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Dopo la tempesta kazaka. Verso un nuovo corso politico?

Quello che il Kazakhstan si è appena lasciato alle spalle, con un bilancio di circa novemila tra fermi e arresti, e centinaia tra morti e feriti, è stato uno dei peggiori momenti della sua storia post-sovietica.

L’aumento del prezzo del gas – quasi triplicato, nonostante sia una risorsa di cui il Kazakhstan è esportatore – hanno innescato una importante mobilitazione di piazza: questa, è stata rapidamente trasformata in un tentativo di colpo di stato.

Evidente l’esistenza di – almeno – un piano e di – almeno – una regia, di uomini addestrati e di connivenze tra le reti dell’opposizione kazaka, apparati stranieri ed una parte dell’apparato locale.

A destare un certo clamore è stato l’arresto con l’accusa di alto tradimento dell’ex primo ministro ed ex capo dei servizi di sicurezza locali Karim Masimov, effettuato a poche ore di distanza dall’inizio delle violenze insieme a quello di un numero imprecisato di poliziotti e di ufficiali.

Almeno verosimile è il fatto che alla repressione delle violenze e di certe velleità eversive si siano sovrapposte lotte al vertice del potere.

Indubbiamente le proteste contro l’aumento dei prezzi del gas hanno finito per catalizzare un certo malcontento ed una certa insofferenza presente nella società kazaka.

Oltre a persuadere il presidente Kasim Zhomart Tokaev della necessità di calmierare i prezzi del gas e di dimissionare il governo, la sommossa di gennaio ha messo un punto all’era di Nursultan Nazarbaev, segnando la sua definitiva uscita di scena con l’abbandono della carica di presidente del Consiglio di Sicurezza.

Con la formazione del nuovo governo, il presidente kazako Tokaev, ha sottolineato che il nuovo corso politico kazako dovrà essere maggiormente orientato alla risoluzione delle problematiche sociali esistenti.

Uno degli strumenti pensati per dare consistenza allo stato sociale sarà una speciale tassazione rivolta alle grandi aziende del paese, esortate da Tokaev a contribuire al fondo appena costituito “Al popolo del Kazakhstan”.

Una componente delle forze coinvolta nel tentativo di rovesciare il potere costituito è certamente quella di ispirazione islamista: per considerarne il peso nel Kazakhstan post-sovietico, è importante tenere presente che centinaia di kazaki hanno ingrossato le fila dell’ISIS e di Al-Nusra tra Iraq e Siria, unendosi a migliaia di altri combattenti provenienti dalle aree islamiche dell’ex Unione Sovietica, Russia inclusa.

Le capacità militari di cui una parte dei rivoltosi ha dimostrato di possedere può essere certamente ricondotta all’attività delle organizzazioni islamiste: nella disponibilità di queste ci sarebbero tutt’ora vari campi d’addestramento disseminati nelle steppe e nelle impervie valli dell’Asia centrale.

Sul piano strettamente geopolitico, il tentativo di portare a termine un colpo di mano antirusso ed anticinese in Kazakhstan ha una fondamentale importanza strategica: un’importanza che emerge chiaramente nella concezione di Zbigniew Brzesinski e nei presupposti della sua geopolitica.

Il Kazakhstan è infatti uno dei paese fondamentali nei progetti di interconnessione continentale, promossi e sostenuti da Mosca e da Pechino.

Con un’estensione territoriale sovrapponibile a quella dell’intera Europa occidentale ed una popolazione di 18 milioni di abitanti, il Kazakhstan estrae circa il 40% della produzione mondiale di uranio, oltre a rivestire un ruolo prominente nel campo degli idrocarburi, dei metalli comuni, rari e preziosi, nonché nell’ambito delle criptovalute.

E’ importante sottolineare come il tentativo di rovesciare l’assetto istituzione del paese e di stravolgere il suo posizionamento geopolitico si sia consumato proprio alla vigilia dei colloqui tra Stati Uniti e Federazione Russa organizzati a Ginevra.

Visto il grado zero raggiunto nei rapporti con Mosca, si può soltanto auspicare che i paesi dell’Europa occidentale rinuncino all’ipotesi di accanirsi con il Kazakhstan per i suoi legami con Mosca e Pechino, magari adottando uno schema di ritorsioni simile a quello imposto negli ultimi mesi alla Bielorussia.

Tra le figure della sollevazione antirussa spicca quella dell’oligarca Mukhtar Abliazov, banchiere ed ex ministro kazako ormai da anni rifugiatosi in Francia. Ablizov, fondatore della piattaforma “Scelta democratica” ed autoproclamato rappresentante delle proteste, era tra l’altro salito alla ribalta delle cronache italiane per la vicenda dell’arresto della moglie Alma Shalabayeva. Abliazov è tra l’altro ricercato dalla Federazione Russa per frode fiscale.

Il nazionalismo coltivato anche nell’era Nazarbayev ha alimentato un’insofferenza contro la classe dirigente del paese, percepita come difenditrice del retaggio sovietico: in Kazakhstan, come in altre aree dello spazio post-sovietico, l’influenza russa ha finito per essere stigmatizzata come l’origine fondamentale di qualunque problematica del paese.

Il ruolo delle oligarchie kazake ha certamente contribuito a creare le condizioni per paralizzare il paese, determinando una condizione sociale che non soddisfa una porzione importante della società kazaka.

Nonostante le evidenti difficoltà, le autorità kazake si sono dimostrate in grado di ascoltare le istanze di migliaia di kazaki e di distinguere le proteste legittime da provocazioni e violenze indiscriminate. In questo, i vertici kazaki sembrano avere chiaro il fatto che l’aumento dei salari e della consistenza dello stato sociale costituiscano la migliore garanzia di stabilità per il paese.

All’appello del presidente Tokaev rivolto OTDC (acronimo di “Organizzazione del Trattato di Difesa Collettiva”)  – si legga, al Cremlino – ed all’intervento di alcune migliaia di paracadutisti (provenienti da Russia, Bielorussia e Armenia) potrebbero seguire già nelle prossime settimane altri passaggi politici rilevanti: ad esempio, riguardo l’abbandono dell’alfabeto cirillico – provvedimento visto con insofferenza dal Cremlino – potrebbero esserci ripensamenti.

In materia linguistica, il corso post-traumatico del Kazakhstan potrebbe favorire anche il riconoscimento ufficiale della lingua russa come lingua di stato (come nel vicino Kirghizistan).

Ciò che appare presumibile è che le turbolenze degli ultimi giorni finiscano per aumentare la diffidenza e la sfiducia di Nur Sultan nei confronti dell’orbita occidentale. A fronte di una certa dose di rischio, la recente crisi kazaka offre a Mosca e Pechino l’opportunità di consolidare i propri interessi strategici, che riguardano ed includono il Kazakhstan.

Inevitabile è il fatto che questo rafforzamento si sviluppi a scapito di certe velleità destabilizzatrici e di quelle ultranazionaliste, panturaniste e islamiste. Il tentativo di rovesciare il posizionamento strategico del Kazakhstan è da considerarsi fallito, benché persistano alcune criticità ed un certo grado di pressione che le componenti antisistema potrebbero continuare ad esercitare sul paese, forti del sostegno esterno.

* da La Fionda

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