Fournel, professore di scienze politiche
Claude Gautier, professore di filosofia politica
Pierre Girard, professore di italianistica
Nicolas Guillot, storico
Bertrand Guillarme, professore di filosofia politica e sociale
Bernard E. Harcourt, professore di diritto e di scienze politiche
Sandra Laugier, professoressa di filosofia
Dominique Maraninchi, professore di cancerologia
Fréderique Matonti, professore di scienze politiche
Jean Musitelli, ex consigliere diplomatico e portavoce di François MItterand
Judith Revel, professoressa di filosofia
Valéria Bruni-Tedeschi, attrice
Costa-Gavras, regista
Jean-Luc Godard, regista
(LA LISTA COMPLETA è su Lemonde.fr)
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Riccardo Fiore
È giusto cosi????