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Il semipresidenzialismo di Meloni aumenta le disuguaglianze

Quando si afferma di voler introdurre in Italia il semipresidenzialismo alla francese, si pensa, erroneamente, che si tratti soltanto della “nomina diretta del presidente della Repubblica” da parte dell’elettorato. Ma non è così.

Si tratta invece di un sostanziale cambio della forma di governo, che comporterebbe una modifica profonda della nostra Costituzione.

Occorre, dunque, indicare, sia pur sommariamente, qual è il principio logico fondante della Costituzione francese del 1958, modificata nel 2008, tenendo presenti gli adattamenti ai quali potremmo essere costretti.

I dati che maggiormente marcano le differenze tra la nostra Carta e quella francese e che potrebbero comportare modifiche costituzionali, a mio avviso, sono i seguenti:

– la Repubblica francese assicura soltanto «l’eguaglianza di fronte alla legge» (art. 1), non «l’eguaglianza economica e sociale» fra tutti i cittadini, sancita dall’art. 3, comma 2, della nostra Costituzione;

– «La sovranità appartiene al popolo», ma questi «la esercita soltanto per mezzo dei suoi rappresentanti» e non esiste il nostro diritto fondamentale di «partecipazione all’organizzazione politica economica e sociale del Paese» (art. 3, comma 2, Cost.);

– E’ previsto, su richiesta delle autorità, un particolare «referendum preventivo» (art. 3) per la promulgazione di certe leggi (art. 11), ma è escluso il nostro referendum abrogativo su iniziativa da parte di 500mila elettori (art. 71 Cost.);

– Il Parlamento vota le leggi (art. 24), ma queste (art. 34) possono riguardare soltanto le materie tassativamente elencate in Costituzione, mentre il loro contenuto consiste, essenzialmente, nel concedere, si dice «accordare», «i diritti e le garanzie per l’esercizio delle pubbliche libertà»;

– L’«iniziativa delle leggi» è preclusa al popolo (art. 39), mentre da noi anche 50mila elettori possono proporre una legge (art. 71 Cost.); il «potere regolamentare» è pienamente attribuito al «primo ministro», e non al Governo (art. 21); il Consiglio costituzionale (sarebbe la nostra Corte costituzionale), che non ha magistrati nel suo seno, ha, essenzialmente, la funzione di emettere un «parere preventivo» sulla promulgazione delle cosiddette leggi organiche, ed è difficilmente praticabile il ricorso richiesto da chi sia parte in un giudizio (riforma del 2008).

Insomma, è una Costituzione che consente il “predominio” del potere economico e politico sulle classi subalterne. A tale tipo di predominio, la nostra Costituzione, purtroppo calpestata dai governi neoliberisti, si oppone in modo insuperabile.

Essa pone al di sopra di tutto «il valore supremo della persona umana», di «ogni persona» (art. 3, comma 2, Cost.), e quindi «il valore supremo dell’eguaglianza economica e sociale», e considera i diritti fondamentali, non come «accordati» ai singoli dall’Autorità, ma come preesistenti alla Costituzione, che li «riconosce» e «garantisce».

Ed è proprio questo mirabile impianto costituzionale, equilibrato ed egualitario, che la Meloni vuol cambiare con il suo semipresidenzialismo alla francese.

Ella, infatti, nel suo discorso di fine anno, ha affermato la «supremazia» delle «imprese private», le quali soltanto, e non lo Stato, «produrrebbero il lavoro», dimenticando, tra l’altro, che queste, oltre a essere spesso fagocitate dalla concorrenza straniera, considerano il lavoro una pura merce da pagare il meno possibile, indebolendo così la domanda, che è il motore dello sviluppo economico.

Insomma Ella insiste sulla “diseguaglianza economica e sociale”. Ma gli ultimi trent’anni della nostra storia economica hanno dimostrato che l’aver posto in mano privata la gestione dell’intera economia, cedendo ai privati, con le micidiali privatizzazioni, la consistente “proprietà pubblica demaniale” dell’intero popolo, ha prodotto una vera débâcle.

Occorre dunque tornare alla nostra “economia mista”, la quale era riuscita a garantire una sostanziale eguaglianza economica e sociale e un lavoro sufficiente ad assicurare a tutti una vita libera e dignitosa. Il vero salario minimo sancito in Costituzione (art. 36).

Ma a questo non pensa di certo la neoliberista Meloni. 

* da tpi.it

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