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Una lettera da Crotone

Mi è arrivata una lettera, da qualcuno nel mare. Da Crotone, credo. Così come mi è arrivata, la metto per iscritto e la pubblico (io, Massimo, ateo materialista dialettico).

C’ero quasi arrivato. Ma sono andato sott’acqua. Mare. Un mare diverso, ed era freddo. Poi, ci sono un paio di minuti di cui non vorrei parlare.

Quanto ero giovane! Io volevo, perché ero giovane. Cosa, non ricordo: forse volevo vivere. Non è chiaro il concetto, ora.

Ma il mio corpo era nell’acqua. Guardando il fondo del mare, torbido, vicino, sapevo che ero morto. Ma se lo sapevo, allora non ero morto! Ero morto, ma non ero morto: ero solo migrato. Non come pensavo, in un modo diverso, mi ci dovevo abituare.

Ero morto, ma forse non ero morto perché ero giovane, non so, forse avevo troppa vita, forse qualche grammo di coscienza rimane, nell’acqua.

La memoria dell’acqua, la permanenza del pensiero, la non sparizione, chiamatela come volete. Fatto sta, che son qui. Il mare ricorda, gocce di coscienza, diluite nell’acqua, per ogni annegato.

E noi possiamo parlare con voi, nei pensieri di qualcuno di voi, mentre guarda il mare. Impossibile, dite? E allora come mai quest’uomo parla di me?

Il mare ricorda. L’acqua ha memoria. E racconta.

Ho dormito nel sacco del mio corpo sul fondo del mare. Il varco, non c’era varco. Mi chiedevo cosa sarebbe stato. Era buio dentro, e sapeva di muffa. Era difficile.

Ho cantato per me stesso, a bocca serrata, un canto che non si sentiva. Poi! Poi mi sono svegliato ed era chiaro, non più torbido.

Ero tornato. Non ero più dentro quel sacco morto, ero nell’acqua, ma per abituarmi, immaginai un grande campo di fiori, come le alghe. Ed ero lì, riverso in mezzo ai fiori, nel verde.

Potevo sentire il loro odore e ho camminato attraverso di loro, i miei occhi al livello del verde, il viso nel verde, ero parte di una vasta macchia, di una linea di colore del verde.

Così mi abituai: ero acqua, premevo sui semi, e nascere vedevo il verde. Ero meno pesante, non come quando ero annegato, prima. Ero grammi, gocce, lacrime di pura coscienza.

Ma mi diluii ancora. Cambiò il sogno. Il varco è qui. Dove siete, però, dove siete andati? Camminate per le stesse distese? Nel verde?

Tutto è simile a prima, qua, giù, adesso. La realtà è fatta del sogno di vivere, mi fa continuare a vivere. Ma diluito, distante.

Ci sono più colline, e le cose sono più pulite. Ogni giorno posso camminare per molto tempo, e non devo tornare indietro mai. Posso camminare e camminare, e quando sono stanco posso dormire.

Quando mi sveglio, posso continuare a camminare e non ho mai quella sensazione di fuggire, come chi non ha casa. Son solo. Non mi mancano la polvere della strada sui miei piedi, o le case basse.

Qualche volta mi mancano gli altri. Gli amici, i compagni di viaggio. Ma il varco è qui, e loro non ci sono. Qui, non c’è nessuno.

Scrivilo, Massimo. Tu che hai mani, scrivilo: ci risentiamo presto”

(Non penso che lo risentirò. Si è diluito, pian piano, nella non esistenza. Ha passato il varco.)

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1 Commento


  • Vittoria Grimaldi

    Meraviglia della poesia che è vita!!
    Resurrezione!

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