Lo scorso 28 settembre è stata la giornata UNESCO dell’Accesso Universale alle Informazioni e del Diritto di Sapere.
In quella occasione, U.S. Citizens for Peace & Justice e Italiani per Assange , insieme a DiEM25 in Italy ed altri attivisti della Capitale (1.), hanno consegnato a mano una busta gigante con una lettera per la Presidente dell’UE Ursula von der Leyen, presso la European Commission in Rome, sita in via IV Novembre 149.
Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione europea lo scorso 15 settembre, infatti, la Presidente von der Leyen aveva dichiarato: “Dobbiamo porre un freno a coloro che minacciano la libertà dei media poiché difendendo la libertà della nostra stampa, difendiamo la nostra democrazia.”
Perciò, nel caso di Julian Assange e del suo sito Wikileaks, gli attivisti hanno chiesto che venga posto un freno a chi minaccia la libertà dei media oggi in occidente e segnatamente agli Stati Uniti e al Regno Unito che, da dieci anni, perseguitano il giornalista Assange:
▪ con la detenzione arbitraria (v. U.N. Working Group on Arbitrary Detention) (2.),
▪ con la tortura psicologica (v. la testimonianza del Relatore ONU sulla tortura) (3.),
▪ e con i continui intralci alla sua Libertà di espressione tramite il suo sito web, in violazione dell’art. 10 della Convenzione europea dei diritti umani.
L’UE non esita ad applicare sanzioni contro i governi rei di detenzione arbitraria, tortura, censura – dicono gli attivisti – e dovrebbe applicarle anche in questo caso. (4.)
Cliccare qui per sapere come potete firmare anche voi la lettera per Assange!
“Nel creare il suo sito Wikileaks 15 anni fa, Julian Assange ha reso effettivo il nostro Diritto all’Accesso alle Informazioni e il nostro Diritto di Sapere – proprio i valori che l’ONU celebra ogni 28 settembre”, aggiungono gli attivisti. “Perciò egli va protetto, non criminalizzato. Bisogna invece processare chi ha commesso i crimini rivelati da Assange.”
In questi 15 anni, infatti, il sito Wikileaks ha offerto un luogo sicuro in cui le “gole profonde” (whistleblower) di tutto il mondo hanno potuto rivelare gli illeciti di cui sono venuti a conoscenza. Infatti, il sito ha consentito loro di pubblicare i documenti compromettenti passati tra le loro mani — anche documenti arbitrariamente secretati — in maniera anonima, senza la possibilità di essere rintracciati.
Naturalmente, Assange e la sua équipe hanno verificato poi i documenti ricevuti; inoltre, hanno oscurato i nomi di coloro che avrebbero visto violato il diritto alla privacy o che avrebbero rischiato vendette qualora i loro nomi fossero stati rivelati. I documenti, così redatti, sono stati poi passati quasi sempre a testate internazionali per una ulteriore verifica e un ulteriore vaglio – e anche per ottenere maggiore diffusione.
Grazie a questo strumento di giornalismo investigativo, dirompente, ma gestito con criterio, Assange ha potuto far conoscere i molteplici crimini di guerra commessi dai militari statunitensi in Afghanistan, in Iraq e in molti altri paesi del mondo, nonché gli illeciti commessi dal politici statunitensi come l’allora Presidente Donald Trump e l’allora Segretaria di Stato Hillary Clinton. Non glielo hanno perdonato.
Anzi, hanno ordinato una campagna diffamatoria, il blocco del finanziamento del sito Wikileaks, e la detenzione arbitraria di Assange durata 7 anni (durante la quale sono stati commessi i crimini di tortura psicologica), culminatasi, in questi ultimi due anni, con la “custodia cautelare” di Assange nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh a Londra.
Ora Assange deve affrontare un’udienza all’Alta Corte di Londra per decidere sulla concessione della sua estradizione negli USA, su richiesta del Dipartimento della Giustizia statunitense. Lì rischia i 175 anni di carcere sulla base dell’Espionage Act – per quanto questa legge dovrebbe riguardare i soli cittadini americani che rivelano segreti a nemici di guerra stranieri. Assange, invece, è un cittadino Australiano che non ha mai operato negli Stati Uniti.
Ma il messaggio che vuole mandare il Dipartimento di Giustizia statunitense è chiaro: “Non importa chi sei, non importa di che nazionalità sei, non importa dove ti trovi nel mondo, se osi svelare i crimini di guerra commessi dai militari USA, noi verremo a prenderti e a portarti in una nostra galera per il resto della tua vita.”
L’effetto intimidatorio dell’estradizione di Julian Assange su tutti i mass media mondiali è più che evidente: lo status di giornalista investigativo non proteggerà più chi svela i crimini di guerra statunitensi.
Naturalmente, non è prevista nessuna indagine, da parte del governo USA, su i crimini di guerra denunciati da Assange e tanto meno l’imputazione dei militari che li avrebbero commessi. Solo chi li ha denunciati verrà sottoposto a processo.
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(1.) tra cui NoWar-Roma, PeaceLink, Donne in Nero e altre formazioni italiane di attivisti.
(2.) https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=24552 The U
*Peacelink.it
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