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La destra vince per rassegnazione: l’unica soluzione è ricostruire la coesione sociale

Sono varie le ragioni per le quali la destra, non solo in Italia ma in vari Paesi d’Europa e del mondo occidentale, tende ad imporsi negli appuntamenti elettorali e più in generale nella società. La prima è legata al peggioramento della qualità umana, culturale e intellettuale della società stessa.

Le persone sono giustamente sempre più disorientate, impaurite, spaventate dai fenomeni deteriori che il capitalismo porta con sé, come le nubi portano i temporali: guerra, disastri ambientali, miseria, disoccupazione, negazione dei più elementari diritti sociali alla salute, all’istruzione, ecc.

Molti, non vedendo una soluzione collettiva praticabile, si ripiegano su se stessi, si avviliscono e si deprimono o cercano un’impossibile soluzione individuale. Altri si affidano ai canali tradizionali del potere: clientelismo politico, mafie di vario genere.

Altri ancora, buona parte della piccola imprenditoria diffusa che caratterizza il nostro Paese, tentano di battere, con la connivenza del potere politico, la strada del profitto a tutti i costi, facendo ricorso all’evasione fiscale e previdenziale e alla violazione dei più elementari standard ambientali e sociali, e allo sfruttamento esasperato della manodopera, specie di quella immigrata, in genere più ricattabile.

È la retorica del “fare” che costituisce l’ideologia di fondo del governo Meloni, unitamente al tentativo di introdurre un certo spirito di caserma e all’odio verso i poveri, quasi che fossero loro i responsabili della situazione in cui vivono.

È il darwinismo sociale, la sciagurata ideologia di stampo razzista secondo la quale solo i “migliori”, i quali – secondo un’accezione distorta del merito sono i più spregiudicati e spesso i più asociali – sono destinati a sopravvivere e ad arricchirsi, mentre tutto coloro che ‘non ce la fanno’ è bene che periscano.

Tale ideologia deplorevole si combina alla perfezione colla guerra permanente che, sia pure alla chetichella (si veda anche la votazione praticamente clandestina con cui maggioranza di governo e Pd hanno approvato la proroga delle forniture di armamenti a Zelensky), la Nato ha dichiarato alla Russia, alla Cina e a chiunque si discosti dai sacri parametri del sistema occidentale.

La guerra compatta ideologicamente una minoranza di guerrafondai, che fanno capo alle varie destre, da Meloni & C. a Renzi e Calenda a Letta, e ricaccia in condizioni di vita insopportabili la stragrande maggioranza della popolazione, mentre ingenti risorse vengono sottratte alla spesa sociale e destinate ad alimentare gli extraprofitti dell’industria bellica e di quella energetica che fa anch’essa parte a pieno titolo dell’economia di guerra che si va costruendo.

Si tratta dei due settori trainanti dell’attuale sottosviluppo italiano sotto l’egida della Nato e dell’Unione Europea.

Il Responsabile per la politica estera e di sicurezza di quest’ultima, Josep Borrell, ha avuto modo di formulare negli ultimi giorni dei pensieri assolutamente agghiaccianti, che danno l’idea del baratro in cui è caduta l’istituzione che rappresenta.

Borrell ha detto che l’Europa rappresenta un “giardino”, mentre il resto del mondo costituisce “un’immensa giungla“, ha preso come modello i conquistadores che sterminarono le popolazioni indigene americane e ha affermato che gli Stati Uniti hanno avuto un facile cammino verso l’indipendenza, essendosi limitati ad “ammazzare quattro pellerossa”.

Mai si era avuta un’esaltazione più chiara e definitiva del colonialismo razzista che costituisce il vero, repellente, Dna delle classi dominanti europee ed occidentali.

Quest’ideologia colonialista si sposa alla perfezione colla retorica bellicista della guerra “in difesa della civiltà europea” che si starebbe combattendo colle vite degli ucraini e le armi dell’Occidente. Retorica che rende ad oggi impraticabile ogni negoziato per l’uscita pacifica da un conflitto che diventa ogni giorno più pericoloso.

L’altra faccia della guerra esterna è la repressione all’interno di ogni gruppo sociale che voglia mettere in discussione il potere e le sue manovre anticostituzionali. Si vedano al riguardo le giuste osservazioni di un osservatore acuto come l’ex ministro delle finanze, Visco, nella sua intervista al Fatto.

Di fronte a una situazione così disperata e disperante, l’unica soluzione è quella di ricostruire la coesione sociale, la consapevolezza e la coscienza di classe degli sfruttati che costituiscono l’immensa maggioranza del popolo italiano, come pure degli altri popoli, compresi quelli, come il russo e l’ucraino, oggi costretti a un’insensata guerra fratricida dall’interesse dei potenti.

Il corteo promosso dai sindacati di base nella giornata di sabato 3 dicembre, cui hanno partecipato migliaia di lavoratrici e lavoratori, in buona parte migranti, costituisce un segnale importante, anticipatorio di una necessaria risposta di massa al governo della guerra e della miseria e ai suoi alleati ufficiali e non.

Risposta che potrà essere data se riusciremo a moltiplicare le forze politiche, sindacali e sociali che si pongono apertamente e in modo determinato su questo terreno, costruendo l’unità tra di loro come condizione di quella più vasta e generalizzata dell’intero popolo.

 * dal blog su Il Fatto Quotidiano

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1 Commento


  • Eros Barone

    È in atto uno spostamento a destra che ha dimensioni mondiali. Quando avviene, su scala globale, uno spostamento così massiccio e così generalizzato, sorge spontanea la domanda: perché? Del tutto fuorviante è la risposta fornita a questo proposito dagli analisti liberali borghesi, intenti meccanicamente e schematicamente a classificare le forze sociali e politiche in base ai seguenti dilemmi: contro la UE o a favore della UE, contro l’immigrazione o a favore dell’immigrazione; contro la Russia e per l’Ucraina o viceversa. Questo approccio, che isola singole contraddizioni da un contesto più ampio, scambia la sostanza con la superficie, la realtà con l’apparenza, il generale con il particolare. L’analisi marxista, che tende invece a ricongiungere la superficie alla sostanza, l’apparenza alla realtà e il particolare al generale, indica con chiarezza che quelle contraddizioni sono altrettante conseguenze della crisi economica che attanaglia l’economia mondiale dal 2008. Il ciclo declinante del saggio di profitto e il ciclo ascendente della reazione, il ciclo della concentrazione monopolistica del capitale e il ciclo della proletarizzazione della piccola borghesia trovano così una corrispondenza perfetta, confermando la tesi dei sostenitori della “stagnazione secolare” e ridicolizzando quei sicofanti della borghesia imperialista che, ipnotizzati dall’andamento a ‘yo-yo’ dell’economia mondiale, esultano quando tale andamento sembra impennarsi verso l’alto e cadono nello sconforto quando il rocchetto della valorizzazione discende sempre più in basso. Né il quadro viene modificato dalla discesa degli indici della disoccupazione, poiché, anche sorvolando sulla composizione in gran parte precaria degli occupati, il confronto tra periodi differenti, essendo la percentuale degli occupati diminuita, conferma un tasso di disoccupazione ben più alto di quello che registrano le statistiche ufficiali. Lo spostamento a destra, che avviene in assenza di una qualsiasi soggettività antagonista, è dunque, tanto sul piano ideologico e culturale quanto sul piano politico e istituzionale, la risultante del quadro di crisi e disoccupazione, che caratterizza attualmente la “struttura del mondo” in un’epoca caratterizzata dalla triplice crisi del valore, del potere e del sapere.

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