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Ho fatto (anche) l’autista a Soumahoro: dalla costruzione del mito al linciaggio

Ho visto cose che voi giornalisti non potreste immaginarvi… Eccomi, mi candido a essere intervistato: dal 2017 al 2020 ho lavorato insieme ad Aboubakar Soumahoro – nell’Unione Sindacale di Base – rivedendo i suoi testi, studiando insieme strategie, scortandolo – anche come autista – nelle prime uscite ufficiali.

Era il momento della costruzione del personaggio, salito alla ribalta in contemporanea con il governo gialloverde nel giugno del 2018. Merito della famigerata copertina dell’Espresso “Uomini e no”, con i faccioni affiancati di Abou e Matteo Salvini.

Trampolino di lancio

Quella copertina fu il trampolino di lancio per la carriera politica di Soumahoro, una lunga rincorsa iniziata non con lo sparo di uno starter ma con le fucilate che il 2 giugno si erano prese la vita di Soumaila Sacko, bracciante maliano e attivista sindacale USB, assassinato mentre recuperava lamiere in una fornace abbandonata per costruire l’ennesima baracca nel “campo informale” di San Ferdinando, in Calabria.

Abou guidava allora le manifestazioni di protesta dei braccianti, con il suo carisma, la presenza fisica, il perfetto italiano da laureato. Poteva Diego Bianchi – in arte Zoro – non rimanere folgorato sulla via di San Ferdinando da tanta magnificenza? No, e come dargli torto? Il barometro politico a sinistra segnava “brutto stabile”, sul lato opposto un tale sentenziava che “la pacchia è finita” e un altro che la povertà era stata abolita.

Un leader per la sinistra

La vista di Soumahoro dovette sembrare a Zoro l’apparizione di una “madonna pellegrina”, per dirla con Sergio Saviane. Fu così che il nostro bravo conduttore tornò dalla Calabria con un bel servizio e una convinzione, subito condivisa con il sodale Marco Damilano: abbiamo un leader per la sinistra.

L’invito per Abou a Propaganda Live e la copertina dell’Espresso furono i botti di richiamo prima di uno spettacolo pirotecnico. Da quel momento si moltiplicarono le richieste di intervista dall’Italia e dall’estero. Non contava il contenuto, l’importante era che Abou parlasse.

Così, se prima il meglio che potesse capitare era un servizio – con tutto il rispetto – di Radio Radicale, ora si mettevano in fila la BBC e Le Monde, Rolling Stone e Russia Television, Orf e Frankfurter Rundschau. Per tacere degli italiani, tra i quali solo Mediaset ci pensò su una ventina di giorni, prima di farsi viva.

Rubrica saltuaria

Ma era solo l’inizio, tutti lo cercavano, tutti lo volevano. La regia, però, uscì pian piano dalla disponibilità di USB e passò lentamente sotto il controllo del duo Zoro-Damilano (consiglio, in proposito, di recuperare la spassosa pagina di Stefano Disegni sul Fatto Quotidiano di domenica 4 dicembre).

La costruzione del personaggio da quel momento divenne una faccenda a tre, fino alla definitiva e immotivata (o motivata, questione di punti di vista) rottura con USB nel luglio 2020.

Abou svanì in lontananza, verso il suo sindacatino personale, la Lega Braccianti oggetto oggi di tanta attenzione. Sparì per un po’ dai media nazionali e internazionali, anche la sua rubrica sull’Espresso si fece saltuaria, fino al ritorno in pompa magna per le ultime elezioni politiche con la conquista di un seggio alla Camera.

Stessa intensità

Oggi è tornato sotto i riflettori, tristissimi, dei media italiani. Fatta la tara alle opinioni personali e politiche su Aboubakar Soumahoro, le varie testate – con pochissime eccezioni – somigliano a una muta di bloodhound impegnati nella caccia al negro per applicare la legge di Lynch.

Perché di questo si tratta: quattro anni fa Abou era il nuovo che avanzava, circonfuso di luce, oggi è un politico debole e isolato, ideale per il tiro al bersaglio. Ha fatto errori a valanga, così come i suoi mentori che adesso se ne lavano le mani, ma non è oggetto di indagini giudiziarie.

Sarebbe bello – e la stampa italiana ne trarrebbe lustro – se questo incessante rovistare, anche nella spazzatura, fosse applicato con la stessa intensità e la stessa costanza a schiere di politici dalla pelle bianca che magari oggetto di indagini giudiziarie lo sono veramente.

Coraggio cari colleghi, la pratica Abou vi dimostra che “si-può-fare” (cit.). Basta volerlo.

* da Professione Reporter

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4 Commenti


  • Fabrizio

    Il sig Somahoro dovrebbe solo dimettersi da onorevole perché per i suoi interessi personali ha preso in giro migliaia di poveretti sfruttati. E non dimentichiamoci la triste storia delle cooperative della moglie e suocera..
    Finché la sinistra propone personaggi del genere farà tanta strada…


  • Pasquale

    Come al solito, quando si indica la luna, c’è sempre qualcuno che guarda il dito. Abou ha sbagliato, ha tradito di brutto sia i braccianti di cui diceva di essere uno strenuo difensore sia coloro che lo hanno eletto. Non è indagato, ma politicamente è squalificato. Se è da dimissioni, allora dovrebbe andare a casa l’intero governo o meglio l’intero parlamento. Tuttavia, però, bisogna dire che il fatto che sia africano o peggio ‘nero’, rappresenta il carico da undici per tutti coloro in cerca di mostri. Tanti suoi detrattori, il cui unico svago è di aspettare l’inciampo della Sinistra, farebbero meglio a stare attenti a tutti gli scheletri che, nel tempo, hanno nascosto negli armadi e che giorno per giorno cadono fuori.


  • Maddalena Guidi

    diciamo che si errori ne sono stati fatti a iosa prima di tutto pensando che una persona di origine africana potesse puntare a qualsiasi tipo di leadership in Italia. il paese non è pronto. seconda cosa il signor Soumahoro ha pensato di essere intoccabile quasi il famoso papà straniero e che in ogni sua azione fosse idolatrato. invece è caduto con il deretano a terra. Terzo errore. Pensare che urlare per i braccianti potesse in qualche modo rendere la persona meglio di quanto sia in realtà.


    • Redazione Contropiano

      Il colore della pelle non c’entra niente… In questa vicenda, purtroppo, c’è solo il solito peggio che la società italiana riesce ad esprimere. Senza colori…

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