Ho riletto in questi giorni il capolavoro di Karl Kraus, “Gli ultimi giorni dell’umanità”. Questo libro mette in scena la più grande tragedia umana: la guerra. Mentre procedevo nella lettura, mi sembrava di avere in mano un libro scritto oggi e che riguarda il nostro presente e, specialmente, il nostro futuro.
In particolare, sono quattro le dimensioni di quest’opera che mi sono sembrate perfette per descrivere l’attuale situazione e gli scenari che potrebbero aprirsi: la sostituzione del pensiero, e dell’atto stesso del pensare, con l’opinione; la manipolazione della realtà, che appartiene alla sfera della politica e del giornalismo; la dimensione dei “valori”, come forma sostitutiva delle motivazioni profonde (e materiali) del conflitto; e infine quella della critica, che si distacca dalle altre dimensioni, sia per il linguaggio che per l’ampiezza dello sguardo.
Ora, l’opera di Kraus è l’opera della Prima Guerra Mondiale; il nostro momento storico può essere considerato, al limite, simile all’anteguerra, ossia agli anni che hanno anticipato quella tragedia. In un certo senso, però, proprio perché permette di cogliere il passaggio culturale che ha consentito al discorso bellicista di trasformarsi in prassi militare, e quindi di documentare il passaggio mentale che lo ha reso possibile, è un’opera quanto mai contemporanea.
L’oggetto del libro di Kraus è la parola: una parola che anticipa la guerra, che la fa risuonare come mantra nelle coscienze; una parola “stupida”, che propugna l’ebrezza dell’atto di eroismo, che invita alla mobilitazione totale, che irride chi non vuole la guerra o chi diserta, che arringa la folla con slogan bellicisti, che fa risuonare il fervore dell’intervento militare, che ha disprezzo di chi prova a pensare fuori dagli schemi, che costringe la logica nella gabbia della propaganda, che incarna lo spirito profondo del capitalismo.
Si tratta, a ben vedere, di una parola molto simile a quella che domina l’attuale dibattito sulla guerra in Ucraina. Un’opera, dunque, quella di Kraus, per certi versi profetica, di cui bisognerebbe fare tesoro: per comprendere, almeno, quale destino può scatenare la parola che ha invocato “il dio del massacro” e trascinato “nel gorgo della morale” l’umanità intera.
Dal momento che, come dice lo stesso Kraus, quest’opera ha per oggetto il discorso bellicista colto nel suo stesso farsi, il suo nucleo non può che procedere mettendo a confronto una esigenza, quella di praticare un mezzo atto a vanificare quel discorso, e un’impossibilità, quella di fallire facendolo. Il fondo malinconico dell’opera è infatti in questa contraddizione: la critica, intesa come processo di chiarificazione delle cause profonde della guerra, non può che fallire.
Detto altrimenti, se la critica di Kraus individua le cause profonde del massacro nel legame tra “industria ed esercito”, il meccanismo della “menzogna” come processo di regolazione delle dinamiche della coscienza è talmente potente da rendere la critica stessa inoffensiva; la guerra, così, è destinata a presentarsi come occasione di redenzione, un’autentica opportunità di liberazione. E la “stupidità”, alla fine, trionfa, trascinando i popoli nella catastrofe.
C’è ancora, oggi, la possibilità di scegliere una parola antimilitarista e non stupida?
* da Facebook
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