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Scenari futuri: domande e inquietudini

Sono più di venti giorni ormai che, senza soluzione di continuità, quasi h24, leggo e guardo – come tutti, suppongo – notizie, analisi e approfondimenti sui tragici eventi in corso in Ucraina.

Media di regime, giornalisti embedded, blog, giornali online, bacheche di amici, esperti, professori, compagni che vivono (o hanno vissuto) in quel teatro di guerra, sono diventati il viatico per riflessioni e valutazioni personali.

Non solo circa la guerra guerreggiata; ma anche riguardo alle prospettive e agli scenari che questo conflitto potrebbe ridisegnare, una volta che dovessero tacere i cannoni – e si spera solo quelli – per essere sostituiti dalla parola, dal dialogo, dalla diplomazia.

In sintesi, da quella cosa di cui – per parafrasare von Clausewitz – la guerra costituisce la continuazione, ma con altri mezzi.

Ovverosia, la Politica.

Ovviamente, in questo momento, il compito più complesso è rappresentato dalla necessità di scremare la vertiginosa mole di informazioni, che ci bombardano in ogni istante e da ogni media o social.

Epurandone, non di rado, la spessa patina ideologica, per cercare di estrarne, faticosamente, il cuore semantico e concettuale.

Un’operazione che richiede presenza a sé stessi, oggettività di osservazione e di ascolto, unita ad una buona dose di razionalità e freddezza di ragionamento, per non rischiare di lasciarsi frastornare dal rullo di tamburi della propaganda.

La quale agisce, sia ben chiaro, a doppio senso.

Da parte occidentale, dove si sta dispiegando un arsenale mediatico disinformativo e mistificatorio, che credo costituisca un salto di qualità mai sperimentato in precedenza, nella nauseante gestione orwelliana della governance neoliberista sui media.

E, ovviamente, da parte russa, dove addirittura chi definisce guerra la guerra, rischia 15 anni di carcere, per effetto della neo promulgata legge sulle fake news e sul vilipendio alle forze armate.

Com’è accaduto al compagno Giovanni Savino – cui esprimiamo la nostra più sincera solidarietà – docente da anni presso l’Accademia Presidenziale di Mosca, il quale si è visto costretto a scappare dalla capitale russa, solo perché, appunto, aveva questa strana pretesa di definire guerra la guerra.

Orbene, nel bel mezzo di un tale circo mediatico, con l’angoscia che inevitabilmente stringe alla gola, tra sussulti d’indignazione, rabbia, ansia e commozione per le vittime, ho provato anch’io a formarmi un’opinione.

E anzi, direi di essermi fatto un’idea abbastanza precisa.

Ovviamente, sono considerazioni soggettive opinabilissime. Non essendo il sottoscritto né un esperto di geopolitica né un militare.

Ma che intendono dare un piccolo contributo al dibattito in corso sulla guerra nel cuore dell’Europa.

E allora, veniamo al punto…

Sembra ormai evidente – un convincimento che si è andato consolidando negli ultimi giorni, prendendo il posto di quella che era solo una sensazione iniziale – che gli Usa e la Nato abbiano sacrificato, cinicamente ed in modo ferocemente spregiudicato e criminale, l’Ucraina e il suo popolo sull’altare di una volontà di potenza egemonica, che intenderebbero riconquistare, a quanto pare, unilateralmente.

Per quanto illusoria, in un mondo che è, di fatto, multipolare e multilaterale da almeno 20 anni!

Soprattutto, a ben considerare tutti i tasselli del mosaico, il sacrificio ucraino sembrerebbe essere stato orchestrato scientemente – come, del resto, ben descritto nell’articolo di Dinucci incentrato sul piano messo a punto dalla Rand Corp, prima pubblicato e poi ignobilmente censurato dal Manifesto – in funzione della partita economico-finanziaria e geopolitica (e ci auguriamo, ancora una volta, che ci si limiti a questo) che gli Stati Uniti dovranno giocarsi, nel prossimo futuro, con la Cina.

La quale sarebbe il vero bersaglio di tutto questo macello sullo scacchiere internazionale.

Tuttavia, il dato che maggiormente costituisce un salto nel vuoto, aprendo interrogativi inquietanti, risiede nel fatto che questa partita si giocherà in uno scenario nel quale, diciamolo chiaro, la globalizzazione e i suoi equilibri saranno definitivamente saltati.

Segnando di fatto, con una simile accelerazione del conflitto inter-imperialistico, la loro fine.

Fattore, per inciso, che in quanto comunisti, anti-imperialisti e anticapitalisti, accogliamo, al netto di tutte le incognite, con non poco favore.

Come si ridefiniranno, dunque, gli assetti internazionali, e quali saranno le nuove rotte commerciali, sembrano essere queste le domande più stringenti, attualmente sul terreno.

In poche parole: la Via della Seta, per fare un esempio, sarà ancora un’alternativa valida e percorribile, così come concepita originariamente?

L’interdipendenza del mondo finanziario e imprenditoriale occidentale resterà ancora in piedi?

O si riproporranno visioni, come dire, più autarchiche e nazionalistiche?

Con ulteriori slittamenti a destra in tutto l’emisfero occidentale, e principalmente in un’Europa già attraversata da rigurgiti neofascisti e neonazisti.

Come, ad esempio, quelli presenti proprio in Ucraina.

Gli smottamenti e le ricadute che questo conflitto tra Russia e Nato, per interposto paese, avranno sul breve e lungo periodo, credo impongano una riflessione su questi temi, seria e non viziata da preconcetti dottrinari o da vaneggiamenti soggettivi.

Ad ogni modo, ciò che sembra più facilmente predicibile, da quanto sta già accadendo, è un’ulteriore stretta autoritaria e repressiva nel nostro paese, da anni orientato verso politiche fortemente reazionarie e securitarie, con un passo definitivo verso la censura e la limitazione della libertà di stampa.

Ed è decisamente grottesca l’idea che questa stessa Italia possa dare lezioni di democrazia al pur intollerabile autocrate russo!

Intanto, gli Usa, con il loro consueto azzardo strategico, sembrano aver voluto ridimensionare le velleità imperialistiche dell’Europa.

Che, com’è facile prevedere, date le premesse, da questo contesto belligerante uscirà probabilmente con le ossa rotte.

Anche se la propaganda insisterà, in un primo momento, sull’aspetto tutto ideologico della “tenuta” e del rinsaldamento dell’architettura europeista, all’interno dei vari stati nazionali è facile supporre che si potranno aprire contraddizioni e fibrillazioni fortissime, a causa di una crisi che, cominciata con la bolla speculativa dei mutui subprime nel 2008, incruditasi durante la pandemia, potrebbe aggravarsi non poco col proseguire del conflitto.

E proprio in ragione di quelle sanzioni comminate, pare senza un briciolo di raziocinio, ai danni di Putin e della Russia.

Sanzioni che potrebbero produrre -come d’altra parte sta accadendo- contraccolpi economici tragici, soprattutto, come sempre, a danno delle classi lavoratrici e del proletariato nazionale di ogni enclave statale del vecchio continente.

Cui andrebbe a sommarsi l’inevitabile tracollo, già annunciato e visibile per altro, della piccola e media impresa.

L’amministrazione Biden, insomma, sta provando -probabilmente riuscendoci- ad impantanare la Russia in una contemporanea “dimensione afghana”, spingendola verso un non auspicabile default (le conseguenze del quale sarebbero appunto inimmaginabili) e rendendola, di fatto, sempre più dipendente dal Dragone cinese.

Spostando, in tal modo, l’asse del futuro scontro geostrategico verso il quadrante orientale.

Gli Stati Uniti volevano concentrarsi sull’area indo-pacifica e pare ci stiano riuscendo, proprio grazie alla guerra da loro stessi provocata -con il consueto cinico e delinquenziale pragmatismo- nell’est europeo.

Raffreddando, al contempo, le aspirazioni di due dei principali competitor sul Risiko neo capitalista dei mercati.

Russia ed Europa.

Ottenendo, però anche un ulteriore e non certo rassicurante risultato. Il riarmo massiccio della Gernania.

Considerando com’è andata l’ultima volta, non c’è da stare allegri!

Non mi meraviglierei affatto, quindi, se a Washington e al Pentagono, in camera caritatis, si facesse il tifo affinché Putin risolva al più presto la questione ucraina. In qualunque modo.

Anche, forse, sovvertendo il governo Zelensky, con tutte le conseguenze del caso.

Per chiudere una partita che, comunque, implica non pochi rischi sul piano fattuale.

A partire dal pericolo termonucleare.

Le strategie e le analisi infatti – come quelle elaborate dalla Rand Corp, cui si accennava in precedenza – vengono disegnate ed elaborate a tavolino. Ma poi devono trovare riscontro nella prova dei fatti e nella realtà.

E quella conferma, non sempre la trovano.

Ad ogni modo, in conclusione di questo personale ragionamento, mi sia concessa solo una breve considerazione sull’autocrate russo.

Un uomo che ha senz’altro sempre avuto poca dimistichezza con la democrazia interna, ma che sul piano delle relazioni internazionali, della diplomazia e dell’equilibro geopolitico globale, aveva sempre dimostrato grande lucidità e accortezza.

Lucidità e accortezza che, in questo delicatissimo passaggio, sembra aver improvvisamente smarrito, esorbitando tragicamente rispetto a quella che poteva e doveva essere la sua missione.

La difesa legittima del Donbass e delle Repubbliche Popolari di Donec’k e Luhans’k.

Finendo, a mio modesto avviso, per aboccare all’amo avvelenato, tiratogli dalla Nato e da Washington.

Cui molto probabilmente ha offerto, su un piatto d’argento e nel momento della crisi di egemonia più grave dalla fine del ‘900, l’opportunità di ricompattarsi come alleanza atlantica e di prendere una boccata d’ossigeno, seppur parziale, sul piano delle rinnovate aspirazioni imperialistiche.

Un servigio che, francamente, avremmo preferito evitare.

Staremo a vedere.

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