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Cronache di un altro tempo. Rivoluzionario… /2

Quando arrivò il posto fisso alle poste e la casa popolare, la vita cambiò.

Un reddito sicuro. Un tetto sulla testa che nessuno poteva toglierti.

Mamma e papà ripresero a sorridere come facevano nelle vecchie foto di in cui si tenevano stretti sui sedili di una lambretta.

Gli anni ’50 e i primi anni ’60 erano stati duri.

Lavori precari, orari impossibili, ricatti e umiliazioni sopportati con la dignità di chi “aveva fatto” e subito la guerra.

A noi ragazzini non mancava nulla. Nulla di essenziale. Il cibo e i vestiti e un letto caldo.

Anche se la carne eravamo i soli a mangiarla. “Ai grandi fa male”. “La dovete mangiare voi che dovete crescere”.

I “grandi” si accontentavano di “pane cotto” per utilizzarlo anche quando diventava raffermo.

Eppure noi eravamo i fortunati.

I bambini che lo erano meno, finivano a servire caffè ai tavolini dei bar dove passavano il tempo gli ultimi scampoli di una borghesia fatta di parassiti che si godevano le rendite che i loro avi avevano accumulato.

Andavano su e giù per 5 lire di mancia. Con 15 ci compravi un panino. Spazzavano i pavimenti delle barberie.

I più grandicelli imparavano un mestiere. Andavano a bottega o “apprissu u mastru”.

Per i miei vecchi la libertà era superare la precarietà di una esistenza in balìa del padrone di turno.

Il padrone pubblico con le sue “garanzie” non era visto come un “nemico”.

E come gli si poteva dare torto, quando il problema non era solo perdere il lavoro e l’unica fonte di sopravvivenza, ma, quando si lavorava, riuscire a farsi pagare.

E un “padre di famiglia” non poteva permettersi di fare lo schizzinoso se non voleva finire a “passiare”.

Condannato all’eterna movida “strata ranni colleggio”.

A mendicare un lavoro in cambio della promessa di un voto.

Di padroni, mio padre, ne aveva conosciuto tanti.

Il suo primo lavoro era stato quello di ragioniere in una delle miniere degli Ayala, benemeriti benefattori della città.

Quando quella miniera fallì, insieme a tante altre, i padroni dello zolfo, salvarono case e conti in banca.

A lui si erano “dimenticati” di versare i contributi e avevano “smarrito” la liquidazione da qualche parte.

Anni duri.

Mia mamma era una donna forte. Era lei che amministrava tutto quello che veniva portato a casa.

Aveva fatto solo le scuole elementari; per la sua famiglia di contadini “arricchiti” a studiare ci andavano le “poco di buono”.

Ma era bravissima a tenere i conti in quei sui libretti a quadretti grandi che erano la bibbia di ciò che si poteva fare e ciò che non si poteva.

Quel marito e quella famiglia se le era conquistate coi denti.

Riusciva a inventarsi mille modi per “tirare avanti”.

I cappotti si rivoltavano, e pure i colli delle camicie.

E le scarpe dovevano essere buone per durare a lungo.

Ci tirò su a sberle.

Ma era il suo modo di volerci bene e di insegnarci a campare.

Fare studiare i figli per lei era l’obiettivo di una vita.

“Studia perché nessuno possa più metterti i piedi sulla testa”.

Lui votava socialista perché si sentiva rappresentato da quel libro che si intravvedeva sotto la falce e martello, ma quando la falce e martello sparì da quel simbolo, si mise a votare comunista.

Lei votava per “suo figlio” quando mi capitò (oddio è capitato pure a me) di presentarmi alle elezioni.

Ero l’unico “politico” di cui si fidava.

… Noi consapevoli intellettuali che abbiamo studiato e imparato molte più cose di quante avessero potuto imparare loro, sorridiamo del loro ingenuo modo di affrontare la vita.

Spesso ingiustamente bolliamo la loro remissività come pavidità.

La loro incapacità di affrontare collettivamente la loro condizione di sfruttati, come resa incondizionata al dominio del più forte.

Combattevano la guerra per l’esistenza nell’unico modo che conoscevano. Resistevano.

E il giorno in cui misero piede in una casa popolare il cui affitto non doveva più dissanguarli, quel giorno, fu un giorno di festa.

Il primo giorno del mese successivo, il campanello non avrebbe più suonato alle otto di mattina.

Puntuale come ogni mese, nessuno si sarebbe presentato alla porta a esigere il pizzo per quelle quattro pietre dove si mangiava si dormiva e ci si voleva bene.

E scusate se è poco.

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