Dunque, la dinamica secondo i media: Hamas lancia razzi, Israele si difende. La colpa, insomma, è sempre dei palestinesi. Certo, basterebbe poco per scoprire che le cose non stanno proprio così, ma ai media questo non interessa: soltanto il posizionamento conta, ed oggi è più remunerativo schierarsi con Israele.
La storia di quella terra, da qualsiasi lato la si consideri, è uno specchio che ci mostra la nostra debolezza, di noi Occidentali interessati più all’equilibrio che alla verità. Ma l’equilibrio non esiste, proprio perché solo la verità potrebbe garantirlo.
In questi giorni, in questi giorni di discussioni infinite, ho notato che non mi posso intendere con chi giustifica, anche blandamente, il comportamento di Israele. Il fatto è che quanto sta succedendo mostra una nuda, e vera, essenza: il popolo palestinese, e quello di Gaza in particolare, può svolgere solo il ruolo di cavia di un grande esperimento repressivo.
Solo tre anni fa gli Stati Uniti decisero di spostare la propria ambasciata a Gerusalemme, mettendo il sigillo all’intenzione israeliana di controllare tutta la città, in spregio alla comunità internazionale. L’espulsione di alcune famiglie palestinesi dal quartiere di Sheikh Jarrah rientra in questo contesto: Israele cerca di assumere il totale controllo di Gerusalemme.
Le prime proteste dei palestinesi allo “sfratto” sono pacifiche, ma vengono ugualmente represse dalla polizia israeliana. Come sempre in questi casi, il mix di repressione e resistenza amplifica la portata del caso, sino alla trasformazione delle proteste in vera e propria rivolta.
Tutto il resto è un susseguirsi di infamie, dai brutali pestaggi dei fedeli davanti alla Spianata delle Moschee all’irruzione dell’esercito israeliano nella Moschea di Al-Aqsa.
Qualcuno ha detto giustamente (Gramsci, se ricordo bene) che esistere significa essere partigiani. Si comincia a esistere quando ci si fa abitare dalla volontà di prendere parte alla trasformazione delle cose, contro i dogmi, il costituito, l’esistente. Essere partigiani è essere solidali con l’oppresso, persino con quanto vi è di insopportabile in esso.
Il lancio di razzi può apparire folle, immotivato, senza alcuna giustificazione, e dunque politicamente suicida. Ma se è davvero così, come chiamare la reazione spropositata degli israeliani? Spropositata, certo; lo scudo difensivo blocca la stragrande maggioranza dei razzi, di qualità infima, mentre a Gaza non esiste nessun sistema antiaereo, nessun carro armato o batteria di artiglieria in grado di rispondere al fuoco.
Di cosa è sintomo questa disparità?
Non c’è nessuna guerra, a Gaza. C’è uno degli eserciti più potenti (e meglio armati) al mondo che aggredisce una delle popolazioni più povere (e disarmate) del mondo. Hamas non rappresenta tutta la popolazione di Gaza; ne è parte integrante, certo, ma non possiede la forza militare in grado di impensierire seriamente Israele. E Israele lo sa bene.
E allora cosa sta succedendo? Sta succedendo che la popolazione di Gaza viene usata come cavia: da Netanyahu, prima di tutto, e poi, in subordine, anche da Hamas … Ma … Sì, c’è un “ma” …
Neanche gli Stati Uniti, che restano pur sempre il migliore alleato di Israele, ha creduto alla presenza di “terroristi” nella torre dei media. Ma allora l’azione può avere un solo significato: sopprimere l’eresia, la possibilità stessa che possa esistere una narrazione degli eventi diversa da quella dominante.
Quanti altri obiettivi sono stati colpiti senza che vi fosse una presenza reale di “terroristi”? Probabilmente non lo sapremo mai. Sappiamo però il numero delle vittime: 220, di cui 58 bambini.
Niente di più penoso dei media italiani; sì, penosi, proprio, e tanto più penosi in quanto si attengono all’assunto che la colpa è, in ogni caso, dei palestinesi. Eppure, non è difficile trovare le parole giuste: 58 bambini, una strage; la strage degli innocenti.
L’editorialista, il politico, l’intellettuale se la sbrigano presto, loro che adorano imputare ad Hamas la colpa; che rischi comporta farlo? Nessuno. Molto più rischioso parlare di strage; non è certo un caso che siano solo due le testate che lo hanno fatto, Il Manifesto e Avvenire.
Non è indifferente sapere che, in fondo, sono le uniche testate che avanzano, in modi certo diversi, dubbi sulla supremazia occidentale. Il loro posizionamento non dipende dall’adesione all’idea liberale di democrazia.
Gramsci, che ha tanto lottato contro l’ingiustizia, non avrebbe avuto dubbi: l’unica cosa degna è essere partigiani della causa palestinese.
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